Now You See Me 3: Analisi del Monologo di Veronika Vanderberg

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi del monologo di Veronika in "Now you see me 3"

Il monologo di Veronika Vanderberg in Now You See Me 3 rivela molto più di quanto sembri: dietro il disprezzo per la magia, si nasconde un trauma legato all’infanzia e al rapporto assente con il padre. In una scena carica di tensione psicologica, Rosamund Pike costruisce un personaggio che domina l’illusione con freddezza e intelligenza. Analizziamo riga per riga questo passaggio, fondamentale per comprendere la psicologia dell'antagonista.

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Now You see me 3 (2025)
Personaggio: Veronika Vanderberg
Attrice: Rosamund Pike
Difficoltà: Media (controllo dell’ambiguità, sarcasmo)

Emozioni chiave:

Disincanto, rabbia repressa, controllo narcisistico, sottile malinconia

Contesto ideale per interpretarlo:

Chi vuole lavorare sul “non detto” e sulla costruzione di un personaggio che parla non per confessare, ma per manipolare. Permette di mostrare ambiguità morale, profondità e intelligenza.

Dove vederlo: Al cinema

Contesto del film "Now you see me 3 - L'illusione perfetta"

Sono passati dieci anni dall’ultimo colpo messo a segno a Londra. Dieci anni da quando i Quattro Cavalieri — Atlas, Henley, Merritt e Dylan — sono scomparsi dalle luci della ribalta, dissolvendosi nel mistero dopo essere stati accolti definitivamente nell’Occhio, l’enigmatica società segreta che veglia sulla magia… e sull’equilibrio tra giustizia e illusione. Nel silenzio lasciato dal loro ritiro, il mondo ha continuato a cambiare. Le illusioni non sono più soltanto una questione di carte e specchi: oggi passano attraverso gli schermi, gli algoritmi, i social. Ma è proprio in mezzo a questo panorama nuovo che tre giovani illusionisti — June (Ariana Greenblatt), mente creativa e visionaria, Charlie (Justice Smith), esperto di tecnologia e mentalismo, e Bosco (Dominic Sessa), illusionista classico con un tocco teatrale — si fanno notare con un’esibizione che riporta in scena, a modo loro, il mito dei Cavalieri della Magia.

Un video virale, un trucco riuscito troppo bene, e in un attimo arriva la chiamata che cambia tutto: J. Daniel Atlas (Jesse Eisenberg) li convoca. L’Occhio ha bisogno di loro. L’obiettivo? Rubare il “Cuore di Diamante”, il diamante più grande e sorvegliato del mondo, esposto a una mostra blindata a Città del Capo. Ma non si tratta solo di un furto spettacolare: il diamante è il simbolo — e il nodo — del potere della famiglia Vanderberg, dinastia legata a traffici internazionali di armi, riciclaggio e violenza. A capo dell’impero c’è Veronika Vanderberg (Rosamund Pike), imprenditrice e criminale spietata, il cui controllo si estende ben oltre l’Africa.

Atlas capisce che servono forze fresche. Ecco allora l’unione: i Cavalieri originali e la nuova generazione si trovano per la prima volta fianco a fianco. Due scuole di magia, due visioni del mondo, due stili — destinati prima a scontrarsi, poi a fondersi.

La missione è orchestrata come uno spettacolo teatrale: furto, depistaggi, illusioni in diretta e colpi di scena degni di Houdini. Ma c’è un elemento che sfugge al controllo: qualcuno dall’interno dell’Occhio sta giocando una partita doppia. E man mano che il piano prende forma, emergono dettagli mai svelati sul passato di Atlas e su cosa abbia davvero significato entrare nell’Occhio dieci anni fa. Con una messa in scena che attraversa tre continenti, da New York a Johannesburg, passando per una sfilata d’alta gioielleria a Dubai, la squadra affronta trappole, doppi giochi e un avversario che usa le stesse armi: l’inganno. Ma la vera sfida non è solo rubare il diamante. È smascherare il volto che si nasconde dietro Veronika Vanderberg… e capire se l’illusione più grande non sia, in fondo, l’idea stessa di giustizia.

