Cara Anna - Nannarella e l’arte di vivere

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Analisi a cura di...

~ CLAUDIA LAZZARI

Cara Anna, 



te ne andasti il 26 settembre di cinquantadue anni fa, ma quando? Quando sei andata via per davvero? 

A me pare che la tua ombra si faccia via via sempre più vivida, perché il mondo si perde, sbiadisce, le donne continuano a morire o a piegarsi e allora la tua immagine appare sempre più nitida. Noi spariamo lentamente, omologati, dissacrati dal sistema, tutti uguali anche nell'essere diversi e tu ci ricordi, con la tua franchezza vorace, che si può essere dannati, passionali, veri e reali negli eccessi, si può essere tutto e il contrario di tutto ciò che dicono di noi e rimanere leggendariamente unici, ineguagliabili, divinità terrene, detentori di Verità assoluta.

< Robé, impediscimi di morire >. Quanta poesia ci hai regalato fino all'ultimo, quanto materiale per stare al mondo, per ricordarci il senso di campare, il senso del mestiere e il mestiere dell'esistere. Quando Roma ti ha salutata, la folla avrebbe voluto ingoiarti tutta intera, perché già si sapeva che mai più saresti ricapitata.

Nannarella, tu che uscivi di notte per scoprire le leggende della tua città amata; tu che respiravi di cultura e quasi fingevi di prepararti un ruolo, perché eri già pronta. E non solo nell'emozione, ma nella storia, nella conoscenza. 

E no che non avevi bisogno di dirlo a qualcuno, che tenevi sveglio il tuo amico Fabrizio Saranzani fino all'alba, tra i vicoli di Roma, per incamerare con avidità tutte le notizie sulle facciate, sui monumenti, sui sampietrini della Tua città; che una sera lo accompagnasti a casa con la tua utilitaria, per fermarti sul lungotevere e dare dei soldi ad una prostituta dicendole di dormire da sola quella notte e che ti rivolgesti poi a Fabrizio: "Ammazza quanto fa freddo nella vita"; che fu Giggetto, grande amico di una vita, a prenderti con la sua vecchia Cinquecento per portarti a fare la prima radiografia allo stomaco, sicché vorrei proprio che la gente li valutasse bene i tuoi famosi "capricci"; che agli appuntamenti eri puntuale e che fissavi gli interlocutori con quel viso pallido e l'aria afflitta ma affilata, quell'aria che solo tu sprigionavi, per la quale avrebbero dovuto inventare un nuovo carattere ed intitolarlo a te; che non eri solo la popolana scarmigliata che tutti veneravano in quelle veste, ma che quella era solo una delle < tante donne, duemila donne >, che ti abitavano dentro ma dalle quali non volevi farti possedere. 

Nannarè, tu non avevi bisogno che ti si mischiasse la vita con la finzione, perché la finzione l'hai inventata per insegnarci una professione e la vita l'hai spiegata affinché tutti potessero comprendere che non c'era niente da spiegare. Che nel disordine, nell'istinto del sangue, si cercavano di affogare le reazioni più vere, quelle che non si possono dire perché  < la gente è pigra [...] non vuole fare sforzi di cervello, di immaginazione. Ma guardatemi, dico! Sono un'attrice o no? Se sono un'attrice non potete inchiodarmi tutta la vita ad un ruolo >. E cos'è la realtà, che non dovrebbe essere come la finzione? E' la stessa identica cosa. E' proprio questo, essere inchiodati a ruoli. E tu questo lo sapevi. Non come lo sanno tutti. Lo sapevi per davvero. Per questo non facevi nulla per non mischiare le due cose. Ed è per questo, Anna mia, che il nome di Rossellini lo scrivo solo ora: per dirti che io non ne parlerò mai in un tuo omaggio. 

Tu non avevi bisogno di dire che in quegli occhi malinconici c'era la pura voglia di "ruzzare", come dicevi tu. Di divertirsi. Perché alla gente quasi infastidiva riconoscerti la comicità, quella che pure durante la radiografia a cui seguì la scoperta del tumore, non hai mai rinunciato. Perché ti apparteneva, perché era te. 

Perché era una delle tue duemila donne che tenevi dentro e che, nonostante non avessi bisogno di spiegare nulla di quanto ho scritto, alla fine ci hai provato a dirlo a tutti: perché vi stupite di trovare migliaia di libri in camera mia?! Perché non capite che se non faccio apparizioni inutili, non è perché sono difficile, ma perché non faccio boiate senza senso e mercificatorie?! Perché non capite che se divoro la vita, allora divoro pure l'amore, e che quindi gli uomini che ho amato non c'entrano un bel niente col mio amore?!

Perché ti hanno ammirata senza capirti Anna? 

Sembra una brutta cosa, questa, a dirsi, ma...pensa alla tua potenza, Nannarella. Venerare una donna terrena a prescindere da quanto la si colga. 

Se t'avessero pure capita allora, sarebbero tutti scoppiati dall'emozione, in mille pezzi. 

Anzi, duemila. 

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