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~ LA REDAZIONE DI RC
Interpretare il monologo di Gino La Monica da “Il 7 e l’8” ”richiede di entrare nella mente di un personaggio che vive un profondo senso di ingiustizia, che si trasforma in rabbia e, infine, in un delirio di onnipotenza. Gino è un uomo comune, qualcuno che la vita sembra aver sempre ignorato, fino a quando un evento apparentemente banale — perdere per un solo numero il biglietto vincente della lotteria — lo porta a un punto di rottura. Questo monologo è un viaggio nella psiche di un uomo che, schiacciato dalla frustrazione, arriva a compiere un gesto estremo per affermare il proprio potere sul destino.
MINUTAGGIO: 46:01-50:21
RUOLO: Gino La Monica
ATTORE: Tony Sperandeo
DOVE: Netflix
ITALIANO
Tutta colpa di quella maledetta, quella maledettissima vecchia. Quella, vecchia, quella vecchia, una ne conosco, la vecchio. Mi trovavo a Roma in vacanza, in vacanza mi trovavo a Roma. Quella notte, mi affaccia, mi apparve diciamo, mia madre nel sogno, ogni tanto lo fa, e mi dice: “Gino, ti devo dare una bella notizia” “Dimmi, mamma, dimmi” “Ti devi andare a comprare il biglietto per la lotteria di Capodanno” “Si, e perché?” “Perché vinci, figlio caro, capisci! Vinci, vinci!” Arrivo al tabacchino, e chi c’era? La vecchia, davanti a me, che non si decideva ad andarsene. E comincio a pensare: (In siciliano) E se stesse prendendo il biglietto che mi ha detto mamma?” E pensavo: “E se si sta fottendo il biglietto mio, quello che mi ha detto mamma” E se la vecchia se lo fotte, il mio biglietto, che dobbiamo fare. A un tratto successe quello che doveva succedere. Un segno fu, un segno… Sei gennaio… La notte delle Befane. Mi stavo guardando la televisione, nella stanza degli infermieri, al Sacro Cuore. C’era da impazzire. Mi veniva da piangere. Dici, perché? Perché il biglietto vincente era quello che aveva comprato la vecchia. C come C, I come I, 38408. Io avevo il biglietto C come C, I come I, 384…07. Un numero. Uno. 200 milioni del 1975 che ora sono miliardi. Il 7… al posto dell’8. Il 7 al posto dell’8. Senza sapere perché… mi ritrovai davanti alla vetrata della nursery. C’era un neonato, che si agitava. Sembrava che mi stava chiamando. Stava nella culla numero 7. Si agitava, si agitava. Nell’altra culla numero 8, quello accanto, il neonato dormiva. L’8 dormiva, il 7 si agitava, il 7 si agitava, l’8 dormiva. Fu li che mi scattò l’idea. Se il destino, se il caso, Dio… aveva deciso di prendermi per il culo. Quella era l’occasione giusta di vendicarmi, e quindi di diventare io il destino, io il caso, io Dio! Sissignore, Dio! E quindi niente. Li ho scabmbiati. Che importanza c’è. Il 7 al posto dell’8. L’8 al posto del 7. Nessuno s’è accorto di niente, di niente. L’indomani vengono papà e mamma e se li portano. Ma chiedo scusa… voi chi minchia siete.
"Il 7 e l’8" è una commedia italiana del 2007, scritta, diretta e interpretata dal duo comico Ficarra e Picone insieme a Giambattista Avellino. Questo film ha segnato un momento importante nella carriera di Ficarra e Picone, portando la loro comicità siciliana sul grande schermo e mescolando abilmente umorismo e tematiche legate all'identità e alle radici.
La storia ruota intorno a un’idea brillante e piuttosto semplice: Salvo (Salvo Ficarra) e Valentino (Valentino Picone) sono due ragazzi nati lo stesso giorno nello stesso ospedale di Palermo, ma appartenenti a famiglie completamente diverse. Salvo proviene da una famiglia modesta e con un passato di piccoli crimini, mentre Valentino è cresciuto in una famiglia borghese e protettiva. Il twist narrativo si presenta subito all'inizio: a causa di uno scambio di culle in ospedale, i due sono cresciuti con le famiglie sbagliate.
