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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Randy Schoenberg, interpretato da Ryan Reynolds in Woman in Gold, è uno dei momenti più incisivi del film. Si tratta del discorso conclusivo che Randy rivolge alla commissione arbitrale a Vienna, incaricata di decidere se il celebre Ritratto di Adele Bloch-Bauer I debba essere restituito a Maria Altmann, erede della famiglia Bloch-Bauer, o rimanere in possesso dello Stato austriaco.
MINUTAGGIO:
RUOLO: Randy Schoenberg
ATTORE: Ryan Reynolds
DOVE: Amazon Prime Video
ITALIANO
Signore e signori, sono felice di essere qui oggi per due motivi: il primo è che, come i miei avversari, ho sempre creduto che questa fosse una questione interna dell'Austria che dovesse essere risolta entro i suoi confini (...) Il secondo motivo per cui sono felice di essere qua a Vienna è che la mia cliente, la signora Altmann, e io siamo entrambi austriaci. Non fraintendetemi, siamo anche molto americani. Ma per le nostre famiglie, le radici che condividiamo aƯondano nella cultura di questa meravigliosa città. E da qualche parte nel cuore di questo mondo c’è una donna il cui ritratto viene conteso da entrambe le parti: Adele Bloch- Bauer. Nelle mie visite ho capito che esistono due Austrie: una che si oppone alla restituzione delle opere d’arte alle vittime del nazismo ma anche una che riconosce le ingiustizie commesse contro gli ebrei austriaci e che contro ogni aspettativa cerca di porvi rimedio. Come spero di avere dimostrato con le mie argomentazioni la legge prevede la restituzione. Una serie di fatti e misfatti indica incontestabilmente che i dipinti in questione furono portati al Belvedere e sono rimasti lì oltre la metà del secolo in modo disonesto e illegale. E che il testamento di Adele non era giuridicamente vincolante. Quindi a modo suo questo è un momento signori e signore a dir poco storico. Un momento in cui il passato chiede qualcosa al presente. Molti anni fa proprio qua fuori sono accadute cose terribili. Persone che disumanizzavano altre persone: le perseguitavano; toglievano a molte di loro la vita, decimando intere famiglie e le derubavano: proprietà, mezzi di sussistenza, i loro oggetti più preziosi. E fra queste persone c’erano i Bloch-Bauer, la famiglia di una mia carissima amica quindi ora vi sto chiedendo come austriaci, come esseri umani, di riconoscere quell’errore e non solo per Maria Altmann ma per l’Austria.
Woman in Gold (2015), diretto da Simon Curtis, è un film che intreccia storia, arte e giustizia, raccontando una vicenda reale che ha per protagonista Maria Altmann, interpretata da Helen Mirren. Al centro della trama c'è la lotta legale per recuperare un'opera d'arte rubata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale: il celebre dipinto Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, realizzato da Gustav Klimt. Un quadro che per Maria non è solo un'opera d'arte, ma un pezzo della sua famiglia e della sua identità. La storia si muove su due piani temporali. Nel presente (la fine degli anni '90), Maria Altmann è un'anziana ebrea austro-americana residente a Los Angeles, che decide di intraprendere un'azione legale contro il governo austriaco per riappropriarsi del dipinto. Per farlo, si affida all'avvocato Randy Schoenberg (Ryan Reynolds), un giovane inesperto ma determinato, che accetta il caso nonostante la sua complessità legale ed emotiva.
Parallelamente, attraverso flashback, il film ci mostra il passato di Maria: la sua vita nella Vienna degli anni '30, quando proveniva da una famiglia benestante e il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I era parte della collezione di famiglia. Questi momenti sono un doloroso tuffo nella memoria, evidenziando il trauma dell'occupazione nazista, la perdita di tutto ciò che le era caro e la sua fuga dall'Austria per salvarsi. Il cuore della trama è il lungo e travagliato percorso legale. Randy e Maria affrontano anche la resistenza emotiva di una nazione che vede il dipinto come un simbolo del proprio patrimonio culturale. La vicenda culmina nella Corte Suprema degli Stati Uniti e, successivamente, in una decisione arbitrale in Austria. Si tratta di un viaggio non solo giuridico, ma personale: Maria deve confrontarsi con il dolore del suo passato, mentre Randy trova in questa causa un legame più profondo con la sua stessa identità e la storia della sua famiglia.
