Monologo del Vecchio al bagno in La Haine: testo, significato e analisi per attori

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi del monologo del vecchio in bagno in "La Haine - L'odio"

Il monologo del vecchio in La Haine è una delle scene più discusse del film di Kassovitz grazie al suo equilibrio tra ironia e memoria dolorosa. In pochi minuti il racconto del deportato introduce temi legati al pudore, alla solitudine e alla perdita, proponendo un contrasto netto con l’energia dei tre protagonisti. Questa storia inserita in un bagno pubblico diventa un momento che rallenta il ritmo e offre una chiave interpretativa sul film, sulla sua atmosfera e sulla fragilità che attraversa ogni scelta.

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Film: L'Odio - La Haine (1995)
Personaggio: Vecchio
Attore: -

Quando nel film: 51:06-53:40

Durata: 2 minuti 36 secondi

Difficoltà: Alta Controllo del ritmo narrativo, Tenuta della tensione emotiva dietro un tono apparentemente leggero, Precisione nel passaggio da un registro quasi comico a uno drammatico

Emozioni e aspetti chiave: Nostalgia, assurdità umana, colpa/senso di impotenza, tenerezza fredda, solitudine 

Contesto ideale: Scena da corto o film drammatico con sfumature tragicomiche, in cui il personaggio racconta un episodio del passato che ha definito chi è. Ruoli da anziano che ha visto troppo, che cerca di tramandare qualcosa attraverso una storia apparentemente insignificante

Dove vederlo: Amazon Prime video (Pagamento)

Contesto del film "La Haine - L'Odio"

La Haine - L’Odio (1995), scritto e diretto da Mathieu Kassovitz, è uno di quei film che non invecchiano perché parlano di qualcosa che continua a bruciare: tensione sociale, alienazione, rabbia. Ambientato nella banlieue parigina, un giorno dopo una rivolta urbana, il film segue tre amici:  Vinz (Vincent Cassel), Saïd (Saïd Taghmaoui) e Hubert (Hubert Koundé), mentre attraversano un limbo esistenziale in una Parigi che sembra averli dimenticati o peggio, esclusi del tutto.Siamo in una periferia di Parigi. Una rivolta è appena scoppiata a seguito del ferimento grave di un giovane di nome Abdel durante un interrogatorio di polizia. Il quartiere è devastato, la tensione è ancora nell’aria, e la rabbia è palpabile. I protagonisti del film sono tre giovani uomini:

Vinz è ebreo, impulsivo, e alimentato da un fuoco di rabbia che rasenta l’autodistruzione. Sogna il rispetto, ma attraverso la violenza. Dice che, se Abdel muore, lui ucciderà un poliziotto. Lo dice come se fosse un giuramento.

Saïd, di origine araba, è il collante del gruppo. Parla tanto, scherza, ma spesso fa da mediatore tra i due amici.

Hubert, nero, è un pugile disilluso. È l’unico dei tre a volere veramente andarsene dalla banlieue. Ha la testa sulle spalle, ma è anche consapevole di quanto tutto attorno a lui stia crollando. La palestra dove si allena è stata bruciata nei disordini, e quella era una delle poche cose che gli davano un senso.

Nel corso delle ventiquattro ore che racconta il film, li seguiamo mentre vagano tra la banlieue e il centro di Parigi. Cercano di dare senso a quello che è successo, ma soprattutto cercano di trovare una via d’uscita — chi nella fuga, chi nella vendetta, chi nella rassegnazione.

Testo del monologo + note

Ci si sente meglio dopo una bella cacata. Voi credete in Dio? Non bisogna domandarsi se si crede in Dio, ma se Dio crede in noi. Avevo un amico che si chiamava Grumvalski, siamo stati deportati insieme in Siberia. Quando ti portano in Siberia nei campi di lavoro, si viaggia nei carri bestiame e si traversano steppe ghiacciate per giorni e giorni senza vedere anima viva. Ci si scalda l’uno con l’altro, ma il problema è che per liberarsi, per cacare… nel vagone non si può e le sole fermate sono quando bisogna mettere l’acqua nella locomotiva. Ma Grumvalski era parecchio timido e già quando dovevamo lavarci in gruppo si sentiva molto a disagio. Io lo prendevo un po’ in giro per via di questa storia, insomma il treno si ferma e tutti noi ne approfittiamo per andare a cacare, dietro… dietro il vagone. Ma io gli avevo talmente rotto le scatole al povero Grumvalski che lui decide di andarsene un po’ lontano. Insomma il treno riparte, tutti saltano su al volo perché il treno non aspetta. Il problema è che Grumvalski, che se n’era andato via dietro a un cespuglio, stava ancora cacando, allora lo vedo correre fuori da dietro il cespuglio, reggendosi con le mani i pantaloni per non farli cadere e tentando di raggiungere il treno. Io gli tendo la mano, ma come lui mi tende le sue deve mollare… deve mollare i pantaloni che gli cadono alle caviglie. Ritira su i pantaloni e si rimette a correre e i pantaloni gli cascano tutte le volte che Grumvalski prova a tendermi le mani. Niente… Grumvalski è morto di freddo… Arrivederci, arrivederci, arrivederci.

