Recensione - \"The Garbage Man\" di Alfonso Bergamo, a cura di Claudia Lazzari

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Recensione a cura di...


~ CLAUDIA LAZZARI

The Garbage Man è uno di quei film che non siamo più abituati a vedere e che potrebbe allenare nuovamente l’attenzione dello spettatore medio ad un prodotto cinematografico che non si piega alle regole delle piattaforme.

Man è un netturbino, un uomo che ha fatto la guerra, di cui nessuno conosce il nome, neanche le persone a lui piu vicine. Un numero, come sono numeri i morti delle guerre e come lo sono i cittadini dello Stato che periscono sotto il marciume e l’indifferenza delle istituzioni.


È proprio a causa di questa consapevolezza che Man, cresciuto sotto la violenza del padre e obbligato a pagare il pizzo nella sua città natale, svolge il suo lavoro nell’ottica di ripulire la città dall’immondizia. E no, la metafora non è pura ideologia da collegare tra le immagini, ma diventa azione concreta durante lo svolgimento della storia. Il netturbino non si limita solo a ripulire la città dai rifiuti organici, ma anche da quelli “umani”: i mafiosi che lo obbligano a pagare il pizzo e che vengono protetti dalle istituzioni quando egli decide di denunciare.


Le tematiche affrontate sulla scia di questo macrotema sono molteplici: il rapporto coi genitori e con la violenza domestica, l’incapacità di comunicare, la corruzione sociale, l’amore sotto molteplici sfaccettature, la purezza dell’infanzia che cura anche l’apice massimo della razionalità. Sullo sfondo, una bellissima Puglia (irriconoscibile e mai citata, il film è ambientato in un non luogo) con le sue case bianche colorate di una luce studiata nelle minime intenzioni dal regista. Tony Sperandeo, interprete del boss Rosario, è sempre irradiato da una luce che sembra rappresentarlo in una piéce teatrale: d’altronde i mafiosi sono narcisisti ed esibizionisti.

La camera da letto di Man - interpretato splendidamente da Paolo Briguglia - è sempre blu e la sua casa riceve sempre spifferi di luce che lui e sua madre non vogliono far completamente entrare, per via della sofferenza che li intrappola nel luogo dentro il quale una famiglia dovrebbe sentirsi normalmente al sicuro.


I colori degli interni, che spesso lampeggiano nelle luci neon, ci catapultano di continuo in una Gotham italiana tutta da scoprire. E la musica, filo conduttore emotivo delle performance, scandisce un ritmo che, nonostante la profondità dei silenzi e delle riflessioni, riesce ad essere incalzante e strutturato. Le location e le scenografie sono curate nei minimi particolari. Emblematica l’abitazione del personaggio di Randall Paul, un vero e proprio gioiello di design sul quale ci si potrebbe soffermare per ore su ogni singolo elemento.


Le inquadrature ricercate, che richiamano di continuo un certo cinema d’autore (tra cui quello di Kubrick, citato come proprio maestro dal regista), distraggono per un momento - con la loro bellezza - dalla storia, per poi restituirla come uno schiaffo, grazie alla fedele crudezza delle sue interpretazioni. Difatti, il non detto gestisce alla perfezione la comunicazione, restituendo un’emotività potente attraverso lo stile delle immagini.


Alfonso Bergamo ci informa che si, siamo nell’epoca del cinema confezionato per pacchetti di fruizione disimpegnata, rapida e schiava delle volontà del pubblico leggero, ma allo stesso tempo ci ricorda che il cinema non è un’epoca e che tutte le storie possibili sono state già narrate: la differenza sta nel come e nella fantasia dell’arte vera.


Una recensione a cura di Claudia Lazzari

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