Monologo di Robin (Maya Hawke) in Stranger Things 4: tra bugia, pathos e improvvisazione

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi del monologo di Robin in "Stranger Things 4" - La bugia

Il monologo di Robin in Stranger Things 4 è uno dei momenti più incisivi per capire come Maya Hawke costruisce ritmo, caos controllato e vulnerabilità in pochi minuti di scena. Questa esplosione verbale, collocata nell’episodio 4, permette di vedere come il personaggio usi ansia, ironia e pressione emotiva per ottenere ciò che vuole: un incontro con Victor Creel. 

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Stranger Things 4 (2022)
Personaggio: Robin
Attrice: Maya Thurman-Hawke

Minutaggio:  22:00-24:00 (Episodio 4)

Durata: 2 minuti

Difficoltà Alta La difficoltà sta nel ritmo: Robin passa da un tono nervoso e ansioso a un tono più affilato, furbo, quasi teatrale. È un monologo che vive su un equilibrio delicato tra improvvisazione e verità. 

Emozioni chiave pressione, furia compressa, insicurezza, ossessione, ammirazione distorta, determinazione

Contesto ideale per un attore Perfetto per un esercizio di controllo del flusso verbale, tipico dei personaggi che parlano per coprire ansia e vulnerabilità. Funziona in contesti come: provini dove si vuole mostrare range comico-drammatico, improvvisazioni su personaggi che mentono parzialmente, ma in modo coerente

Dove vederlo: Netflix

Contesto della serie "Stranger Things 4"

Stranger Things 4 parte da un momento preciso: il 1986. Sono passati alcuni mesi dal caos allo Starcourt Mall e ogni personaggio si muove con il peso di quello che è accaduto.Il primo elemento evidente è che il “mostro” non ha più solo la forma del Demogorgone o delle particelle del Sottosopra. È interno ai personaggi. Ognuno porta una ferita che condiziona la sua quotidianità.

Undici affronta la perdita dei poteri, e insieme a quella affronta un vuoto personale. Prima aveva un ruolo chiaro nel gruppo; ora fatica a trovare un posto nella vita normale, dove la minaccia non arriva dal Sottosopra ma da compagni di scuola pronti a umiliarla. La vulnerabilità diventa un tema centrale. Max vive un percorso diverso. La morte di Billy le ha lasciato una serie di domande insolute, insieme a un senso di colpa che non sa gestire. La sua giornata è scandita da cuffie, silenzi e un distacco costante da chi le vuole bene. È un personaggio che procede come se si muovesse su un terreno minato. Hopper, creduto morto, riappare dall’altra parte del mondo. In Russia lo vediamo distante dall’uomo che conoscevamo: convinzioni pesanti sul proprio valore, dolore fisico e morale, e la sensazione di essere una presenza pericolosa per chi ama.

Il gruppo di Hawkins non è più il party compatto degli inizi. Le superiori cambiano le dinamiche: Lucas prova a farsi strada nel mondo dei “popolari”, Dustin e Mike restano nel campo degli outsider, e molte cose che prima tenevano unita la banda ora sembrano perdere presa. Nel frattempo, in California, il nuovo contesto non risolve nulla. Undici, Will, Jonathan e Joyce continuano a portare il bagaglio di ciò che è successo a Hawkins. La distanza è solo geografica. I problemi restano, anzi si moltiplicano: bullismo, incertezze amorose, il senso di isolamento di Will, tensioni che nascono da cose mai dette.

In questo scenario arriva Vecna. Non è il classico mostro fisico. Ha un metodo, osserva le fragilità, guarda dove la mente cede. Le sue vittime non sono casuali: sono persone che convivono con un peso che non riescono a sollevare. Le visioni, gli incubi e il richiamo del pendolo rendono la sua presenza un’esperienza mentale, prima ancora che fisica. Con Vecna, Stranger Things entra in una dimensione più vicina all’orrore psicologico: il male che ti raggiunge attraverso ciò che non riesci ad affrontare. E ogni volta che colpisce, lascia un segno nel mondo reale, come se la città stessa si incrinasse. La stagione procede su tre binari:


– Hawkins, con l’indagine e la tensione che cresce attorno agli omicidi;
– la California, dove si intrecciano identità e fragilità di Undici;
– la Russia, dove Hopper affronta una lotta più umana che sovrannaturale.

