Monologo - Roberto Benigni in \"La tigre e la neve\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo pronunciato da Roberto Benigni nel film "La tigre e la neve" è una delle sequenze più emblematiche del suo cinema: un flusso di parole che, sotto una superficie comica e leggera, si fa denso di significati profondi. L’ambientazione è una lezione universitaria in cui Attilio De Giovanni, il personaggio di Benigni, cerca di trasmettere agli studenti l’essenza della poesia e, di riflesso, della vita stessa. Questo monologo è un perfetto esempio della poetica dell’autore, che mescola filosofia, umorismo e un’inesauribile passione per la bellezza nascosta nel quotidiano.

In questa scena, Benigni si rivolge agli studenti (ma idealmente a tutti noi), con una riflessione universale sul significato della poesia e sull’atteggiamento necessario per affrontare la vita. Analizzare questo monologo significa scendere nel cuore del pensiero benigniano: una celebrazione dell’amore, della sofferenza, della gioia e del processo creativo come strumenti per abitare pienamente l’esistenza.

Innamoratevi!

MINUTAGGIO: 11:30-14:10

RUOLO: Attilio
ATTORE:
Roberto Benigni
DOVE:
Amazon Prime Video


ITALIANO


Svelti, eh, svelti! Veloci… piano, con calma. Non v’affrettate, eh. Poi, non scrivete subito poesie d'amore, eh, che sono le più difficili. Aspettate di avere almeno un’ottantina d’anni. Scrivetele su un altro argomento, che so… sul mare, il vento, un termosifone, un tram in ritardo. Ecco, non esiste una cosa più poetica di un’altra, eh. Avete capito? La poesia non è fuori, è dentro. Cos’è la poesia? Non chiedertelo mai più. Guardati nello specchio: la poesia sei tu. E vestitele bene le poesie, cercate bene le parole. Dovete sceglierle. A volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola. Sceglietele. Che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere. Da Adamo ed Eva, lo sapete? Eva quanto ci ha messo prima di scegliere la foglia di fico giusta? “Come mi sta questa? Come mi sta questa? Come mi sta questa?” Ha spogliato tutti i fichi del paradiso terrestre! Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto, morto tutto è. Vi dovete innamorare! Diventa tutto vivo, si muove tutto. Dovete abitare la gioia, sperperate allegria, siate tristi e taciturni con esuberanza! Fate soffiare in faccia alla gente la felicità. E come si fa? Fammi vedere gli appunti che mi sono scordato. Questo è quello che dovete fare… non sono riuscito a leggerli, mi sono dimenticato. Per trasmettere la felicità bisogna essere felici. E per trasmettere il dolore bisogna essere felici. Siate felici! Dovete patire, stare male, soffrire. Non abbiate paura di soffrire, tutto il mondo soffre, eh. E se non avete i mezzi, non vi preoccupate. Tanto, per fare poesia una sola cosa è necessaria. Tutto. Avete capito? Non cercate la novità. La novità è la cosa più vecchia che ci sia. E se il verso non viene da questa posizione, da questa… da così! Beh, buttatevi in terra. Mettetevi così, ecco. È da distesi che si vede il cielo! Guarda che bellezza! Perché non mi ci sono messo prima? Cosa guardate? Gli occhi non guardano, vedono. Fatevi obbedire dalle parole. Se la parola… “muro”… “muro” non vi dà retta, non usatela più. Per otto anni, così impara. “Chi è questo?” Boh, non lo so. Questa è la bellezza. Come quei versi là, voglio che rimangano scritti lì per sempre. Forza! Cancellate tutto. Dobbiamo cominciare. Ah, la lezione è finita. Forza, ragazzi. Ci vediamo mercoledì… giovedì. Ciao! Arrivederci, arrivederci.

La tigre e la neve

"La tigre e la neve" è un film del 2005 diretto e interpretato da Roberto Benigni, un'opera che mescola romanticismo, dramma e la tipica comicità poetica che contraddistingue il regista-attore. È una storia d'amore che si muove tra il quotidiano e l'onirico, ambientata sullo sfondo di uno dei momenti più tesi e complessi della storia recente: la guerra in Iraq.

Il protagonista del film è Attilio De Giovanni, un eccentrico e appassionato professore di letteratura, interpretato da Roberto Benigni. Attilio è un uomo innamorato fino all’ossessione di Vittoria (Nicoletta Braschi), una scrittrice che però non sembra ricambiare i suoi sentimenti. Attilio sogna spesso il loro matrimonio, con lei vestita di bianco che avanza verso di lui in una scena surreale e poetica, ma nella realtà Vittoria è fredda e distante, totalmente disinteressata ai tentativi di corteggiamento di Attilio.

La situazione prende una svolta drammatica quando Vittoria si reca in Iraq per collaborare con il poeta iracheno Fuad (Jean Reno), amico di entrambi, per scrivere un libro. Durante il soggiorno a Baghdad, Vittoria rimane gravemente ferita a causa dei bombardamenti che devastano la città. Venuto a sapere dell’incidente, Attilio non esita un attimo: si precipita in Iraq per salvarla, affrontando difficoltà immense, dalla burocrazia ai pericoli della guerra.