“Ci si sente meglio dopo una bella cacata.”: apertura disarmante; tono basso, colloquiale; piccola pausa subito dopo "cacata" per lasciare il peso comico-aggressivo della frase. Sguardo vago, come se stesse parlando da solo.

“Voi credete in Dio?”: tono interrogativo autentico; va detto senza ironia. Occhi negli occhi con l’interlocutore. Pausa dopo la domanda, lasciando spazio a un possibile “sì” o “no” interiore nello spettatore.

“Non bisogna domandarsi se si crede in Dio, ma se Dio crede in noi.” tono più filosofico; rallentare leggermente il ritmo; sottolineare "se Dio crede in noi", ma senza teatralità. 

“Avevo un amico che si chiamava Grumvalski, siamo stati deportati insieme in Siberia.”: tono quasi neutro, come se fosse una memoria incollata addosso; nomina il nome "Grumvalski" con rispetto e delicatezza. Piccola pausa dopo “Siberia”.

“Quando ti portano in Siberia nei campi di lavoro, si viaggia nei carri bestiame e si traversano steppe ghiacciate per giorni e giorni senza vedere anima viva.”: tono narrativo più distaccato; la voce si fa più grave verso “senza vedere anima viva”. 

“Ci si scalda l’uno con l’altro, ma il problema è che per liberarsi, per cacare… nel vagone non si può”: inserire leggera esitazione sul primo “per cacare…”; tono pragmatico, senza pudore, come chi ha superato la vergogna del corpo da una vita.

“…e le sole fermate sono quando bisogna mettere l’acqua nella locomotiva.”: ritmo lento, preciso. Frase detta come un dato tecnico, ma carico di amarezza implicita. Leggera pausa prima di “acqua”.

“Ma Grumvalski era parecchio timido e già quando dovevamo lavarci in gruppo si sentiva molto a disagio.”: tono più intimo; voce leggermente più calda; sguardo abbassato come se si sentisse un po’ in colpa.

“Io lo prendevo un po’ in giro per via di questa storia,”: piccola inflessione ironica sul “un po’ in giro”, ma subito un accenno di rimorso nella voce. Pausa breve dopo “questa storia”.

“insomma il treno si ferma e tutti noi ne approfittiamo per andare a cacare, dietro… dietro il vagone.”: “insomma” come se cercasse di alleggerire; ripetizione di “dietro…” seguita da pausa breve, come se vedesse l’immagine del momento e la trattasse con rispetto.

“Ma io gli avevo talmente rotto le scatole al povero Grumvalski che lui decide di andarsene un po’ lontano.”: tono mesto; l’ammissione di responsabilità è sottile ma presente. “poverò Grumvalski” va detto con affetto e sottile rimorso. Pausa prima di “che lui decide…”

“Insomma il treno riparte, tutti saltano su al volo perché il treno non aspetta.”: tono più nervoso, ritmo che accelera leggermente. “perché il treno non aspetta” detto con un pizzico di tensione crescente.

“Il problema è che Grumvalski, che se n’era andato via dietro a un cespuglio, stava ancora cacando,”: tono quasi da farsa, ma detto con la tristezza di chi già conosce il finale. Va reso come un grottesco inevitabile.

“allora lo vedo correre fuori da dietro il cespuglio, reggendosi con le mani i pantaloni per non farli cadere e tentando di raggiungere il treno.”: immagine vivida; usare la voce per dipingere la scena, ma senza esagerare. “tentando di raggiungere il treno” va detto con una punta di tensione emotiva.

“Io gli tendo la mano, ma come lui mi tende le sue deve mollare… deve mollare i pantaloni che gli cadono alle caviglie.”: rallentare sul secondo “deve mollare…”, come se ci fosse una sospensione del tempo. Sguardo perso su qualcosa che non è riuscito a trattenere.

“Ritira su i pantaloni e si rimette a correre e i pantaloni gli cascano tutte le volte che Grumvalski prova a tendermi le mani.”: la ripetizione del gesto aumenta la tragicità. Dire questa parte come un loop che continua nella sua testa, quasi ossessivo.

