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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Sultan in House of Guinness è una testimonianza di dolore puro, sopravvivenza e assenza di Dio. Ambientato durante la grande carestia irlandese, questo testo drammatico offre una rara occasione per lavorare su sottrazione, respiro e verità. In questa guida analizziamo struttura, sottotesto, voce e interpretazione scenica.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Ambientata nella Dublino del tardo Ottocento, House of Guinness è un dramma storico familiare che mescola politica, religione, segreti e potere all’ombra del celebre birrificio Guinness.
Dopo la morte del patriarca Sir Benjamin Guinness, i quattro eredi – Edward, Arthur, Benjamin e Anne – si trovano a raccogliere un’eredità pesante e frammentata, in una città in fermento. L’Irlanda è attraversata dalle tensioni tra il dominio britannico e la crescente rabbia della Fratellanza Repubblicana Irlandese. In mezzo a questo scenario esplosivo, la casata dei Guinness è costretta a fare i conti con ricatti politici, scandali morali, matrimoni di facciata, passioni proibite e il rischio concreto di perdere tutto.
Ogni fratello ha il suo percorso: Edward è il cervello strategico, Arthur il politico riluttante, Anne una figura femminile fuori dal suo tempo, Benjamin un figlio fragile e perduto. Intorno a loro si muovono alleati ambigui, amanti pericolosi, e un’intera città in trasformazione.
House of Guinness è una serie dove ogni brindisi nasconde un’intenzione, ogni alleanza un doppio fine, e ogni scelta ha un prezzo.
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La domanda era: “Dov’è Dio?” La risposta è: “Dio non c’è.” Mio marito andò a Swinford a piedi, per prendere le sementi. Pioveva a più non posso. Ricevetti il messaggio che era arrivato al castello. Lo trovai morto, ucciso dalla fame. Corvi e gazze ladre sul suo corpo. E tre dei nostri figli, Donal, Brin, e Meif. Eravamo troppo deboli per scavare tombe. Hanno scavato una fossa, l’hanno lasciata aperta e li hanno buttati dentro. Quando sei così affamato non riesci a piangere. Nel ‘48 la pannocchia ci diede dei semi, ma avevamo così tanta fame che li cucinammo tutti, non rimase nulla da piantare. C’era il tifo, la dissenteria. Non avevamo più niente, per l’affitto. Così il barone Brown dalla casa che vostro padre aveva comprato iniziò gli sfratti. Mandò i suoi sgherri con le mazze di ferro, ci gettarono in mezzo ai campi. Altri due bambini… morti. Cait e Fionn. Poi ci furono le file di scheletri che camminarono fino a Killala Quay, dove i soldati li misero su una nave diretta in Quebec. Loro sono andati… Noi siamo rimasti.
La domanda era: “Dov’è Dio?” Pausa breve dopo “domanda”. Voce bassa, ferma, senza ironia.
La risposta è: “Dio non c’è.” Tono netto, privo di rabbia.
Mio marito andò a Swinford a piedi, per prendere le sementi. Ritmo lento, memoria che riaffiora.
Pioveva a più non posso. Frase più asciutta, quasi sussurrata.
Ricevetti il messaggio che era arrivato al castello. Mantiene voce ferma, ma il respiro si accorcia.
Lo trovai morto, ucciso dalla fame. Tono lineare, quasi documentaristico.
Corvi e gazze ladre sul suo corpo. Pronunciare “corvi” lentamente, poi accelerare leggermente su “gazze ladre”.
E tre dei nostri figli, Donal, Brin, e Meif. Pausa lunga dopo “figli”. Nomina i nomi lentamente, con una leggera inflessione affettiva.
Eravamo troppo deboli per scavare tombe. Voce più bassa, quasi rotta.
Hanno scavato una fossa, l’hanno lasciata aperta e li hanno buttati dentro. Ritmo meccanico, “hanno… hanno…” come un elenco senza vita.
Quando sei così affamato non riesci a piangere. Tono rivelatore, come una lezione imparata a caro prezzo.
Nel ‘48 la pannocchia ci diede dei semi, ma avevamo così tanta fame che li cucinammo tutti, non rimase nulla da piantare. Ritmo più fluido, come se stesse ancora raccontando un fatto concreto.
C’era il tifo, la dissenteria. Frase secca, detta quasi in apnea.
Non avevamo più niente, per l’affitto. Leggera pausa dopo “niente”, la voce si incrina appena.
Così il barone Brown dalla casa che vostro padre aveva comprato iniziò gli sfratti. Piccolo cambio di tono: la rabbia trattenuta emerge sotto la calma.
Mandò i suoi sgherri con le mazze di ferro, ci gettarono in mezzo ai campi. Crescendo leggero.