Attilio, pur non avendo nessuna competenza medica, si dedica anima e corpo a trovare il modo di salvare Vittoria, utilizzando ogni risorsa a sua disposizione e spingendosi ai limiti delle sue capacità. È disposto a rischiare la vita per recuperare farmaci e strumenti necessari per curarla, aiutato anche da Fuad, che però è schiacciato dai traumi della guerra. Il film alterna momenti di pura comicità e poesia a sequenze drammatiche, in cui la realtà della guerra emerge in tutta la sua durezza.


Il titolo, "La tigre e la neve", fa riferimento a una poesia recitata nel film e simbolizza il contrasto tra due elementi apparentemente opposti: la forza e il calore della passione (la tigre) e la fragilità o la purezza dell'amore (la neve). Questo dualismo rispecchia il tono del film, che oscilla tra leggerezza e gravità, tra sogno e realtà.

Analisi Monologo

Il monologo si sviluppa come un fiume in piena, un susseguirsi di idee e immagini che alternano momenti umoristici ad altri di pura lirica. È un invito a vivere la vita con intensità e consapevolezza, ma anche un piccolo manifesto sulla natura della poesia e sull’arte di vivere.


Il monologo si apre con un consiglio quasi paradossale: “Svelti, eh, svelti! Veloci… piano, con calma.” Questo incipit ossimorico è un’anticipazione del tono che seguirà: un continuo gioco di contrasti, che riflette l’ambiguità della vita e la necessità di trovare un equilibrio tra l’azione e la riflessione. La poesia, suggerisce Attilio, non è qualcosa che si può forzare o afferrare in fretta. “Non scrivete subito poesie d'amore, che sono le più difficili.” Questo avvertimento è un invito a maturare, a lasciare che l’esperienza della vita si depositi e che la scrittura emerga naturalmente.


Un punto centrale del monologo è l’idea che “la poesia non è fuori, è dentro”. Con questa frase, Benigni destruttura l’immagine tradizionale del poeta come colui che trova l’ispirazione nel mondo esterno. Non esistono argomenti più poetici di altri: tutto può essere poesia, persino un termosifone o un tram in ritardo. Ma perché questo accada, è necessario guardare dentro di sé, lasciando che il proprio sguardo trasformi il banale in qualcosa di straordinario. Questa idea richiama la poetica romantica, ma anche la filosofia di poeti come Montale, che trovavano la poesia nelle “cose” e nei dettagli del quotidiano.


La sezione del monologo dedicata alla scelta delle parole è un inno alla bellezza del linguaggio e al potere creativo dell’uomo. “La bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere.” Con questo passaggio, Benigni lega la poesia al libero arbitrio, all’atto umano di decidere, che diventa quasi un gesto divino. L’esempio di Eva che sceglie la foglia di fico è emblematico: la poesia, come ogni forma di bellezza, richiede tempo, cura e dedizione. Non è qualcosa che accade per caso, ma un processo deliberato, che spesso implica sofferenza e perseveranza.

Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto.” Questo è il cuore pulsante del monologo. Per Benigni, l’amore non è semplicemente un sentimento romantico, ma una forza creatrice che dà senso alla vita. L’amore è ciò che ci fa vedere il mondo con occhi nuovi, ciò che trasforma l’esistenza in qualcosa di vivo e vibrante. Anche qui, c’è un evidente richiamo alla poetica del carpe diem: vivere significa amare, e amare significa abbracciare la vita in tutte le sue sfumature, comprese quelle più dolorose.


Forse per trasmettere la felicità bisogna essere felici. E per trasmettere il dolore bisogna essere felici.” Questa frase apparentemente contraddittoria racchiude una profonda verità: solo chi ha vissuto pienamente, accettando sia la gioia che il dolore, può veramente creare qualcosa di significativo. La sofferenza, lungi dall’essere un ostacolo, diventa una condizione necessaria per comprendere la bellezza e l’intensità della vita. Benigni ci invita a non avere paura del dolore, perché è parte integrante dell’esistenza e, in quanto tale, della poesia.


Il momento in cui Attilio si butta a terra per guardare il cielo è uno dei più visivamente potenti del monologo. Qui Benigni ci ricorda che la poesia nasce anche da un cambiamento di prospettiva: “È da distesi che si vede il cielo!” Il gesto è un atto di umiltà, un modo per riconoscere che la bellezza del mondo è qualcosa che ci sovrasta, che va guardata con stupore e meraviglia.


La parte finale del monologo, con il riferimento al “muro” che “non vi dà retta” e al verso che non nasce dalla giusta posizione, è un esempio dell’abilità di Benigni nel mescolare il comico e il serio. Dietro il tono ironico si nasconde una verità profonda: il processo creativo è qualcosa di imprevedibile, che richiede pazienza e disponibilità a cambiare prospettiva.

Conclusione

Il monologo di Roberto Benigni in La tigre e la neve non è soltanto una riflessione sulla poesia, ma un vero e proprio manifesto esistenziale. Attraverso il suo linguaggio vivace e le sue immagini potenti, Benigni ci invita a vivere con intensità, a scegliere con cura le parole e gli atti, e ad abbracciare l’amore, la sofferenza e la gioia come parte integrante del nostro essere. La poesia, in questa visione, non è un’attività riservata a pochi eletti, ma un modo di guardare il mondo, accessibile a chiunque sia disposto a lasciarsi attraversare dalla bellezza e dalla complessità della vita.

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