Alla fine, la battaglia di Maria si rivela vincente: il dipinto viene restituito a lei, segnando una delle più celebri restituzioni di beni d'arte trafugati dai nazisti. Ma il significato di questa vittoria va oltre il valore materiale dell'opera: rappresenta una forma di giustizia tardiva, un riconoscimento delle ingiustizie subite.
Il monologo è strutturato in modo strategico e segue una progressione ben definita. Si apre con una premessa personale e conciliatoria: Randy sottolinea la sua vicinanza culturale all’Austria, dichiarando di essere "felice" di trovarsi a Vienna e di condividere le stesse radici della sua cliente, Maria. Questo è un gesto retorico potente, perché costruisce un ponte tra lui e i membri della commissione arbitrale, posizionandosi non come un "estraneo" americano venuto a rivendicare un tesoro culturale, ma come una parte del contesto austriaco stesso. Allo stesso tempo, questa mossa contrasta con l’idea di un’Austria divisa, che Randy descrive come composta da due anime: una che resiste al riconoscimento dei torti del passato e un’altra che cerca di affrontarli.
La sezione centrale del discorso è dedicata alla ricostruzione legale e storica dei fatti. Randy usa il linguaggio della razionalità per smontare gli argomenti dei suoi avversari, spiegando perché il testamento di Adele non è giuridicamente vincolante e perché il dipinto è stato acquisito illegalmente dallo Stato austriaco. Qui, il tono del monologo è metodico, preciso, quasi freddo. Ma questa parte è solo il trampolino per l’appello emotivo che segue. Il culmine del monologo arriva quando Randy sposta l’attenzione dal piano legale a quello morale.
"Un momento in cui il passato chiede qualcosa al presente": questa frase è il fulcro del discorso, perché collega l’ingiustizia storica alla responsabilità odierna. Randy richiama le atrocità del nazismo — persecuzioni, omicidi, saccheggi — per ricordare che dietro i dipinti ci sono vite umane, intere famiglie distrutte. In questo modo, l’argomento si sposta dal valore materiale del dipinto al significato etico della restituzione. La scelta delle parole, come "disumanizzavano" e "derubavano", è deliberatamente forte e punta a evocare un senso di colpa collettivo, ma senza risultare accusatoria: Randy non sta condannando gli austriaci presenti, ma li invita a riflettere sul loro ruolo come eredi di una storia complessa.
L’uso del pronome "noi" è particolarmente interessante. Randy non si pone come un semplice avvocato, ma come un interlocutore che condivide un’esperienza umana e culturale con gli austriaci, rafforzando l’idea di una responsabilità condivisa. Il discorso si chiude con una richiesta diretta, che fa appello non solo alla legge, ma all’empatia e all’identità nazionale: "Vi sto chiedendo come austriaci, come esseri umani, di riconoscere quell’errore". Questa frase sposta il caso dalla sfera individuale (Maria Altmann) a quella collettiva (l’Austria stessa), trasformandolo in una questione di dignità nazionale e umana.
Questo monologo rappresenta il punto culminante del film, sintetizzando i temi principali di Woman in Gold: la giustizia, il ricordo, e il confronto con un passato difficile. Randy non si limita a un’argomentazione legale, ma costruisce un discorso che si muove su più livelli: personale, culturale e morale. È un momento che mostra la crescita del personaggio, da un avvocato titubante a un uomo che ha compreso il valore profondo della sua missione. Allo stesso tempo, il monologo invita lo spettatore a riflettere sul significato dell’eredità storica e sul ruolo dell’arte come testimonianza di eventi e di vite umane.
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