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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo finale di Tom è uno dei passaggi più intensi della drammaturgia americana del Novecento. Qui il protagonista-narratore, dopo aver raccontato la storia della sua famiglia, ammette davanti al pubblico di non essere mai riuscito davvero a liberarsi da Laura. Se all’inizio aveva promesso una verità “dietro la maschera dell’illusione”, alla fine offre l’essenza di quella verità: la fuga non cancella il legame affettivo, anzi lo amplifica, trasformandolo in ossessione. Williams costruisce questo monologo come una confessione sospesa tra il linguaggio realistico e quello lirico, in cui gli oggetti concreti diventano metafore di una ferita che non si chiude.
Non andai sulla luna, molto più lontano andai… perché è il tempo la linea più lunga tra due punti.
Poco tempo dopo mi licenziarono per aver scritto una poesia su una scatola di scarpe.
Lasciai Saint Luis. Discesi per l’ultima volta i gradini di questa scaletta, e seguii da allora le orme di mio padre, cercando di riprendere in moto quel che era perduto in spazio.
Viaggiai e viaggiai. Le città sfioravano come foglie morte, foglie dai colori vivaci, ma avulse dal ramo.
Avrei voluto fermarmi, ma qualcosa mi perseguitava. Mi prendeva all’improvviso, mi coglieva a tradimento.
Forse un motivo familiare. O forse il riflesso di un pezzo di vetro.
Una sera, magari, cammino per strada in una città straniera, senza compagni. Passo davanti alla vetrina illuminata di un negozio di profumi. La vetrina è piena di vetri colorati, di sottile bottigliette multicolori, quasi un arcobaleno in frantumi.
Ecco, a un tratto mia sorella mi tocca sulla spalla.
Mi volto e la guardo negli occhi.
Oh Laura, Laura, ho fatto di tutto per staccarmi da te, ma sono più fedele di quanto volessi.
Accendo una sigaretta, traverso la strada, mi butto in un cinema o in un bar, tracanno un bicchierino, parlo al primo che trovo… tutto pur che si spengano le tue candele… perché oggi il mondo è rischiarato dai lampi! Spegni le candele Laura… e addio!
Lo zoo di vetro (titolo originale The Glass Menagerie, 1944) è il dramma che ha lanciato Tennessee Williams e che già contiene molti dei suoi temi fondamentali: la fragilità umana, l’impossibilità di conciliare sogno e realtà, il peso del ricordo come prigione e come rifugio. La prima chiave da considerare è che Tom non racconta gli eventi “così come sono stati”, ma come li ricorda. È una memoria filtrata, piena di colpe, rimorsi e immagini deformate dal tempo. Questo rende l’intero dramma un memory play: gli oggetti, le luci, le atmosfere non sono realistici, ma evocativi. Quando Tom dice che offrirà “verità dietro la piacevole maschera dell’illusione”, dichiara apertamente il programma poetico di Williams: il teatro non deve imitare la realtà, ma tradurla in simboli emotivi.
Per questo le luci sono soffuse, i dialoghi spesso sospesi, gli oggetti (come la collezione di vetro di Laura) assumono un valore metaforico più forte della loro funzione pratica. Lo spettatore non è di fronte a una cronaca domestica, ma a un ricordo che vibra di colpa e nostalgia.
Amanda Wingfield è il personaggio più teatrale, nel senso di “personaggio che recita”. Ex ragazza di buona famiglia del Sud, vive proiettata nel mito del suo passato, fatto di ricevimenti e corteggiatori. Non accetta la realtà presente: la povertà, l’abbandono del marito, l’handicap di Laura. Il suo parlare ossessivo, pieno di aneddoti sul “vecchio Sud”, è un tentativo disperato di trattenere un mondo che si è già dissolto. In questo Amanda diventa un simbolo di un’America che si modernizza a velocità vertiginosa, lasciando indietro chi non sa adattarsi. Laura è il cuore poetico del dramma. Timida, fragile, chiusa in sé stessa, costruisce un microcosmo in cui rifugiarsi: la sua collezione di animaletti di vetro. L’unicorno, con il suo corno spezzato, è il simbolo centrale. Spezzandosi, diventa un cavallo “normale”: proprio come Laura, che per un attimo, danzando con Jim, sembra uscire dalla sua condizione di isolamento. Ma quella normalità dura un istante, subito negata dalla rivelazione del fidanzamento di Jim. L’unicorno spezzato resta un ricordo di quella breve illusione di appartenenza al mondo.