“Niente… Grumvalski è morto di freddo…”: lunga pausa dopo “niente”. Voce più bassa, spezzata. Silenzio pieno tra “freddo…” e la battuta finale. Guardare in basso.

“Arrivederci, arrivederci, arrivederci.”: ogni “arrivederci” detto in modo diverso:

Analisi del monologo del vecchio in bagno in "La Haine - L'odio"

Il film La Haine – L’Odio (1995), diretto da Mathieu Kassovitz, è pieno di momenti simbolici. Tra questi, uno dei più enigmatici e profondi è senza dubbio il monologo del vecchio nella toilette pubblica, conosciuto anche come la storia di Grumvalski. Un momento sospeso, quasi estraneo alla trama principale, ma che in realtà contiene una chiave di lettura potentissima sull’intero film.

Il vecchio racconta un episodio vissuto durante la deportazione in Siberia insieme a un amico di nome Grumvalski. Durante una sosta del treno, i prigionieri hanno la possibilità di “liberarsi”, ma Grumvalski – troppo timido per farlo vicino agli altri – si allontana per trovare un posto appartato. Il treno riparte. Lui corre per raggiungerlo, con i pantaloni abbassati. Prova a tendere la mano, ma ogni volta deve lasciarla per reggersi i pantaloni. Non riesce a salire. Muore assiderato, lasciato indietro da un meccanismo implacabile, proprio a causa della sua vergogna.

Il racconto si chiude con un semplice,: “Arrivederci, arrivederci, arrivederci.”

La tragedia di Grumvalski è quasi comica nella sua dinamica, ma in questo grottesco sta tutto il dramma: morire congelato per colpa dei pantaloni abbassati. Non perché sia stupido, ma perché è umano. Fragile. Come ognuno di noi. Questo episodio assurdo diventa una metafora perfetta della banlieue e dei suoi giovani protagonisti: persone che, per una serie di scelte, pressioni o condizioni esterne, restano indietro. Il narratore (il vecchio) racconta con distacco, ma sotto la superficie si percepisce una colpa mai affrontata. È lui ad averlo preso in giro. È lui a non aver insistito abbastanza.

È lui a non averlo salvato. Il senso di responsabilità è implicito, non dichiarato. E proprio per questo più potente.

Il monologo ha una costruzione circolare. Inizia con una battuta triviale, si apre a un aneddoto personale e si chiude su una ripetizione: “Arrivederci, arrivederci, arrivederci.” Questo andamento riflette il concetto di tempo ciclico che attraversa La Haine: i personaggi girano in tondo, senza uscita, in attesa dell’inevitabile. Il tono leggero e quasi grottesco serve a disarmare lo spettatore, per poi colpirlo nel momento più vulnerabile. Ridiamo, e un attimo dopo, restiamo in silenzio. È un esempio perfetto di “humour noir” francese, ma anche una lezione narrativa su come trattare temi duri senza retorica.

Il finale di "La Haine - L'Odio" (Spoiler alert)

La tensione del film cresce come una bomba a orologeria. Vinz ha trovato una pistola persa da un poliziotto durante i disordini, e questo oggetto diventa il simbolo della possibilità (e della minaccia) di passare all’azione. È il punto di non ritorno che ognuno di loro sente vicino, ma che solo Vinz sembra voler davvero oltrepassare. Dopo un’intera giornata fatta di umiliazioni, conflitti e momenti di apparente leggerezza, i tre tornano in banlieue. È notte fonda. Vinz, che nel corso del film ha sempre urlato il suo desiderio di vendetta, ha un momento di lucidità: decide di consegnare la pistola a Hubert. È come se, per un attimo, qualcosa si fosse spezzato dentro di lui. Forse ha capito che non è quella la strada.

Ma il film non fa sconti. Nel momento in cui sembrano tornati alla calma, un alterco con una pattuglia di polizia degenera. Un agente, visibilmente nervoso, punta la pistola alla testa di Vinz. Fa un gesto impulsivo. Parte un colpo. Vinz cade a terra, ucciso a sangue freddo. Silenzio. Si resta immobili. Hubert, testimone della scena, tira fuori la pistola che aveva in tasca. La punta verso il poliziotto. Il poliziotto punta la sua arma verso di lui. La tensione è totale. Nero.

Un colpo di pistola.

Fine.

Credits e dove vederlo

Regista: Michael Bay

Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman

Produttori: Lorenzo di Bonaventura, Don Murphy

Produttore esecutivo: Steven Spielberg, Michael Bay

Cast: Shia LaBeouf (Sam Witwicky) Megan Fox (Mikaela Banes) Josh Duhamel (William Lennox) Tyrese Gibson (Robert Epps)

Dove vederlo: Netflix

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