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Recensione a cura di...
~ LUCA FERDINANDI
Italia, un suo punto indefinito. Forse Sud. Notte, fredda. Ma prima ancora della temperatura, a calare sono le tenebre in una cittadina ignota. In un gioco di luci e, soprattutto ombre, si muove Man (Paolo Briguglia), un uomo dal passato indefinito, dal presente opaco, e dal futuro inesistente. Man è un netturbino. Il giorno dorme, o ci prova; la notte pulisce le strade. Man non ha amici, se non un walkie-talkie anni ‘80, dal quale ascolta playlist su playlist che ci portano da un’altra parte, in un’altra epoca, forse la sua, forse un ricordo… e Christopher (Randall Paul), un netturbino come lui, ma di diversi anni più grande, che lo completa alla perfezione: silenzioso il primo, rumoroso il secondo. Anche lui straniero al mondo, è americano. Man ha una madre in sedia a rotelle e praticamente incapace di esprimersi, se non a piccoli gesti, sola.
E Man vive tra gli incubi.
Da una parte Rosario (Tony Sperandeo) e i suoi sgherri, colpevoli di esistere e di inquinare una terra, con i quali ha contratto un debito dal padre di tanti anni prima; e dall’altra una macchina, che osserva ogni notte come fosse un incrocio tra un concentrato di desideri e una trappola mortale. La vita di Man passa come una patina inquinata, un lago di petrolio dal quale saltuariamente emergono oggetti: ora racchette, ora antiquariato, ora scarti di giocattoli, che lui e Christopher raccolgono in una sorta di “Isola del dimenticato”. A sconvolgere questo equilibrio già precario, arriva la figlia del suo amico, Giulia (Roberta Giarrusso), e sua figlia, Roberta (Giulia Di Pasquale). Queste due figure portano finalmente la via di fuga da una vita ferma nell’oblio. Man si avvicinerà a un’insperata luce, per poi rendersi conto che, dietro l’angolo, lo aspetta quell’incubo irrisolto che non lo lascia sereno da tutta una vita. L’unica soluzione sarà purificare il mondo, una volta per tutte.
Tutto per amore.
Non riesco a introdurre diversamente “The Garbage Man”, l’ultimo film del regista ebolitano Alfonso Bergamo. La pellicola è tra il neo-noir e il revenge movie, protagonisti Paolo Briguglia e l’antagonista per eccellenza Tony Sperandeo, insieme a Roberta Giarrusso e Randall Paul, a guidare un cast che unisce professionisti affermati e attori esordienti. Il film ci parla di purificazione, di possibilità di redenzione, dell’alternanza tra paradiso e inferno che attraversa le nostre vite, e personalmente mi guida verso una serie di punti interrogativi: che vuol dire fare del bene? Che vuol dire “pulire il mondo dal male”? Quali mezzi siamo disposti ad utilizzare per inseguire il nostro ideale di bene? Il solo fatto di scontrarci con il male, e forse sconfiggerlo, ci rende buoni? Come sono fatti i ricordi, come sono fatti i pensieri, come sono possibili i cambiamenti? Quanta bella vita c’è in mezzo all’immondizia, al marcio, a ciò che viene abbandonato e dimenticato?
Ecco, il mio cervello si addentra tra queste domande mentre vado avanti nella visione del film di Bergamo. A prendermi per mano, e guidarmi come un Caronte in questo Stige di immagini, ci pensa la regia, che alterna ora piani sequenza, ora tagli frammentati, a rendere pirotecnica una narrazione fatta di sguardi e non detti. "The Garbage Man" riesce così a viaggiare a un ritmo tutto suo, in una storia tutta sua, fatta di oscurità, di luce, di alti, di bassi, di vita e di morte. La resa fotografica è a dir poco impressionante, merito del rapporto sinergico tra Alfonso Bergamo e il Direttore della Fotografia, Daniele Poli. La fotografia sottolinea il contrasto tra il degrado esterno e la lotta interiore del protagonista, il male della città e la possibilità di riemergere, di trovare una luce. L’immagine in questo film è una guida, una lanterna che porta avanti la storia, e che lo fa senza mai scadere nell’eccentrico, nel pittoresco, senza mai sovrastare la narrazione e gli attori (Paolo Briguglia e il Cast Artistico fanno un lavoro del quale poi parleremo). Altra componente fondamentale nel cinema di Bergamo, la musica, che ci porta da altre parti, da altri eroi, da altre atmosfere, da altri ricordi. Siamo in un tempo che non esiste eppure c’è, sospesi in un ricordo che anela a traboccare, e chiamare possibilità.