Altri due bambini… morti. Cait e Fionn. “Altri due bambini” va sospesa nel vuoto.
Poi ci furono le file di scheletri che camminarono fino a Killala Quay, dove i soldati li misero su una nave diretta in Quebec. Ritmo narrativo, quasi epico.
Loro sono andati… Noi siamo rimasti. Tono più profondo, come se la frase provenisse dallo stomaco.
Siamo nell’Episodio 3 di House of Guinness, durante uno dei momenti più crudi e realistici dell’intera serie. Anne, dopo aver subito un aborto spontaneo, viene soccorsa da Sultan, una donna del popolo, sopravvissuta alla fame, alla miseria e agli sfratti. Il monologo si svolge in un villaggio poverissimo, Cloonboo, devastato dalla carestia e dall’abbandono istituzionale. In 3 minuti intensissimi, Sultan racconta la perdita del marito, dei figli, della fede, e la sua condizione di sopravvissuta a un’epoca di dolore collettivo.
Domanda e risposta (“Dov’è Dio?”): attacco diretto alla religione e alla speranza. Sequenza dei lutti: marito, figli, semi, sfratti. Ricordo della carestia del 1848: dettaglio storico e familiare. Differenza finale tra “loro” e “noi”: sintesi politica e personale di chi è stato abbandonato. Il suo tono è piatto, vuoto, rassegnato. Ogni frase viene masticata con fatica, come se il dolore fosse stato digerito anni prima. La forza sta proprio nella sua assenza di emozione apparente: il trauma è passato, ma non ha lasciato spazio alla guarigione.
Obiettivo del monologo
Dare voce a chi non ha avuto diritto al dolore.
Sottotesto
“Non ho più nulla da perdere. Neanche la fede. Ma non voglio che tu pensi che siamo morti senza resistere.”
Azione minima
Fisica: postura ferma, seduta o in piedi, senza gesticolare. Le mani possono essere ferme sulle ginocchia o incrociate davanti.
Dinamica vocale
Volume basso, voce che sembra consumata dal tempo.
Ritmo molto lento, ma costante.
Usa le pause come tagli: ogni pausa è una fossa scavata nel discorso.
Nessun crescendo emotivo.
Le frasi con i nomi dei figli vanno isolate, onorate, ma senza pathos visibile.
Chiusa
“Loro sono andati… Noi siamo rimasti.”
Errori comuni da evitare
“Recitare” il dolore: questo testo non va interpretato con lacrime o urla. Va portato con sobrietà.
Riempire il silenzio: la forza del monologo sta nelle pause, nella voce che si ferma.
Usare emozioni generiche: ogni frase ha un dolore preciso, non si può trattare tutto allo stesso modo.
Aggiungere gesti teatrali: Sultan non si muove. Resiste.
Il finale della prima stagione si consuma in un crescendo di tensione politica e familiare. Arthur, ormai in corsa per il Parlamento, si trova al centro di una rete di complotti, segreti e rivalità incrociate. La Fratellanza Irlandese si prepara a colpire pubblicamente per dimostrare la sua forza. Ellen, divisa tra i suoi ideali e l’amore mai dichiarato per Edward, cerca di evitare il peggio, ma il suo avvertimento arriva troppo tardi.
Durante il comizio finale di Arthur, Patrick Cochrane – ritornato a Dublino assetato di vendetta – orchestra un attentato in pieno giorno, aprendo il fuoco proprio nel momento in cui i fratelli Guinness sembrano più uniti. Il colpo sparato chiude la stagione, lasciando lo spettatore sospeso tra la vita e la morte, senza sapere chi sia stato colpito.
Vuoi sapere cosa aspettarti dalla seconda stagione? Leggi la nostra analisi completa del finale e delle anticipazioni.
Quanto dura il monologo di Sultan? Circa 3 minuti pieni.
Che temi tratta il monologo? Tratta il lutto familiare, la fame storica in Irlanda, la perdita della fede, la sopravvivenza al trauma e la memoria come atto politico. Sultan è testimone di un’intera generazione dimenticata.
È un monologo emotivo o narrativo? È un monologo narrativo. Non si piange. Non si grida. È il racconto di chi ha già superato l’esplosione del dolore e ora convive con la cenere che ha lasciato.
Qual è la difficoltà principale? La gestione della sottrazione: l’attrice deve saper trattenere, non enfatizzare. Serve una padronanza della voce e del corpo nel lavorare a bassa intensità, mantenendo tensione interna costante.
Registi: Steven Knight
Sceneggiatura: Steven Knight
Produttori: Kudos Stigma Films
Cast principale: Anthony Boyle, Louis Partridge, Emily Fairn, Fionn O'Shea, David Wilmot, James Norton, Jack Gleeson
Colonna sonora / Musica: Ilan Eshkeri
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