Monologo - Toni Servillo in \"La grande bellezza\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo che Jep Gambardella rivolge a Stefania in La grande bellezza è uno dei momenti più potenti del film. È un discorso che va oltre l'umiliazione personale della donna per mettere a nudo una verità universale: la fragilità umana nascosta dietro le maschere di perfezione e moralismo. In questo confronto verbale, Jep smonta con precisione chirurgica le ipocrisie di Stefania, una donna che si presenta come un modello di virtù e impegno civile, per poi trascendere l'attacco personale e arrivare a una riflessione che coinvolge tutti i personaggi, lui compreso.

Donna con le palle...

MINUTAGGIO: 50:00-52:10

RUOLO: Jep Gambardella
ATTORE:
Toni Servillo
DOVE:
Netflix



ITALIANO


Su donna con le palle crollerebbe qualsiasi gentiluomo. Stefa, lo hai voluto tu, è? In ordine sparso: la tua vocazione civile ai tempi dell’università non se la ricorda nessuno, molti invece ricordano un’altra tua vocazione che si esprimeva a quei tempi, ma si consumava nei bagni dell’università; la storia ufficiale del Partito l’hai scritta perché per undici anni sei stata l’amante del capo del Partito; i tuoi undii romanzi pubblicati da una piccola casa editrice foraggiata dal partito, recensita da piccoli giornati vicini al partito. Sono romanzi irrilevanti, lo dicono tutti; ciò non togli che anche il mio romanzetto giovanile fosse irrilevante, su questo ti do ragione. La tua storia con Eusebio, ma quale? Eusebio è innamorato di Giordano, lo sanno tutti. Da anni pranzano tutti i giorni da Arnaldo, sotto l’attaccapanni come due innamoratini, sotto la quercia, lo sanno tutti e fate finta di nulla. L’educazione dei figli ch tu condurresti con sacrificio minuto per minuto… lavori tutta la settimana in televisione, esci tutte le sere, pure il lunedì, quando non si manifestano neppure gli spacciatori di popper. I due figli stanno sempre senza di te, pure durante le vacanze lunghe che ti concedi, poi hai per la precisione un maggiordomo, un cameriere, un cuoco, un autista che accompagna i ragazzi a scuola, tre baby sitter. Insomma, come e quando si manifesta il tuo sacrificio. Queste sono le tue menzogne e fragilità. Stefà. Madre e donna. Hai cinquantatre anni, una vita devastata, come tutti noi. Allora invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro… o no?

La grande bellezza

La grande bellezza (2013), diretto da Paolo Sorrentino, è un film che si muove tra l'estetica della decadenza e il vuoto dell'esistenza, un'opera che esplora il disincanto e il senso di perdita in una Roma sontuosa e indifferente. Al centro della storia c'è Jep Gambardella (interpretato da Toni Servillo), un giornalista e scrittore ormai sessantacinquenne che vive immerso nella mondanità della capitale italiana.


Jep, autore di un unico romanzo di successo pubblicato molti anni prima, conduce una vita frivola e superficiale tra feste sfarzose, incontri eccentrici e dialoghi brillanti, ma privi di vero significato. È il re indiscusso della "dolce vita" contemporanea romana, un uomo carismatico e cinico, sempre al centro delle conversazioni e della mondanità. Tuttavia, il suo mondo dorato comincia a sgretolarsi quando, il giorno del suo sessantacinquesimo compleanno, si rende conto di non aver mai davvero vissuto una vita autentica. La morte di Elisa, il suo primo e forse unico amore, fa riaffiorare in lui ricordi e domande rimaste in sospeso per decenni. Il rapporto con Elisa, che lui scopre essere rimasta legata a lui per tutta la vita, diventa uno specchio doloroso attraverso cui Jep inizia a guardare il vuoto della sua esistenza attuale.


Questo evento lo spinge a riflettere sul suo passato, sulle sue scelte e sull'essenza stessa della bellezza che lo circonda.

Attraverso una serie di incontri con personaggi altrettanto persi e frammentati – una spogliarellista che aspira a una vita diversa, un cardinale ossessionato dalla cucina, artisti incomprensibili, amici di vecchia data e una suora di 104 anni che rappresenta una sorta di purezza ormai irraggiungibile – Jep si trova a interrogarsi sul senso della sua vita. La città di Roma, con la sua magnificenza e il suo decadimento, diventa una metafora perfetta per la sua condizione interiore: eterna, ma al tempo stesso priva di anima.


Nel corso del film, Jep oscilla tra il cinismo e il desiderio di ritrovare quella "grande bellezza" che un tempo lo aveva ispirato, ma che ora sembra irraggiungibile. La sua Roma non è più quella degli antichi fasti imperiali o della dolce vita felliniana, ma un luogo dove la bellezza è soffocata dalla superficialità e dalla finzione.


Jep non cerca una redenzione morale o una rinascita spirituale: il film non offre una soluzione definitiva al suo tormento. Tuttavia, verso il finale, Jep sembra trovare una sorta di serenità nella consapevolezza della propria fragilità, accettando il fatto che la bellezza è effimera e che la vita, nel suo complesso, è una lunga sequenza di esperienze frammentate.

Analisi Monologo

Il monologo si sviluppa in due fasi principali. La prima parte è un'accusa frontale, brutale, quasi spietata. Jep smonta una per una le illusioni e le menzogne di Stefania: la sua "vocazione civile", il presunto successo come scrittrice, il sacrificio come madre. Con ironia pungente e dettagli precisi, Jep delinea un ritratto in cui Stefania si rivela piena di contraddizioni. Non lo fa per rabbia o per vendetta personale, ma per sfidare la facciata morale che lei ostenta, mettendola di fronte alla realtà dei suoi errori e dei suoi compromessi. Il tono, apparentemente sarcastico e cinico, cela in realtà una forma di lucidità disarmante. Jep non si pone su un piedistallo: ammette che anche il suo romanzo giovanile fosse irrilevante e, implicitamente, riconosce che tutti i personaggi del film – lui incluso – vivono in un mondo di menzogne e fragilità.


Stefania, con il suo moralismo ostentato, diventa il bersaglio ideale per incarnare un atteggiamento ipocrita e diffuso nella società: l’illusione di una vita "perfetta" costruita sull’apparenza.


Nella seconda parte, il monologo si sposta su un piano più ampio e universale. Jep abbandona l’attacco personale per includere Stefania (e se stesso) in un’unica categoria: quella degli esseri umani imperfetti, vulnerabili, e sull’orlo della disperazione. La frase finale, "Siamo tutti sull’orlo della disperazione... non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro... o no?" è l’apice del discorso e rappresenta il messaggio centrale del monologo. Non si tratta più di giudicare Stefania, ma di accettare che nessuno è immune dalla fragilità e dalla fallibilità. La disperazione, anziché dividerci, dovrebbe unirci in un sentimento di comprensione reciproca.

Conclusione

Il monologo di Jep Gambardella a Stefania è un microcosmo del film stesso: un momento in cui il cinismo lascia spazio a una riflessione più profonda sull'esistenza umana. Jep si presenta come un giudice spietato, ma il vero significato del suo discorso non è la condanna, bensì la comprensione. Distruggendo l’illusione di perfezione di Stefania, Jep apre uno spiraglio di verità, rivelando la necessità di abbandonare le maschere e di accettare la propria vulnerabilità. Il suo discorso non è solo un attacco personale, ma una chiamata all'onestà emotiva, un invito a condividere le proprie debolezze invece di nasconderle dietro un'apparente superiorità morale.

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