Sul fondo ci sono tre idee che guidano tutto: la colpa, che schiaccia i protagonisti; la memoria, che torna a galla e costruisce prigioni; la crescita, che divide il gruppo e apre crepe in cui il male trova spazio.

Testo del monologo + note

Non scusarti Ruth. E che cazzo. Il punto è che noi abbiamo fatto una richiesta mesi fa, ma è stata respinta. E’ stata respinta anche una seconda volta. E siamo qui come ultimo tentativo di salvare la nostra tesi e sul serio, non respiro con questo addosso. Perché sto iniziando a pensare che sia tutto un colossale sbaglio. Mi sta venendo un’eruzione cutanea e mi fanno male le tette. In realtà Anthony, posso chiamarla Anthony, questi non sono i miei vestiti. Li ho presi in prestito perché volevo che ci prendesse sul serio, perché nessuno in questo campo prende sul serio le donne. Non ci fanno integrare. Ma lasci che le racconti una storia. Nel ‘78, durante il campus estivo, la mia councelor raccontò a me e a tutto il dormitorio la vera storia del massacro di Victor Creel. E il piccolo Petey, il più… ricordi Pete, vero Ruth? Il piccolo Petey iniziò a piangere seduta stanze, e poi andò anche in iperventilazione. Gli altri non dormirono per settimane, e neanche io, ma non per paura. Perché ero ossessionata dalla domanda: “Che cosa porta un essere umano a commettere atti raccapriccianti come questo” Gli altri sognavano di diventare astronauti, giocatori di basket, rockstar, io volevo essere lei. Volevo diventare come lei. Perciò mi perdoni se sto facendo tutto ciò che posso, incluso indossare questo ridicolo vestito per poter parlare con l’uomo che ha acceso in me la passione e magari capire come funziona la sua mente, che è contorta, si, ma ammettiamolo, anche tremendamente affascinante. Per cui si, non abbiamo le scartoffie che servirebbero, ma non mi dica che quel fregnone di Petey McHuw non sarebbe riuscito a parlare con Victor semplicemente chiedendolo, perché sappiamo entrambi che ci sarebbe riuscito. Perciò… dieci minuti con Victor. Non chiedo altro. 

“Non scusarti Ruth.”: tono diretto; attacco immediato; sguardo frontale.

“E che cazzo.”: esplosione breve; gesto impulsivo delle mani; pausa subito dopo.

“Il punto è che noi abbiamo fatto una richiesta mesi fa, ma è stata respinta.”: ritmo serrato; frustrazione evidente; non lascia spazio all’interlocutore.

“È stata respinta anche una seconda volta.”: ripetizione martellante; micro-pausa prima di “seconda”.

“E siamo qui come ultimo tentativo di salvare la nostra tesi”: voce che accelera; postura che avanza leggermente verso Anthony.

“e sul serio, non respiro con questo addosso.”: mano che pizzica il vestito; tono strozzato; ansia fisica.

“Perché sto iniziando a pensare che sia tutto un colossale sbaglio.”: intonazione che scivola verso il dubbio; sguardo basso.

“Mi sta venendo un’eruzione cutanea e mi fanno male le tette.”: autoironia secca; tono più rapido; gesto vago verso il petto.

“In realtà Anthony, posso chiamarla Anthony,”: momento più morbido; tentativo di alleanza; inclinazione della testa.

“questi non sono i miei vestiti.”: voce bassa; ammissione intima; sorriso nervoso.

“Li ho presi in prestito perché volevo che ci prendesse sul serio,”: ritmo di nuovo alto; sguardo che cerca conferma.

“perché nessuno in questo campo prende sul serio le donne.”: frase lanciata come un dato di fatto; amarezza asciutta.

“Non ci fanno integrare.”: tono fermo; pausa breve dopo; occhi fermi su di lui.

“Ma lasci che le racconti una storia.”: cambio di direzione; voce che si stabilizza; gesto di apertura.

“Nel ‘78, durante il campus estivo, la mia counselor raccontò a me e a tutto il dormitorio la vera storia del massacro di Victor Creel.”: racconto che parte fluido; ritmo narrativo più disteso.

