Pasqua e Cinema: tra Sacro, Simbolico, Quotidiano

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~ LA REDAZIONE DI RC

Quando si parla di come la Pasqua è stata trattata nel cinema, il pensiero corre subito a grandi affreschi biblici, a figure cristologiche, alla Passione, alla morte e alla resurrezione di Cristo. Ma il cinema, nel tempo, ha affrontato questo momento dell’anno — e ciò che rappresenta — anche in modi meno espliciti, talvolta più intimi, simbolici, trasversali. La Pasqua, dopotutto, è un nodo culturale stratificato: è memoria religiosa, rito collettivo, inizio di primavera, tempo di passaggio, occasione familiare. E il cinema, che da sempre lavora sui segni e sulle trasformazioni, ha saputo declinare tutto questo in molti modi.

Le grandi narrazioni bibliche: il kolossal e la liturgia

Partiamo da quella che è forse la declinazione più riconoscibile e visibile della Pasqua sul grande schermo: il film biblico. Qui, la Pasqua è spesso affrontata frontalmente, come evento narrativo e simbolico centrale, in film che hanno fatto la storia del cinema e che, in molti paesi, diventano un rito televisivo proprio durante il periodo pasquale.

Un esempio emblematico è "La passione di Cristo" (2004) di Mel Gibson. Un film che ha diviso pubblico e critica, accusato da alcuni di eccessiva violenza, ma che ha sicuramente segnato un punto importante nel modo in cui la Passione di Cristo è stata rappresentata. La forza del film non sta tanto nella storia — che, in fondo, tutti conosciamo — quanto nel modo in cui viene resa sullo schermo: l’uso del latino e dell’aramaico, la fotografia desaturata, la camera spesso addosso ai corpi, in particolare a quello di Gesù (interpretato da Jim Caviezel), trattato quasi come una scultura vivente martoriata. La sofferenza è fisica, insistita, reiterata, ma c’è qualcosa di profondamente cinematografico nella scelta di mostrare tutto, senza mediazione. Il dolore, in Gibson, diventa linguaggio. E questa scelta — per quanto estrema — riflette una volontà precisa: trasformare la Passione in un’esperienza immersiva, quasi tattile.

Un altro film che ha inciso profondamente è "Ben-Hur" (1959), di William Wyler. Qui la figura di Cristo non è mai protagonista in senso stretto, ma la sua presenza è costante, misteriosa, ai margini dell’inquadratura, come un’eco che accompagna tutto il percorso del protagonista. La scena della crocifissione, verso la fine, arriva dopo un lungo cammino personale di vendetta, smarrimento e redenzione. E proprio lì, in quell’ultima sequenza, tutto si ricompone. Il sangue di Cristo che scivola sul terreno diventa immagine simbolica di purificazione, e in un film che aveva giocato per oltre due ore sul contrasto tra vendetta e perdono, l’ultima parola — visivamente — la dice proprio quell’acqua mista a sangue che lava via il peccato e l’odio.

Il segno della resurrezione: oltre la religione

Se la Passione è un soggetto narrativamente potente, la Resurrezione — che rappresenta il cuore simbolico della Pasqua — è più difficile da rappresentare. Non solo per motivi teologici, ma anche perché il suo significato va spesso oltre l’ambito religioso.

Nel cinema d’autore, soprattutto in quello europeo, la resurrezione viene spesso affrontata in chiave metaforica. Uno degli esempi più intensi in questo senso è "Il Vangelo secondo Matteo" (1964) di Pier Paolo Pasolini. Qui, la resurrezione non è spettacolarizzata: è un taglio netto, un silenzio che rompe l’attesa. L’ultima sequenza, con l’angelo che annuncia la resurrezione, è costruita con una semplicità austera. Niente effetti speciali, nessun momento epico: solo la luce, la terra, il vento. E un montaggio che insiste sul volto degli apostoli. Pasolini, dichiaratamente non credente, racconta il Vangelo come una narrazione rivoluzionaria, politica, umana. La Pasqua è un momento di trasformazione collettiva, più che individuale. Non c’è trionfo, ma rivelazione.