Passano 30 anni prima che questo segreto venga alla luce. A causare la scoperta è uno scontro casuale tra i due, che culmina con l’inizio di una serie di eventi assurdi e comici. Una volta scoperta la verità, i due personaggi si trovano costretti a confrontarsi con vite che non gli appartengono del tutto ma che, in qualche modo, li hanno modellati. Valentino, infatti, si sente fuori posto nella sua famiglia, soffocato dalle aspettative; Salvo, al contrario, ha sviluppato una personalità "di strada" che gli calza fin troppo bene. Questa inversione di ruoli tra chi avrebbe potuto essere e chi è diventato costituisce il nucleo comico e riflessivo del film.
Il monologo di Gino La Monica che hai citato è un concentrato di rabbia, delusione e follia, con una buona dose di ironia e fatalismo. È un pezzo che parte da un episodio banale e assurdo, per sfociare in un atto estremo, dettato dalla volontà di "vendetta cosmica" contro un destino beffardo.
Il racconto inizia con un tono apparentemente normale, quasi ingenuo: Gino si trova in vacanza a Roma, una scena ordinaria, quasi spensierata. Il suo linguaggio è semplice, colloquiale, con ripetizioni che danno al discorso un ritmo ossessivo, come se il protagonista fosse intrappolato in un pensiero fisso. La ripetizione costante di parole come "vecchia" e la struttura stessa delle frasi trasmettono la sua esasperazione e impazienza.
Il passaggio al dialetto siciliano ("E se si sta fottendo il biglietto mio") non è casuale. Gino si esprime nel modo più autentico e passionale quando la situazione si complica: il dialetto intensifica la tensione e il senso di appartenenza a una cultura che fa da sfondo alle sue azioni. In questo modo, il monologo alterna momenti di lucidità e di delirio, fino alla decisione finale di compiere un gesto che supera ogni logica razionale.
Il tema centrale è la beffa del destino, rappresentata dal fatto che Gino perde per un solo numero un’ingente somma di denaro, in una situazione in cui lui stesso si era convinto di essere il predestinato alla vittoria. Quando scopre che il biglietto vincente è quello comprato dalla "vecchia" che gli stava davanti in fila, Gino si sente tradito dal fato, come se un'entità superiore avesse deciso di prendersi gioco di lui. La ripetizione del "7" e dell’"8" diventa così il simbolo di un destino che si diverte a illudere e a ingannare, cambiando le sorti per un dettaglio minuscolo, apparentemente insignificante.
È in questa frustrazione che scatta la follia di Gino. La sequenza della nursery, dove vede due neonati nelle culle numerate "7" e "8", diventa il momento di epifania e insieme di perdizione: Gino decide di "diventare Dio" e di scambiare i neonati, replicando in modo blasfemo quello scherzo che il destino ha giocato a lui. È qui che il monologo cambia profondità: Gino non è solo arrabbiato per la perdita materiale, ma è mosso da un desiderio di rivalsa metafisica, di prendere in mano il destino, di piegarlo alla sua volontà. Lo scambio dei neonati è un atto simbolico potente, che riflette una visione distorta di giustizia, in cui la vendetta è cieca e non si cura delle conseguenze. Gino cerca un controllo che non ha mai avuto, rispondendo all'impotenza con un gesto estremo e irreparabile.
La chiusura del monologo ("Ma chiedo scusa… voi chi minchia siete") riporta alla realtà e svela l’assurdità della situazione. Gino non solo ha scambiato due vite senza scrupoli, ma sembra vivere in uno stato di alienazione totale, privo di ogni legame o senso di responsabilità. In una battuta, è come se ammettesse di non riconoscere più nemmeno le persone che lo circondano, a testimonianza di come il suo gesto, per quanto folle, fosse per lui l’unico modo di sfuggire a una vita di frustrazione.
In questo monologo, Gino La Monica è un antieroe tragico e grottesco, la cui vendetta contro il destino rappresenta un grido di rivalsa e al contempo un atto di autoalienazione. L’attore deve mostrare come il personaggio si perda in questo desiderio di “controllare” la sua sorte, arrivando al punto di sostituirsi a Dio, senza mai considerare le conseguenze del suo gesto. Il risultato finale dovrebbe far emergere la tragicommedia della sua esistenza: un uomo che ha provato a diventare “qualcuno” sfidando il destino, ma che finisce solo per isolarsi dal mondo e da se stesso, in un gesto disperato e quasi ridicolo.
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