“E il piccolo Petey, il più…”: interruzione volontaria; sguardo verso Ruth; sospensione quasi comica.

“ricordi Pete, vero Ruth?”: tocco complice; tono più leggero.

“Il piccolo Petey iniziò a piangere seduta stante,”: descrizione vivida; tono che sale di mezzo livello.

“e poi andò anche in iperventilazione.”: gesto delle mani che imita il respiro veloce.

“Gli altri non dormirono per settimane, e neanche io, ma non per paura.”: micro-sorriso; sguardo che diventa più intenso.

“Perché ero ossessionata dalla domanda: “Che cosa porta un essere umano a commettere atti raccapriccianti come questo””: la citazione va detta con lentezza; occhi che fissano Anthony; nessuna pausa dopo “ossessionata”.

“Gli altri sognavano di diventare astronauti, giocatori di basket, rockstar,”: elenco rapido; spalle che si alzano leggermente.

“io volevo essere lei.”: tono più piano; sguardo lontano.

“Volevo diventare come lei.”: ripetizione che approfondisce; vibrazione emotiva più evidente.

“Perciò mi perdoni se sto facendo tutto ciò che posso,”: voce più bassa; sincerità mista a urgenza.

“incluso indossare questo ridicolo vestito”: gesto sul vestito; autoironia che maschera disagio.

“per poter parlare con l’uomo che ha acceso in me la passione”: tono quasi ispirato; respiro più ampio.

“e magari capire come funziona la sua mente,”: ritmo che rallenta; accento leggero su “capire”.

“che è contorta, si, ma ammettiamolo, anche tremendamente affascinante.”: mezzo sorriso; occhi che brillano di curiosità autentica.

“Per cui si, non abbiamo le scartoffie che servirebbero,”: tono pratico; gesto delle mani che minimizza.

“ma non mi dica che quel fregnone di Petey McHuw non sarebbe riuscito a parlare con Victor semplicemente chiedendolo,”: velocità alta; ritorno comico; sguardo verso Ruth cercando sponda.

“perché sappiamo entrambi che ci sarebbe riuscito.”: intonazione più piatta; occhi fissi su Anthony.

“Perciò… dieci minuti con Victor.”: pausa prima di “dieci”; voce che si abbassa di un mezzo tono.

“Non chiedo altro.”: chiusura netta; nessuna emozione in eccesso; sguardo fermo.

Analisi del monologo di Robin in "Stranger Things 4", la bugia

Il monologo di Robin nell’episodio 4 di Stranger Things 4 è uno dei momenti più interessanti da studiare per chi ama capire come funziona la recitazione comica-drammatica tipica della serie. È una scena costruita su velocità, improvvisazione controllata e un obiettivo molto chiaro: convincere Anthony a farle incontrare Victor Creel. La forza del monologo sta nella miscela di vulnerabilità, sarcasmo, rabbia repressa e un bisogno urgente di essere ascoltata. Maya Hawke lavora su cambi di ritmo continui, transizioni emotive rapide e una gestione molto precisa del corpo, che diventa parte integrante della strategia manipolativa del personaggio.

Il monologo segue una progressione chiara: Robin parte diretta, quasi scortese, per destabilizzare leggermente l’interlocutore. L’energia è alta fin da subito e il tono è tipico di chi ha provato troppo a essere educato e adesso lascia uscire una pressione accumulata. Scelta efficace per una scena di persuasione: aprire con impatto crea ritmo e cattura l’attenzione.

Dopo l’attacco, entra il flusso di ansia: vestiti che non le appartengono, sensazioni fisiche, stress legato alla tesi. Questi dettagli non sono casuali: servono a rendere la sua agitazione concreta e quasi tangibile. L’attrice qui ha la possibilità di usare il corpo come canale narrativo, con gesti rapidi, irregolari, che supportano il caos verbale. Robin inserisce il discorso sulla scarsa considerazione delle donne nel suo settore. Non diventa un momento didascalico: lo dice di getto, come parte del flusso. È un passaggio importante perché dà profondità alla scena e spiega una parte della sua frustrazione. Per un attore è una linea delicata: serve un tono asciutto, senza appoggi retorici. La storia del campus estivo e di Petey è la parte più narrativa. Qui il ritmo cambia: diventa una micro-storia dentro la storia. Funziona come strategia per coinvolgere, quasi come se Robin stesse portando Anthony in un piccolo viaggio mentale. Questo passaggio fa emergere un tratto spesso nascosto del personaggio: la sua ossessione per capire la mente umana.