Allo stesso modo, un film come "Ordet" (1955) di Carl Theodor Dreyer mette in scena una resurrezione, ma lo fa in modo radicalmente diverso. La resurrezione che avviene alla fine del film non è quella di Cristo, ma di una donna, Inger, morta durante il parto. La resurrezione avviene in un tempo sospeso, in un’inquadratura fissa che sfida ogni logica narrativa. Lo spettatore è chiamato a credere — o a non credere — in quello che vede. Ecco il punto: la fede, in Dreyer, non è un dato acquisito, ma un atto di sguardo. La Pasqua diventa un momento di rottura, in cui le regole del mondo si piegano per lasciare spazio a qualcos’altro. Ma quel qualcosa non è spiegato, non è definito. È cinema che guarda il mistero senza volerlo risolvere.

Pasqua e quotidianità: la festa, la famiglia, il vuoto

Non tutti i film che parlano di Pasqua lo fanno attraverso il racconto esplicito della Passione o della resurrezione. Alcuni film ambientano le loro storie durante il periodo pasquale per evocare altro: il clima familiare, le tensioni domestiche, il passaggio tra stagioni.

In "Hannah e le sue sorelle" (1986) di Woody Allen, la Pasqua è uno sfondo lontano, ma significativo. La storia si muove nel tempo e la narrazione è scandita da ricorrenze, tra cui anche il periodo pasquale. In queste feste si intrecciano relazioni, tradimenti, rivelazioni interiori. Allen usa la Pasqua come simbolo di rinascita personale, ma senza enfasi. È nella normalità dei rapporti che avvengono le trasformazioni più profonde.

Un altro esempio interessante è "Crimini e misfatti" (1989), sempre di Allen, dove il tema della colpa e della redenzione è centrale. Anche se non c’è una rappresentazione diretta della Pasqua, l'intero impianto morale del film si muove intorno a concetti che con la Pasqua hanno molto a che fare: il peccato, il perdono, la responsabilità, il senso di giustizia che non arriva. È un film profondamente ebraico, ma che tocca nervi simili a quelli della simbologia pasquale.

In chiave completamente diversa, "Donnie Darko" (2001) utilizza simboli pasquali — su tutti, il coniglio — per raccontare una storia che mescola tempo, predestinazione e sacrificio. Frank, il coniglio con la maschera metallica, diventa figura ambigua, inquietante, quasi messianica. La resurrezione qui non è religiosa, ma legata al tempo: un ritorno, una possibilità di riscrittura della realtà. Il film gioca con il simbolismo in modo disturbante, ma affascinante: la Pasqua come ciclo, come rinascita dentro una tragedia.

La Pasqua nel cinema italiano: religione e società

Nel cinema italiano, la Pasqua è spesso il contesto per riflettere su questioni sociali, spirituali, o personali. Pensiamo a "Il grande silenzio" (2005) di Philip Gröning, un documentario maestoso girato nel monastero della Grande Chartreuse. Anche se non è un film sulla Pasqua, in senso stretto, la sua struttura e il suo ritmo meditativo sembrano costruiti per accompagnare lo spettatore in un cammino quaresimale. È un cinema che non spiega, ma accompagna. Che non racconta, ma osserva. E nel farlo, interroga.

Un altro esempio potente è "La messa è finita" (1985) di Nanni Moretti. Qui, il protagonista è un giovane prete che si trova a fare i conti con la perdita della fede, la morte del padre, il vuoto dei riti. Non è un film pasquale, ma è un film che parla della fine e della possibilità (o impossibilità) di una rinascita spirituale. In una scena, il protagonista assiste a una celebrazione vuota, meccanica, che non comunica più nulla. Moretti guarda la Chiesa da dentro, con affetto e disillusione. E nella sua amarezza, c’è forse una delle rappresentazioni più autentiche della Pasqua moderna: una resurrezione che non arriva, una fede che scricchiola.

Conclusione: una simbologia che continua a trasformarsi

Il cinema ha trattato la Pasqua in molti modi, e continua a farlo. Non sempre in modo diretto, non sempre con l’intenzione di rappresentare un evento religioso. Ma ogni volta che il cinema racconta una rinascita, un cambiamento radicale, una trasformazione dolorosa che porta nuova vita, sta parlando — in qualche modo — di Pasqua.

Dalle grandi narrazioni bibliche alle storie minime, dalla religione al simbolo, dalla Passione alla resurrezione intima dei personaggi, la Pasqua è un archetipo che il cinema rielabora costantemente. A volte è esplicita, a volte è nascosta tra le righe di un dialogo, nel cambio di luce tra una scena e l’altra, nel silenzio che separa due respiri.

Il cinema, come la Pasqua, lavora con la materia del tempo e della trasformazione. E proprio per questo, ogni film che racconta il cambiamento, la perdita, il ritorno, può essere — a modo suo — un film pasquale.

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