Monologo - Will Smith in \"Sei gradi di separazione\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Will Smith in Sei gradi di separazione è uno dei momenti più intensi del film, in cui il suo personaggio, Paul, riflette sull’immaginazione come strumento essenziale per comprendere la realtà e se stessi. È un discorso diventa una riflessione universale sulla condizione umana, toccando temi come la percezione, l'identità e la paura dell'introspezione.

Immaginazione e realtà

RUOLO: Paul
ATTORE:
Will Smith
DOVE:
Amazon Prime Video



INGLESE


The imagination has been so debased that imagination -- being imaginative -- rather than being the lynchpin of our existence now stands as a synonym for something outside ourselves like science fiction or some new use for tangerine slices on raw pork chops -- what an imaginative summer recipe -- and Star Wars! So imaginative! And Star Trek -- so imaginative! And Lord of the Rings -- all those dwarves -- so imaginative -- The imagination has moved out out the realm of being our link, our most personal link, with our inner lives and the world outside that world -- this world we share. What is schizophrenia but a horrifying state where what's in here doesn't match up with what's out there? Why has imagination become a synonym for style? I believe that the imagination is the passport we create to take us into the real world. I believe the imagination is another phrase for what is most uniquely us. Jung says the greatest sin is to be unconscious. Our boy Holden says "What scares me most is the other guy's face -- it wouldn't be so bad if you could both be blindfolded -- most of the time the faces we face are not the other guys' but our own faces. And it's the worst kind of yellowness to be so scared of yourself you put blindfolds on rather than deal with yourself..." To face ourselves. That's the hard thing. The imagination. That's God's gift to make the act of self-examination bearable.



ITALIANO


L'immaginazione è stata così svilita che, a un certo punto, l'immaginazione, anziché essere il perno della nostra esistenza, oggi è il sinonimo di qualcosa che è totalmente al di fuori di noi, come la fantascienza, o, che so, l'uso delle fettine di mandarino o di arancia sulle braciole crude di maiale... ecco, una ricetta estiva fantasiosa. E Guerre stellari, così pieno di immaginazione! E Star Trek, così pieno di immaginazione! E Il signore degli anelli, tutti quei nanetti: quanta immaginazione! Oggi l'immaginazione ha cessato di rappresentare il nostro collegamento, il collegamento più profondo fra la vita interiore e il mondo che è al di fuori di noi, in cui viviamo tutti. Cos'è la schizofrenia, se non lo stato in cui quello che c'è qui dentro non corrisponde a quello che c'è di fuori? Perché l'immaginazione è diventata un sinonimo di stile. Io ritengo che l'immaginazione sia il passaporto che noi ci costruiamo per entrare nel mondo della realtà. Io credo che l'immaginazione sia solo un altro modo di definire l'unicità di ognuno di noi. Jung dice: " Il peccato più grave è la mancanza di coscienza". II giovane Holden dice: "Quello che mi fa più paura è la faccia dell'altro. Non sarebbe tanto male se potessimo essere tutti e due bendati". Molte volte le facce che abbiamo di fronte non sono quelle degli altri, ma sono le nostre. Ed è la peggior forma di vigliaccheria, questo avere così tanta paura di se stessi da coprirsi gli occhi piuttosto che affrontarsi. Guardarsi in faccia, è la cosa più difficile. L'immaginazione è un dono di Dio per aiutarci a rendere questo autoesame sopportabile.

Sei gradi di separazione

Sei gradi di separazione (Six Degrees of Separation, 1993), diretto da Fred Schepisi, è un film tratto dall’omonima pièce teatrale di John Guare. La storia esplora il concetto che ogni persona nel mondo sia collegata a qualsiasi altra attraverso un massimo di sei passaggi, ma lo fa attraverso una vicenda di inganni, identità sfuggenti e differenze di classe. I protagonisti della storia sono Ouisa e Flan Kittredge (Stockard Channing e Donald Sutherland), una coppia dell’alta società newyorkese che vive nel lusso e si muove tra gallerie d’arte e incontri con collezionisti facoltosi. Una sera, la loro routine viene sconvolta dall’arrivo di Paul (Will Smith), un giovane ben vestito e raffinato che sostiene di essere un compagno di studi dei loro figli ad Harvard e il figlio di Sidney Poitier.


Paul affascina i Kittredge con la sua cultura, il suo modo di parlare e il suo atteggiamento carismatico. Riesce a guadagnarsi la loro fiducia, ma presto il suo inganno viene svelato: non è chi dice di essere e sta girando per Manhattan ingannando altre famiglie benestanti con lo stesso copione. Il film segue la reazione dei Kittredge e degli altri personaggi coinvolti, esplorando il modo in cui il contatto con Paul ha scosso le loro certezze e messo in discussione la loro percezione delle relazioni umane.


La storia si muove tra commedia e dramma, alternando momenti ironici a riflessioni più profonde sulle apparenze e sul desiderio di connessione. Paul, con il suo inganno, mette in luce le insicurezze e le ipocrisie dell’élite culturale di New York, ma il suo fascino è tale che anche quando viene smascherato, continua a lasciare un segno su chiunque incontri.

Analisi Monologo

Paul inizia il discorso con una critica alla banalizzazione dell’immaginazione nella società moderna. La descrive come qualcosa che è stato ridotto a puro intrattenimento, un elemento decorativo della cultura pop, piuttosto che una forza vitale nella nostra esistenza. L’esempio del mandarino sulle braciole di maiale serve a evidenziare il paradosso: oggi l’immaginazione è celebrata solo in contesti superficiali, mentre ha perso il suo ruolo più profondo. Poi Paul ribalta la prospettiva: l’immaginazione è connessione, il mezzo con cui possiamo comprendere il mondo e noi stessi. Qui il discorso assume un tono quasi psicanalitico, quando introduce il concetto di schizofrenia come scollamento tra il mondo interiore e quello esterno. È una riflessione che tocca il cuore della sua stessa esistenza: Paul è un personaggio che vive di inganni, ma allo stesso tempo è alla ricerca di un’identità autentica.


Il passaggio più potente arriva quando Paul parla della paura di guardarsi in faccia. Qui il monologo diventa una riflessione sull’identità e sul modo in cui le persone evitano il confronto con se stesse. La citazione de Il giovane Holden rafforza il concetto di alienazione e disagio esistenziale, mentre il riferimento a Jung sottolinea l’importanza della consapevolezza come atto di coraggio. La chiusura del monologo è una sintesi perfetta: l’immaginazione è un dono, un mezzo per affrontare le verità scomode su chi siamo. È attraverso l’immaginazione che possiamo sopportare l’autoanalisi e, forse, trovare un senso di autenticità.

Conclusione

Questo monologo è centrale per comprendere il personaggio di Paul e il messaggio del film. Da un lato, rivela la sua intelligenza e il suo bisogno di essere ascoltato; dall’altro, è una dichiarazione sulla natura umana, sul desiderio di trovare un senso in un mondo frammentato. Paul è un impostore che cerca di ingannare gli altri, ma in questo momento sembra essere più sincero che mai. Il suo discorso è un manifesto sull’importanza dell’immaginazione come ponte tra il mondo interiore e quello esterno, tra chi siamo e chi potremmo diventare. È un momento di grande intensità emotiva, che lascia il pubblico con una domanda fondamentale: quanto siamo disposti a guardarci davvero in faccia?

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