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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo finale del Dottor Faust di Christopher Marlowe rappresenta un momento in cui la disperazione umana e l’ineluttabilità del destino si intrecciano in un crescendo emotivo. In queste righe, Faust si confronta con il tempo che si consuma, con l’inferno che lo attende e con la propria anima condannata. È un grido di disperazione contro l’universo, un dialogo impossibile con Dio e un confronto con il proprio fallimento. Attraverso immagini vivide e un linguaggio che alterna implorazioni e riflessioni esistenziali, Marlowe ci offre un ritratto indimenticabile dell’uomo che si è spinto oltre i confini della conoscenza, trovando invece il vuoto e la dannazione.
Ah, Faust,
hai solo un'ora di vita,
poi sarai dannato per sempre.
Fermatevi sfere del cielo che eternamente ruotate,
che il tempo finisca e mezzanotte non venga mai.
Occhio lieto della natura, sorgi, sorgi di nuovo e fai
un giorno eterno, o fai che un’ora duri
un anno, un mese, una settimana, un giorno,
che Faust possa pentirsi e salvare l’anima,
O lente lente currite noctis equi.
Le stelle ruotano, il tempo corre, l’orologio
suonerà, verrà il demonio e Faust sarà dannato.
Salirò fino a Dio! Chi mi trascina in basso?
Guarda, il sangue di Cristoallaga il firmamento;
e una sola goccia mi salverebbe, metà d’una goccia. Ah, mio Cristo,
non uncinarmi il cuore se nomino Cristo.
Lo dirò di nuovo. Risparmiami, Lucifero.
Dov’è? E’ scomparso. Vedo Dio che stende
il braccio e china la fronte minacciosa.
Montagne e colline, venite, franatemi addosso,
nascondetemi all’ira terribile di Dio.
No no?
Allora mi getto a capofitto nella terra:
apriti, terra. No, non mi dà riparo.
Stelle che regnavate alla mia nascita
e che mi avete dato morte e inferno,
risucchiatevi Faust come una nebbia
nelle viscere di quelle nubi incinte,
affinché, quando vomitate n aria, il corpo
cada dalle bocche fumose
ma l’anima salga al cielo.
L’orologio suona.
Ah, mezz’ora è passata. Presto passerà tutta.
Dio, se non vuoi avere pietà di quest’anima,
almeno per amore di Cristo il cui sangue mi ha riscattato,
assegna un termine alla mia pena incessante:
che Faust resti all’inferno mille anni,
centomila, e alla fine sia salvato.
Ma non c’è fine alle anime dannate.
Perché non sei una creatura senz’anima?
Perché la tua deve essere immortale?
Metempsicosi di Pitagora, fossi vera,
l’anima mi lascerebbe, sarei mutato
in una bestia bruta.
Felici le bestie che morendo
cedono l’anima agli elementi,
ma la mia vivrà torturata in eterno.
Maledetti i genitori che mi fecero!
No, Faust, maledici te stesso, maledici Lucifero
che ti ha privato del cielo.
L’orologio suona mezzanotte.
Suona, suona! Corpo, trasformati in aria,
o Lucifero ti porterà all’inferno.
Anima, mutati in piccole gocce d’acqua
e cadi nell’oceano, nessuno ti trovi.
Tuono, ed entrano i diavoli.
MIo Dio, mio Dio, non guardarmi così feroce!
Serpi e vipere, lasciatemi vivere ancora un poco.
Inferno orribile, non aprirti. Non venire, Lucifero.
Brucerò i miei libri. Ah, Mefistofele.
Escono con Faust.
La trama del "Dottor Faust" (Faust, o Doctor Faustus) è una delle storie più affascinanti della letteratura e del teatro occidentale. La sua origine affonda le radici nella tradizione popolare tedesca e fu immortalata in due opere fondamentali: il dramma di Christopher Marlowe (The Tragical History of Doctor Faustus, 1604) e il poema drammatico di Johann Wolfgang von Goethe (Faust, pubblicato in due parti tra il 1808 e il 1832). Le due versioni differiscono per tono e tematiche, ma condividono l’ossatura della trama.
L'opera di Marlowe è uno dei pilastri del teatro elisabettiano e segue un arco narrativo compatto e tragico: Il dottor Faustus, un erudito insoddisfatto della conoscenza tradizionale (teologia, medicina, filosofia), desidera accedere a un sapere superiore. Decide di rivolgersi alla magia nera per ottenere poteri straordinari e la conoscenza assoluta. Evoca così il demone Mephistofele, servitore di Lucifero, e stipula un patto infernale: in cambio della sua anima, Faust avrà ventiquattro anni di potere illimitato.
Con l’aiuto di Mefistofele, Faust intraprende una vita di piaceri, incantesimi e dimostrazioni spettacolari. Ma comincia a rendersi conto del costo morale della sua scelta. In momenti di lucidità, pensa di pentirsi e rivolgersi a Dio, ma è incapace di liberarsi dall’influenza di Mephistopheles e dalla paura della dannazione. Con il tempo, Faust diventa disilluso: il suo potere non gli porta vera soddisfazione, e il senso di vuoto cresce. Continua a evitare il pentimento, ormai convinto che il suo destino sia irrevocabile. I ventiquattro anni scorrono, e Faust si avvicina inesorabilmente alla scadenza del patto.