Testo del monologo + note

Ahah, Mio padre l'avrebbe adorata. Era un appassionato di magia. Quando avevo 5 o 6 anni, in uno dei pochi momenti in cui l'ho avuto per me, mi insegnò un trucco. Prendeva un fazzoletto rosso, lo faceva sparire e lo faceva uscire dalla bocca, lo adoravo. Aveva una giusta dose di fascino e così provai quel trucco per mesi. Pensavo che se fossi riuscita a farlo avrei guadagnato un po' più di lui. Ma era quella l'illusione. Ho odiato la magia da allora. Il trash, il kitsch. E neanche inizio a dire cosa penso dei ciarlatani come lei col suo mentalismo. Nessuno di noi due poteri psichici, signor McKinney. Ma lei non ne bisogno. Lei sa dov'è il mio cuore e io non ne ho bisogno. Perché lei sta per dirmelo. 

"Ahah, Mio padre l'avrebbe adorata.": risata secca, quasi un automatismo; tono sarcastico ma non esagerato; pausa netta dopo “adorata” per lasciare spazio a un sottotesto amaro.

"Era un appassionato di magia.": tono neutro, freddo, come se stesse leggendo un dato biografico irrilevante; piccolo sguardo in basso o di lato, per contenere una possibile emozione.

"Quando avevo 5 o 6 anni, in uno dei pochi momenti in cui l'ho avuto per me, mi insegnò un trucco.": rallenta il ritmo, tono più basso; metti enfasi su “pochi momenti”, è lì che si apre il buco emotivo; leggera incrinatura sulla parola “trucco”, come se quel termine fosse ancora carico.

"Prendeva un fazzoletto rosso, lo faceva sparire e lo faceva uscire dalla bocca, lo adoravo.": tono narrativo, come se ricordasse un sogno d’infanzia; “lo adoravo” va detto con leggerezza affettiva, ma subito soffocata.

"Aveva una giusta dose di fascino e così provai quel trucco per mesi.": passa a un tono quasi riflessivo; “giusta dose di fascino” va detto con un accenno di distanza, come a voler ridimensionare l’ammirazione; 

"Pensavo che se fossi riuscita a farlo avrei guadagnato un po' più di lui.": qui c’è la chiave emotiva del pezzo — “un po’ più di lui” va sottolineato con una pausa prima e dopo, tono quasi infantile.

"Ma era quella l'illusione.": tono secco, amarissimo; pausa breve prima di “l’illusione”, che va detta con disprezzo, ma anche stanchezza. 

"Ho odiato la magia da allora.": taglia netto, tono deciso; pronuncia lenta, come una condanna. Nessun dubbio nel dire questa frase.

"Il trash, il kitsch.": enfatizza il disgusto; fai una micro-pausa tra trash e kitsch, quasi come se stesse sputando fuori due insulti. Il tono qui deve essere tagliente, snob.

"E neanche inizio a dire cosa penso dei ciarlatani come lei col suo mentalismo.": tono sarcastico, tagliente; “ciarlatani” deve avere un peso preciso, come un’accusa; mantieni il controllo ma lascia intendere che l’odio personale si sta affacciando.

"Nessuno di noi due poteri psichici, signor McKinney.": tono fermo; “signor McKinney” va detto con una punta di superiorità, come chi mette l’altro al suo posto.

"Ma lei non ne ha bisogno.": qui il tono si abbassa, prende un ritmo più lento; “non ne ha bisogno” va detto come un’ammissione.

"Lei sa dov'è il mio cuore e io non ne ho bisogno.": duplice livello: riconoscimento e sfida. Il tono è controllato, ma ogni parola va pronunciata lentamente, con precisione chirurgica. “Il mio cuore” deve avere una risonanza emotiva sotto la superficie.