Io volevo essere lei.” Questa frase, semplice e diretta, è il centro del monologo e dell’improvvisazione di Robin. Rivela la radice della sua curiosità verso Creel e il motivo per cui è disposta a esporsi così tanto. In interpretazione va trattata come una piccola pausa emotiva, un rallentamento. Robin chiude con fermezza: niente giri di parole, niente appelli melodrammatici. Solo una richiesta secca: “dieci minuti con Victor”.

Robin ha un obiettivo pratico: ottenere accesso a Victor Creel. Ma il monologo rivela un obiettivo interno più profondo: affermare sé stessa in un ambiente che la esclude. Ogni dettaglio – dal vestito preso in prestito alla rabbia repressa – serve a far vedere la sua lotta per essere riconosciuta.

Finale di "Stranger Things 4" (Spoiler)

Nel finale di stagione, il quadro si amplia e molte rivelazioni ridefiniscono tutto quello che avevamo visto finora. Durante lo scontro nella mente di Max, Vecna mostra la sua identità completa. È Henry Creel, il bambino degli anni ’50, diventato poi il soggetto Uno nel laboratorio di Brenner. È lui ad aver dato forma al Mind Flayer, non il contrario. La minaccia del Sottosopra assume così un’origine legata agli esperimenti umani: una deriva nata da una manipolazione andata oltre il controllo.

Per fermarlo, il gruppo costruisce un piano su più livelli. Max si offre come esca, consapevole di essere ancora nel mirino. Steve, Nancy e Robin puntano al corpo di Vecna nel Sottosopra, mentre Undici entra nella mente di Max per raggiungere Vecna direttamente. Dustin ed Eddie attirano le creature volanti per tenere libero il percorso agli altri. Eddie, in quel punto della storia, sceglie di non fuggire più. Rimane nel Sottosopra per guadagnare tempo agli amici e muore tra le braccia di Dustin. La sua storia si chiude nel luogo in cui aveva trovato un posto: l’Hellfire Club e l’amicizia con il gruppo.

La parte più dura riguarda Max. Vecna riesce a colpirla. Il corpo cede nello stesso modo delle altre vittime e il cuore si ferma. Lucas la stringe mentre tutto intorno si sgretola. Undici interviene e riesce a riportare il battito, ma la coscienza di Max non risponde. Quando Undici prova a cercarla nella sua mente trova solo un vuoto. È una condizione sospesa, che lascia domande aperte su ciò che resta di lei. Nonostante il colpo subito da Vecna, il suo piano procede. Con la quarta vittima, i varchi si uniscono e Hawkins si apre in più faglie. La città si spezza. È un cambiamento fisico che mostra come l’equilibrio tra i due mondi sia ormai instabile.

La stagione si chiude con una ricomposizione affettiva: Undici e Hopper si ritrovano, il gruppo torna nella casa nel bosco, i volti si riuniscono. Ma la pace è momentanea. Will percepisce di nuovo la presenza di Vecna, come accadeva all’inizio della serie. E il paesaggio parla chiaro: terra bruciata, particelle nell’aria, nubi scure che avanzano verso la città. Il messaggio è diretto: l’epoca dei misteri isolati nel bosco si chiude qui. Quello che arriva è uno scontro su scala più ampia, con Hawkins già modificata e il Sottosopra che ha iniziato a sovrapporsi al mondo reale.

Credits e dove vederlo

Regista: Matt e Ross Duffer

Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer

Produttore: Stephanie Slack Margret H. Huddleston

Cast: Winona Ryder (Joyce Byers) David Harbour (Jim Hopper), Finn Wolfhard( Mike Wheeler), Gaten Matarazzo (Dustin Henderson) Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair) Noah Schnapp (Will Byers) Millie Bobby Brown (Undici / Jane Ives)

Dove vederlo: Netflix

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