Nella scena finale, Faustus è consumato dal terrore mentre il tempo scade. Nonostante un ultimo, disperato tentativo di cercare la misericordia divina, viene trascinato all’inferno da un corteo di demoni, un monito potente sulle conseguenze dell’ambizione sfrenata e della disconnessione spirituale.
Questo monologo, tratto dal "Dottor Faust" di Christopher Marlowe, rappresenta uno dei momenti più intensi e tragici del teatro elisabettiano. È l’apice della disperazione del protagonista, intrappolato nel tempo e incapace di sfuggire alla dannazione eterna che ha scelto quando ha stipulato il suo patto con il demonio.
La narrazione è scandita dal ticchettio incessante del tempo che passa, enfatizzato dall’orologio e dal riferimento alla mezzanotte, simbolo del termine del patto e dell’inizio della dannazione. L’orologio diventa un elemento metaforico, un giudice implacabile che segna l’avvicinarsi dell’inevitabile. "Fermatevi sfere del cielo che eternamente ruotate": Faust invoca il cosmo per fermare il tempo, un gesto disperato che sottolinea l’inutilità della sua posizione. Il cielo, simbolo dell’eternità divina, continua a muoversi indifferente al suo tormento. "Ah, mezz’ora è passata": Questa misurazione del tempo in segmenti sempre più piccoli riflette l’angoscia crescente di Faust e la sua impotenza di fronte alla finitezza del tempo umano contro l’eternità.
Faust cerca disperatamente la redenzione, invocando Cristo e Dio, ma le sue parole sono accompagnate da dubbi e timori. È incapace di credere veramente nella possibilità di essere salvato, incatenato alla sua scelta iniziale e al peso della sua anima immortale. "Una sola goccia mi salverebbe": Qui Faust si appella al sacrificio di Cristo, simbolo di redenzione, ma il tono implorante tradisce la sua mancanza di fede totale. Questa mancanza è il cuore della tragedia: Faust non può essere salvato perché non riesce a credere fino in fondo. "Dio, se non vuoi avere pietà di quest’anima": L’implorazione dimostra la sua frustrazione verso l’apparente silenzio divino. È il culmine della sua lotta tra la speranza di un miracolo e la consapevolezza della sua condanna.
La dannazione di Faust è un tormento esistenziale. La consapevolezza dell’immortalità dell’anima lo distrugge. Sogna la possibilità di essere una creatura mortale o persino un animale, il cui spirito si disperde nella natura alla morte. "Felici le bestie che morendo cedono l’anima agli elementi": Qui risiede il cuore della tragedia esistenziale di Faust. L’uomo, dotato di un’anima immortale, è anche l’unico essere capace di sperimentare l’eternità del dolore. "Metempsicosi di Pitagora, fossi vera": La disperazione lo porta a riflettere su filosofie alternative che potrebbero liberarlo dalla condanna. Il riferimento alla reincarnazione pitagorica sottolinea il suo desiderio di un destino diverso, una via di fuga.
Lucifero rappresenta l’architetto della caduta di Faust, ma non appare mai come una figura che forza le sue scelte. Faust si maledice per aver ceduto al desiderio di potere e conoscenza. "Maledici te stesso, maledici Lucifero": Qui Faust esprime la piena consapevolezza della propria responsabilità nella sua caduta. Lucifero è il tentatore, ma Faust ha scelto di seguire il sentiero della perdizione.
Marlowe utilizza un linguaggio altamente evocativo per dipingere la disperazione di Faust. Le immagini di sangue, serpenti, montagne e inferno sono potenti e creano un senso di angoscia. "Guarda, il sangue di Cristo allaga il firmamento": L’immagine del sangue versato per il sacrificio diventa un simbolo visivo che tormenta Faust, ricordandogli la redenzione che ha rifiutato. "Serpi e vipere, lasciatemi vivere ancora un poco": Le creature infernali diventano manifestazioni tangibili della sua dannazione, accentuando il terrore viscerale del protagonista.
Nell’ultimo grido, Faust esclama: "Brucerò i miei libri", un riferimento al sapere che lo ha condotto alla rovina. I libri, simbolo della sua sete di conoscenza, sono ora percepiti come oggetti maledetti. È un gesto che rappresenta il fallimento del suo percorso intellettuale e la presa di coscienza del suo errore. Il monologo culmina con l’arrivo dei demoni e la presa definitiva di Faust. Non c’è più lotta: Faust accetta passivamente il suo destino, pur continuando a invocare aiuto fino all’ultimo istante. "Suona, suona! Corpo, trasformati in aria": Il desiderio di dissolversi è l’ultimo tentativo di sfuggire alla sofferenza eterna. "Escono con Faust": La scena si conclude con un’azione secca e implacabile, un finale che lascia lo spettatore nell’angoscia della sua ineluttabilità.
Il monologo finale del Dottor Faust è un monumento teatrale al conflitto tra ambizione e limite, tra speranza e disperazione. Le ultime parole di Faust sono il riflesso di una tragedia profondamente umana: la consapevolezza di essere gli artefici del proprio destino e, al contempo, incapaci di sfuggirgli. Con la sua maestria, Marlowe ci lascia con un’immagine inquietante: Faust trascinato via dai demoni, mentre il tempo e il cosmo continuano indifferenti il loro corso.
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