Tom è il personaggio più vicino all’autore: giovane poeta intrappolato in un lavoro alienante, soffocato da una madre invadente e dalla responsabilità verso la sorella. Il suo rifugio è il cinema, “luogo di avventure surrogate”, come lui stesso lo definisce. La tensione che attraversa tutto il dramma è il conflitto fra il desiderio di libertà e il senso di colpa. Tom sogna di fuggire come fece suo padre, ma sa che lasciando Laura la condannerebbe a un’esistenza di solitudine. La sua uscita finale non è una liberazione totale: è una fuga pagata con il tormento del ricordo. Jim è l’ospite, il cosiddetto “gentleman caller” che Amanda attende come salvezza per la figlia. È l’unico personaggio con i piedi saldi nella realtà: ottimista, pragmatico, convinto che con disciplina e fiducia si possano superare gli ostacoli. La sua presenza accende per un momento una speranza, ma proprio la sua promessa di matrimonio con un’altra donna distrugge quell’illusione. Jim, senza volerlo, diventa la conferma che il mondo esterno non è fatto per Laura.
Il tema dell’illusione
Ne Lo zoo di vetro tutti vivono di illusioni: Amanda nel mito del suo passato aristocratico. Laura nel suo giardino di vetro. Tom nel sogno di diventare poeta ed evadere. Jim nella fiducia cieca nel progresso personale.
L’illusione è necessaria, ma è anche una condanna: protegge, ma impedisce di affrontare la realtà. Williams costruisce così un dramma domestico che si trasforma in riflessione sull’esistenza stessa.
Tom dice: “Non andai sulla luna, molto più lontano andai… perché è il tempo la linea più lunga tra due punti.” Non si tratta di una distanza geografica, ma esistenziale. Lontano dalla famiglia, dal lavoro, dalla casa di Saint Louis, Tom viaggia attraverso città che “sfiorano come foglie morte”. È un vagabondare senza radici, segnato dall’impossibilità di fermarsi. Il tempo, non lo spazio, è ciò che lo separa da Laura. La fuga, quindi, non porta salvezza, ma solo un allontanamento che acuisce il dolore.
Il momento centrale arriva quando Tom descrive la visione della sorella: “Ecco, a un tratto mia sorella mi tocca sulla spalla. Mi volto e la guardo negli occhi.” Laura appare come un fantasma evocato dal vetro colorato di una vetrina. Questo dettaglio è fondamentale: il vetro non è più solo quello degli animaletti, ma un simbolo onnipresente che perseguita Tom ovunque vada. Non importa quante città attraversi: un riflesso di luce lo riporta a quel salotto di Saint Louis, a quella sorella fragile che ha lasciato indietro.
Tom elenca i gesti quotidiani con cui cerca di scacciare il ricordo: accendere una sigaretta, attraversare la strada, buttarsi in un cinema o in un bar. Sono gli stessi rifugi che aveva già usato da giovane: il cinema come illusione, l’alcol come anestetico, la compagnia casuale come distrazione. Ma nessuno di questi strumenti basta. Laura riemerge sempre.
Il monologo culmina con la contrapposizione fra le candele e i lampi: le candele sono Laura, il suo mondo fragile e intimo, la dimensione domestica e crepuscolare del ricordo. I lampi sono il presente, violento e caotico, il mondo moderno che sostituisce la memoria con il fragore della vita esterna.
Tom chiede a Laura di spegnere le candele, cioè di liberarlo dalla colpa del passato. Ma è un gesto impossibile: Laura non può davvero spegnerle, perché lei vive solo nel ricordo che lo perseguita. Questo monologo rivela che la fuga di Tom non è una scelta di libertà, ma una condanna a vivere come suo padre: lontano, ma sempre in catene. Le ultime parole, “Spegni le candele, Laura… e addio!”, hanno la forza di una supplica e il peso di una sconfitta.
Il monologo finale di Tom è il culmine poetico dello Zoo di vetro. È un congedo che non libera, ma incatena: l’addio a Laura non è un vero addio, perché lei continua a vivere in ogni immagine di vetro, in ogni riflesso di luce. Tennessee Williams chiude così il dramma con un paradosso struggente: chi fugge non smette mai di portare con sé ciò da cui scappa. Tom diventa così il simbolo di chi cerca la libertà e trova invece un esilio interiore, fatto di rimorso e memoria eterna.
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