"Perché lei sta per dirmelo.": chiusura netta; tono glaciale, quasi sussurrato; micro-sorriso di sfida alla fine, come una trappola appena scattata. Lascia un breve silenzio dopo.

Analisi del monologo di Veronika in "Now you see me 3 - L'illusione perfetta"

In Now You See Me 3, Veronika Vanderberg, interpretata da Rosamund Pike, ci regala un monologo breve ma denso, in cui la scrittura incrocia con precisione chirurgica il dolore personale e la maschera del potere. Questa scena si svolge nel cuore di un confronto psicologico tra Veronika e Merritt McKinney (Woody Harrelson), ed è proprio qui che il personaggio rivela, con apparente freddezza, una crepa profonda della propria storia.

La battuta iniziale, "Mio padre l'avrebbe adorata.", è una trappola: sembra una battuta di cortesia, ma nasconde un’ombra. È il primo indizio che ci porta dritti al nodo emotivo del monologo: la figura del padre. Veronika racconta un momento d’infanzia in cui il genitore le insegna un piccolo trucco di magia con un fazzoletto rosso. Un ricordo che, in apparenza, suona dolce, ma che viene subito ridimensionato: "In uno dei pochi momenti in cui l’ho avuto per me." Questa frase, detta quasi distrattamente, in realtà contiene tutto il peso dell’abbandono. La magia, quindi, nasce già viziata. Non è intrattenimento: è una moneta emotiva, un baratto per l’attenzione paterna.

E infatti lei stessa dice: "Pensavo che se fossi riuscita a farlo avrei guadagnato un po' più di lui." Questa è la frase chiave. Racchiude il senso di sforzo inutile, di attesa frustrata, di un affetto mai restituito. A questo punto il monologo cambia tono. Non c'è più il velo del ricordo, ma una chiusura netta: "Ma era quella l'illusione." Qui, il termine “illusione” smette di essere un concetto magico e diventa una condanna. Il trucco con il fazzoletto non è un gioco: è il simbolo di un fallimento affettivo.

Da questo momento in poi, Veronika svela il suo disprezzo per l’intero mondo dell’illusionismo: "Ho odiato la magia da allora. Il trash, il kitsch." Usa parole forti, quasi sputate. Non è un rifiuto estetico, ma un rigetto emotivo. La magia le ricorda quanto poco è bastato al padre per conquistarla per un attimo — e quanto poco ha poi fatto per restare.

Ma non finisce qui. Il monologo si trasforma in un attacco diretto a Merritt: "E neanche inizio a dire cosa penso dei ciarlatani come lei col suo mentalismo." Qui emerge la parte dominante del personaggio: il disprezzo freddo, lucido, verso chi gioca con le emozioni altrui mascherandole da potere mentale. Secondo Veronika, non esistono poteri psichici: esistono persone che sanno leggere la debolezza e manipolarla. Come faceva suo padre, come fanno i maghi, come fa Merritt.

E proprio per questo, chiude il suo monologo con un’affermazione tagliente, che inverte i ruoli del confronto: "Lei sa dov'è il mio cuore e io non ne ho bisogno. Perché lei sta per dirmelo." È una mossa da stratega. Veronika prende il controllo della scena, si espone solo per un attimo — giusto il tempo di far pensare a un’apertura — e subito ribalta tutto. Non ha bisogno di confessare, perché è sicura di sapere come funziona il gioco. E in fondo, quel “cuore” a cui fa riferimento non è solo un oggetto retorico: è un punto debole che offre solo per dimostrare che può permettersi di offrirlo… perché ha già calcolato ogni mossa dell’altro.

Credits e dove vederlo

Regista: Ruben Fleischer

Sceneggiatura: Eric Warren Singer, Seth Grahame-Smith, Paul Wernick e Rhett Reese

Produttore: Bobby Cohen, Alex Kurtzman

Cast: Jesse Eisenberg (J. Daniel Atlas) Woody Harrelson (Merritt McKinney) Dave Franco (Jack Wilder) Isla Fisher (Henley Reeves)

Dove vederlo: Al cinema!

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