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~ LA REDAZIONE DI RC
C'è una parola che nel mondo dell'audiovisivo ha un peso fondamentale: regista. Una figura che, a seconda del contesto, cambia pelle in modo radicale.
Nel cinema, dire "regista" significa evocare visione, stile, voce autoriale. È quella figura che immagina il film prima ancora che esista, che lavora con gli attori per tirare fuori verità e tensione emotiva, che decide la luce, i movimenti di macchina, i tempi, il ritmo. Il regista cinematografico è il punto di partenza e il punto di arrivo di tutto. A volte persino più importante del soggetto stesso. Basta pensare a nomi come Stanley Kubrick, Federico Fellini, Agnès Varda o Paul Thomas Anderson per capire di cosa stiamo parlando. Non è solo chi gira il film. È chi lo scrive con la macchina da presa.
Poi, dall'altra parte dello schermo (anzi, dell’etere), c'è la televisione. E qui la parola regista significa qualcosa di diverso, soprattutto quando parliamo di programmi televisivi: talk show, game show, reality show (Un sacco di show, cit.), telegiornali, varietà.
E lì, il "regista" ha un compito molto più tecnico e operativo: decidere l’ordine delle inquadrature, passare da una telecamera all’altra in tempo reale, coordinarsi con gli autori (che sono quelli che decidono contenuti e struttura narrativa del programma), con i conduttori e con i tecnici in regia. È un lavoro essenziale per far funzionare lo show, ma è una figura molto più “nascosta” e subordinata rispetto alla regia cinematografica.
Nel cinema, il regista è un costruttore di mondi. Prendiamo “Il Petroliere” di Paul Thomas Anderson. Ogni scelta di inquadratura, ogni silenzio, ogni dettaglio nella scenografia racconta qualcosa che non è scritto nei dialoghi. Quello che fa un regista è proprio questo: aggiungere significato attraverso il linguaggio visivo.
Qui la regia è drammaturgia visiva.
Un regista lavora mesi – spesso anni – per realizzare un film. C'è una pre-produzione in cui si decide lo stile visivo, si costruiscono gli storyboard, si scelgono i costumi e la fotografia. Durante le riprese, il regista guida il set, lavora con gli attori per trovare il tono giusto, coordina il lavoro del direttore della fotografia e degli altri reparti.
Poi c’è la post-produzione, dove si scolpisce davvero il film: si monta, si lavora sul suono, sulla musica, sul ritmo finale. Ogni scelta è parte di un disegno.
Quindi il regista, in questo mondo, è l’autore. E non è una metafora.
In una trasmissione televisiva – prendiamo ad esempio un talk del pomeriggio o un programma come “Che Tempo Che Fa” – il regista non costruisce una storia in senso cinematografico. Non ha il controllo della fotografia (che è spesso preimpostata), non dirige attori, non imposta una messa in scena originale. Il suo ruolo è tecnico e gestionale: deve scegliere in tempo reale quali telecamere mandare in onda, quando staccare, quando fare un’inquadratura larga, quando stringere su un volto.
Un buon regista televisivo ha tempi perfetti. Ha occhio per le reazioni, anticipa i movimenti, tiene il ritmo visivo del programma. Ma non costruisce significato attraverso la messa in scena. Esegue una regia "live" o semi-live.
Lavora sempre in sinergia con gli autori, che sono quelli che decidono la scaletta, i tempi, le pause, i contenuti.
Nel caso dei reality show, ad esempio, il regista può decidere come rendere visivamente più interessante una dinamica, ma resta sempre un lavoro interno a una struttura narrativa scritta da altri.
Cinema e televisione funzionano con tempi, obiettivi e linguaggi diversi. E questo si riflette sulla figura del regista.
Nel cinema, il tempo è unico, lo sguardo è personale. Il regista cinematografico deve avere una visione artistica e narrativa, deve sapere dirigere attori, pensare per immagini, trovare una forma alla storia. È una figura creativa, autoriale, spesso insostituibile.
In televisione, tutto si gioca sull’immediatezza. Il ritmo è scandito dalla diretta, o da registrazioni con tempi strettissimi. Il regista deve avere prontezza, capacità di coordinamento, occhio clinico per la resa sullo schermo. Ma non è lui che imposta i contenuti o la grammatica narrativa.
E anche nei programmi più “curati” – come certi documentari televisivi o le fiction – la regia televisiva resta più funzionale che autoriale. Laddove il cinema si concede l’ellissi, il silenzio, la lentezza, la televisione tende a riempire, a spiegare, a non lasciare vuoti.
Conclusione: stesso nome, mestieri diversi
Dire “regista” nel cinema e nella televisione è come dire “cuoco” per chi crea piatti d’alta cucina e per chi gestisce una cucina industriale. Entrambi lavorano con ingredienti visivi, entrambi hanno competenze tecniche. Ma le finalità, i tempi, il linguaggio sono profondamente diversi.
Nel cinema il regista è l’autore. In televisione, il regista è un regista in senso operativo. C’è una differenza di scopo, di linguaggio e di libertà espressiva. E forse è anche giusto così: sono due mondi che usano lo stesso mezzo – l’immagine – per fare cose molto diverse.
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