Monologo - Steve Carell in \"The Four Seasons\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Nick alla figlia arriva in un momento critico della serie, quando il caos emotivo generato dalle tensioni tra gli adulti ha inevitabilmente contaminato anche il legame genitore-figlio. Nick, interpretato da Steve Carell, qui sceglie di esporsi. E lo fa con una sincerità che non cerca di ripulire gli errori, ma li guarda in faccia.

Non c'è struttura retorica, né un piano preciso: è il flusso disordinato di un padre che si arrende all'idea che l’unica cosa che può fare, a questo punto, è ammettere di aver fallito. E amare lo stesso.

Ti voglio bene

STAGIONE 1X6

MINUTAGGIO: 16:03-17:47

RUOLO: Nick

ATTORE: Steve Carell

DOVE: Netflix

INGLESE

In arrivo :)

ITALIANO

Si, hai preso da me. Ho stupidamente creduto che, aspettando che fossi andata al college non sarebbe stato un dramma, alla fine. Già, un imbecille del cazzo. Molti adulti sono imbecilli del cazzo. Mi ricordo che una vvolta quando aevo quindici anni, i miei stavano litigando, come facevano tante volt e eio intervenni, cercai di mediare, e mio padre provò a colpirmi. Beh, non tutto è un trauma. Comunque, in seguito, fecero pace e li trovai a guardare la tv insieme. E indovina? Erano mano nella mano. Capii che erano solo persone. Piene di difetti, diverse da me, strane a modo loro. Senti, so che sei arrabbiata. Te lo permetto. Puoi avercela con me finché ne avrai bisogno. Posso dire solo che ti voglio bene, e... ti voglio bene.

The Four Seasons

La trama di The Four Seasons si sviluppa attorno a un’idea tanto semplice quanto potente: cosa succede quando il tempo – quello vero, che scava lentamente sotto la superficie delle cose – inizia a logorare ciò che sembrava saldo, e lo fa sotto gli occhi di chi ti conosce da sempre? Ambientata nel corso di un anno e strutturata in otto episodi, ognuno legato simbolicamente a una stagione, la serie Netflix creata da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield prende spunto dall’omonimo film del 1981 di Alan Alda per raccontare le microfratture e i terremoti emotivi che colpiscono tre coppie di amici di lunga data: Kate e Jack, Nick e Anne, Danny e Claude.

Il punto di rottura arriva subito, durante quella che dovrebbe essere una vacanza tranquilla tra vecchi amici: Nick (Steve Carell), senza troppi giri di parole, annuncia di aver lasciato Anne (Kerri Kenney-Silver), sua moglie da venticinque anni, per Ginny (Erika Henningsen), una donna più giovane, spontanea e del tutto estranea al mondo emotivo e culturale del gruppo. Da lì, il castello di equilibri consolidati comincia lentamente a crollare.

Ogni episodio mette in scena un passo in quel percorso di svelamento a cui ogni personaggio è costretto: le maschere sociali, le abitudini, le dinamiche ormai automatiche all’interno di ogni coppia vengono messe in discussione. Ginny, in questo contesto, non è solo una presenza ingombrante: è la miccia che riaccende i fuochi sopiti del desiderio, della rabbia, della nostalgia. Ma soprattutto è lo specchio attraverso cui ciascuno è costretto a guardarsi per ciò che è diventato. Ciò che rende The Four Seasons interessante è il modo in cui tratta i legami di lunga durata: non li celebra, non li demolisce, ma li osserva con onestà e ironia. Kate e Jack (Tina Fey e Will Forte), ad esempio, incarnano il dilemma di una coppia che ha confuso la complicità con l’abitudine. Danny e Claude (Colman Domingo e Marco Calvani), invece, affrontano quelle piccole crepe invisibili che si insinuano anche nelle relazioni più equilibrate.

La scelta di legare ogni tappa della serie a una stagione dell’anno funziona anche come struttura narrativa che scandisce il progressivo smantellamento delle certezze. La primavera è la rinascita, l’inizio del cambiamento. L’estate porta la confusione e la voglia di lasciarsi andare. L’autunno introduce il disincanto, mentre l’inverno è il momento della resa dei conti.

Analisi Monologo

La frase d’apertura è già un rovesciamento emotivo: "Sì, hai preso da me. Ho stupidamente creduto che, aspettando che fossi andata al college, non sarebbe stato un dramma, alla fine." C’è una forma di confessione: Nick riconosce che la sua scelta di temporeggiare, di nascondere la verità o evitare lo scontro fino alla partenza della figlia per il college, è stata una forma di vigliaccheria mascherata da prudenza. E poi arriva quel "imbecille del cazzo" ripetuto, crudo, che rompe ogni formalità: è come se si auto-punisse con le stesse parole che immagina la figlia potrebbe pensare.

Il passaggio successivo, quello sull’episodio con i suoi genitori, è importante perché introduce una memoria generazionale: "Mio padre provò a colpirmi. Beh, non tutto è un trauma." Qui Nick dice una cosa scomoda, quasi politicamente scorretta, ma sinceramente sentita: la vita è piena di graffi, ma non tutti lasciano cicatrici indelebili. O forse sì, ma si può imparare a conviverci. Quel momento in cui trova i suoi genitori mano nella mano, dopo l’ennesimo litigio, è una epifania della complessità: gli adulti non sono modelli, non sono figure ideali. Sono solo persone.

Questo serve a gettare un ponte con la figlia. Non le sta chiedendo di capirlo, né di perdonarlo subito. Le sta dicendo: "anch’io ho scoperto tardi che i miei genitori erano solo esseri umani, e ora tocca a te scoprire che lo sono anch’io." Il culmine arriva nel finale: "Puoi avercela con me finché ne avrai bisogno. Posso dire solo che ti voglio bene, e... ti voglio bene." È un finale spoglio, senza svolte risolutive, ma con un’enorme carica affettiva. Nick non pretende redenzione, non offre spiegazioni esaustive. Offre solo una presenza affettiva costante. E quella ripetizione finale — "ti voglio bene, e... ti voglio bene" — è come se colmasse l’impotenza con l’unica cosa che gli resta: l’amore, senza condizioni.

Conclusione

Il monologo di Nick è il tipo di scena che mostra quanto conti la sottrazione, in una buona scrittura: niente frasi fatte, niente climax teatrali. Solo una verità detta male, ma detta. E nella sua goffaggine, nelle sue esitazioni, c’è qualcosa che emoziona più di cento discorsi perfetti. E’ un momento in cui un padre cade dal piedistallo, ma lo fa a occhi aperti, cercando di insegnare alla figlia — forse per la prima volta — che anche gli adulti sono fragili. E che riconoscerlo non è un segno di debolezza, ma di amore.

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