The Smashing Machine: recensione del film di Benny Safdie con Dwayne Johnson

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~ SIMONE FERDINANDI

Gli sport da combattimento sono sempre stati delle grandissime metafore della vita. Storie di rivalsa sociale, di rispetto reciproco a seguito di vere e proprie battaglie e, soprattutto, di sacrificio. Non a caso questo tipo di sport si presta incredibilmente bene al cinema; basti pensare a film incredibili come Rocky, Toro Scatenato, Million Dollar Baby, The Wrestler e Foxcatcher. Tra gli sport da combattimento più noti, manca all'appello uno estremamente contemporaneo: le MMA. The Smashing Machine cerca di fare questo, di portare sotto i riflettori una storia incredibilmente umana nel contesto di uno sport molto violento, crudo e al contempo estremamente complesso. L'epopea è quella di Mark Kerr, uno dei pionieri delle MMA, un uomo duro nel ring, ma fragile nella vita di tutti i giorni, che prova ad allontanarsi dai demoni che cercano di assalirlo costantemente. Mark non lotta solo contro gli avversari, lotta con le dipendenze da oppioidi, con la relazione incredibilmente tossica con la moglie e con il suo ego che si sgretola non appena scopre che possa perdere.

Benny Safdie, dopo aver stupito il cinema americano con gli amati film diretti assieme al proprio fratello Josh, si distacca moltissimo dallo stile ansiogeno e claustrofobico che ha caratterizzato quei lavori, optando per un'estetica sporca, fatta di zoomate e con tendenze estremamente documentaristiche che permettono allo spettatore di entrare a gamba tesa nelle dinamiche del film (scelta che gli è valsa il Leone D'Argento a Venezia). Gli unici momenti nei quali Benny tradisce volontariamente lo stile da lui scelto sono quelli degli incontri, dove opta per un'estetica più televisiva, come a ricalcare le gesta di Mark Kerr che sono state riprese e viste da tutto il mondo. Da menzionare la caotica colonna sonora di Nala Sinephro, disorientante quanto dissonante, spesso disomogenea ma efficace. Quest'approccio porta ai risultati sperati, trascinandoci nei drammi interiori del protagonista. Un'altra scelta estremamente interessante è stata quella di evidenziare i colpi messi a segno (soprattutto contro Kerr) tramite degli accenti musicali.

Ed ora, bisogna parlare dell'elefante nella stanza. Anzi, della roccia nella stanza. Quando è stato annunciato che The Rock sarebbe stato il protagonista, una coltre di scetticismo ha avvolto il film. La domanda più ricorrente, spesso detta con un pizzico d'ironia e di snobismo, è stata una: The Rock è in grado di recitare in un film drammatico? La risposta è si, e lo fa dannatamente bene. Dwayne Johnson ha mostrato lati del proprio range attoriale, performativo, che sono sempre stati nascosti, raccontando un uomo che fa del proprio fisico un'armatura, ma che sa benissimo che sotto quell'armatura ci sono molte debolezze ed insicurezze. L'accoppiata con Emily Blunt (anche lei sugli scudi) funziona a meraviglia, con scene che riescono a far emergere alla perfezione il rapporto complesso tra i due, fatto di droghe, debolezze e incomunicabilità. Aggiungo che a The Rock hanno applicato un trucco prostetico invadente, che altera completamente il volto del samoano, scelta non banale quando si parla di una star di quel calibro. D

a fan delle MMA, vorrei fare delle considerazioni su come lo sport è stato rappresentato. Il periodo storico viene raccontato alla perfezione, un'epoca in cui le tecniche ammesse erano più pericolose e brutali, un periodo in cui il futuro candidato alla Casa Bianca Mit Romney definiva lo sport come "human cockfighting". Un altro aspetto interessante è il contrasto tra il look "underground" della UFC (ben lontana dal look glamour che vediamo oggi)  e la legittimità sportiva che veniva data in terra nipponica durante gli eventi del PRIDE, la promotion più importante di quegli anni. Nel corso del film viene messo in evidenza anche il rispetto reciproco trs questi atleti, pronti a a scambiarsi batture e farsi una foto insieme dopo un KO brutale, portandoci un dietro le quinte incredibile in contrasto con quello che oggi vediamo durante le conferenze stampa della UFC, una spettacolarizzazione estrema del trash talking, quando dopo un incontro si prendono una birra assieme. Ed infine. vorrei fare i complimenti agli atleti coinvolti nel film, come Bas Rutten (nelle vesti di se stesso), il pugile Oleksandr Usyk e Ryan Bader.

Il film è estremamente solido e scorrevole, che rende onore ad uno sport tanto seguito quanto incompreso, curiosamente uscito in Italia assieme a 40 Secondi, un film tratto da una storia tristemente vera, dove due persone hanno "infamato" una disciplina e hanno usato quelle stesse tecniche fuori da una gabbia, fuori da un contesto sportivo, per uccidere. Da fan degli sport di combattimento e della MMA, spero che escano altri film così, magari sulla storia di Francis Ngannou, un uomo passato dallo scavare nelle miniere in Camerun a diventare campione dei pesi massimi. Ma questa, è un'altra storia

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