Immerso in questa realtà, quasi un arto di questi ambienti, Man, interpretato da un Paolo Briguglia probabilmente mai così silenzioso, parla con il suo sguardo, e con se stesso attraverso dei voice-over che diventano quasi istanti di colonna sonora. Il film assume così lo stesso respiro del protagonista: contenuto, trattenuto, pronto ad esplodere. Briguglia riesce a raccontare tutto l’atto del trattenere una vita attraverso uno sguardo e un sospiro. Dall’altra parte, il suo contraltare, Tony Sperandeo. Cattivo, sicuro di se, divertito. Tra Sperandeo e Bergamo vige un rapporto duraturo, che li ha accompagnati su diversi set. Ecco, qui il cattivo proposto dall’attore siciliano, non è banale. E questa affermazione, parlando di un attore che mai vuole essere la macchietta di se stesso, non è banale.
Sperandeo rispolvera altri lati del proprio male, dell’essere cattivo, dell’abbandonarsi alla goduria di mettere le mani nelle vite degli altri, perché: “I debiti si pagano fino alla fine”. Roberta Giarrusso (Giulia) arriva con sua figlia Giulia Di Pasquale (Roberta) a interrompere una striscia di monotonia, portando freschezza e, soprattutto, speranza. Il tutto con una sorta di mentore, Christopher (Randall Paul) che aggiunge quel tocco di internazionale in più, con una vena comica e un’esuberanza forse inaspettati in un film di genere. Attorno a loro si muove un cast di professionisti affermati ed emergenti, che rendono questa realtà vivibile e godibile. Su tutti, parlo per gusto personale, sono rimasto incantato dalla scena del canto “umanamente stonato” di Craig Peritz, ovvero Bill, braccio destro e primo sodale di Rosario.
Durante i 98 minuti si intervallano momenti densi, poetici, a sequenze dinamiche tipiche del revenge movie, portandoci in un mix desiderato dal Regista. Bergamo è affascinato dal cinema di genere, è del resto affascinato dal cinema, e quest’opera si posiziona come un nuovo punto, forse di arrivo, forse di partenza, della sua poetica. Al suo secondo film in sala il regista si dimostra poliedrico, con il desiderio di raggiungere alcune immagini che lo attraversano e imprimerle sulla pellicola. E’ un film che passa da Only God Forgives a Drive a Cane di Paglia, al cinema di Scorsese, i piani sequenza di Cuaron, i tagli rapidi e frenetici di Michael Mann, le atmosfere volutamente anni ‘80, con quell'effetto nostalgia, che però non rimane volatile, mai eccentrico. E’ un film che parla di film, ma senza crogiolarsi dentro.
The Garbage Man ci interroga su chi siamo e su cosa scegliamo di essere quando affrontiamo il buio, dentro e fuori di noi. Alfonso Bergamo riesce a portare sul grande schermo una storia, un’anima, un’idea di cinema che non si limita a raccontare, ma osa esplorare e sfidare. Per chi ama il cinema che parla di vita, di lotta, di redenzione, e per chi cerca storie che non si fermano alla superficie, e per ricordarci che il cinema può essere uno specchio delle nostre inquietudini, e una finestra verso una possibile speranza.
Nell’avventurarmi verso la fine di questa recensione, auguro in bocca al lupo alla Produzione, al Regista e al Cast di "The Garbage Man", che saranno domani sera alle prese con una meravigliosa anteprima romana (Già sold-out, presso il cinema Giulio Cesare, zona Ottaviano); e il giorno dopo a Lecce, presso il Multisala Massimo, ad inaugurare l’arrivo del film al cinema.
In bocca al lupo.
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