\"Il sogno di Claudio\" - Claudio Lattanzi, l'horror, l'energia, i ricordi

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...

~ LUCA FERDINANDI

Due sere fa sono stato con piacere a "Il sogno di Claudio - tra proiezioni e ricordi" un'iniziativa della TaMa.H.Demi, presso il Teatro Mongiovino, per celebrare Claudio Lattanzi, un regista, un amico, un uomo acceso da un fuoco speciale.

Io di anni ne ho 30. Per quanto la mia passione per il cinema mi spinga a recuperare tutto, e cercare storie, ricordi, correnti di pensiero, ecc... E' inevitabile che qualche tassello mi manchi ancora. Tanti, troppi tasselli. E quello che più mi incuriosisce sono le storie di uomini e donne che si sono battuti per un ideale, per inseguire il proprio modo di leggere il cinema, forse l'arte, forse il mondo. E sono rimasto semplicemente stupefatto, a sentire questo lungo confronto tra amici, tra persone che hanno lottato per un cinema, per l'arte, per il calore e per l'amore. Oltre a conoscere meglio il carattere di Claudio Lattanzi, la serata si è arricchita di aneddoti, storie di amicizia, chicche di artigianato, soluzioni. A volte anche confronti, a volte anche scontri, a volte anche punti di vista diversi.

Nel ripensarci ieri, ero ancora più stupefatto, e non potevo non caricare su questo Blog praticamente tutto l'intervento che ha preceduto la proiezione di "Il tempo del Sogno". Merito dei pezzi di storia del cinema che hanno calcato il palco, a cominciare dal Caronte (Termine che leggerete di qui a breve) Davide Pulici. Sono intervenuti volti che hanno fatto parte di talmente tanti film e progetti da perderne il conto, a raccontare esperienze da perderne altrettanto il conto. Mi sono perso tra le loro parole, e spero di restituire con questa trascrizione le sensazioni che ho provato io. E' lunga, ma era necessaria, come sono necessarie serate di questo tipo.

Ringrazio Tania Bizzarro e la TaMa H.Demi, che sono sempre esempi di lotta per il cinema di genere, e il cinema horror in particolar modo.

Vi lascio alla trascrizione,

Luca

DAVIDE PULICI

Conoscevo il film che lui aveva girato nel 1987, “Killing Birds”, titolo peraltro che lui odiava, preferiva citarlo con un altro titolo, “Rectors”. Non mi era capitato di conoscerlo direttamente. Questo avvenne intorno al 2010, quando proprio in occasione dell’uscita del DVD di “Killing Birds”… ci commissionò gli extra. E quindi combinammo questa videointervista con Claudio. Video Intervista che realizzammo a Roma, nell’ufficio dell’allora moglie di Lamberto Bava. Arriva finalmente Claudio, lo conosco, e mi stupisco intanto di scoprire che siamo quasi coetanei. Mi aspettavo una persona anziana, non un giovanotto. Un giovanotto simpatico, vispo. Qualcuno lo aveva poi soprannominato “Il Grillo Parlante”, per questo suo modo scattante, esuberante… e mi sono trovato di fronte a un fiume in piena. Sicuramente teneva molto a raccontare, rinarrare, quel periodo che, si capiva da come parlava, era stato molto importante nella sua esistenza. Ci raccontò molti aneddoti, quel pomeriggio. Ma alla fine dell’intervista ci disse: “Io sono stato un fiume in piena, poi vedete voi cosa mettere e cosa non mettere”.

Non aveva raccontato niente di compromettente, di particolare. Ma mi colpì molto questa cosa. Anche nel tempo, quando il nostro rapporto era diventato più di amicizia, e lo “escutevo come test”, citando un termine giuridico, dato che lui era super informato sul lasso di tempo che andava dal 1985 in poi. Mi raccontava delle cose incredibili, e poi chiudeva puntualmente la telefonata con ”Ao, però non scriverlo”. Era quasi uno scherzo tra noi, perchè poi sapeva che queste cose le avrei ficcate dentro. 

Un’altra cosa che mi aveva colpito di quella prima intervista era la sua modestia. Non l’ho mai sentito mettersi “Le piume del pavone”. Raccontava cose delle quali era stato protagonista, ma sempre con modestia. Poi magari in privato capivi che c’erano delle cose, ma pubblicamente era molto modesto. Non era un “Fregnacciaro”, non si vantava. Era una sua qualità che ho sempre apprezzato. Quella volta si presentò con un malloppo di roba che ci lasciò. Materiali, soggetti… ad esempio, il primissimo soggetto di “Killing Birds”, che era una cosa abbastanza diversa. Ci lasciò questi materiali, assolutamente inediti, che poi restituimmo, e la cosa finì. Poi ci fu un disguido, tale per cui “Killing Birds” uscì con dei tagli, censurati, ecc… si risentì e riuscimmo a far uscire il cofanetto del film nella sua copia integrale. Devo dire che il rapporto che legava Claudio a questo primo film era un rapporto ambivalente. 

Ci pensavo stamattina, lo definirei di amore-odio. Era profondamente legato a questo film, era stato il suo salto alla regia. Il suo nome appariva come Claude Milliken. All’epoca si faceva, per spacciare un regista italiano come fosse straniero. Era molto legato a questo ricordo di “Killing Birds”, ma gli rodeva perché su quel set, evidentemente non aveva potuto fare tutto quello che avrebbe voluto. E lui ce lo raccontava in maniera anche molto diretta: “Io credevo di poter fare chissà che cosa, lì in Louisiana, ma poi una volta lì ci siamo resi conto che i mezzi erano quelli che erano.” Poi c'era il produttore e DOP, Aristide Massaccesi, che sul set spesso cercava di stringere sui tempi, di risparmiare sul girato. Claudio non voleva. Una cosa molto divertente. C’è una scena, in cui uno dei protagonisti, in soggettiva attraversa delle stanze con delle porte che si aprono. Claudio si era battuto ferocemente per avere questo effetto, che però era un effetto minimo, e Massaccesi diceva: “Ma no… che stiamo facendo…” Alla fine la spuntò Claudio, chiaramente. Poi altri aneddoti, come… tutti gli zombie nel film… li interpretava Claudio, perché era una troupe estremamente ridotta. Otto persone. 

Questo nel 2010, poi saltuariamente ci sentivamo, gli chiedevo io dei pareri, degli aneddoti… tant’è vero che quando poi in tempi più recenti ho scritto questo libro su Michele Soavi, ero tentato di mettere Claudio Lattanzi come co-autore, perché senza non avrei scritto questo libro. Claudio era l’unico in grado di raggiungere Michele, in qualunque circostanza, perciò, per porre alcune domande a Michele… passavo attraverso Claudio! Lo dico senza esagerazione, gran parte dei contenuti di questo libro lo devo a questo lavoro di mediazione operato da Claudio. Ci fu un episodio. Era uscito il libro, mi chiamò Claudio: “Sai con chi sono ora? Con Michele, ci siamo visti e gli ho passato il libro. Adesso te lo passo.” Mi colse di sorpresa, non la sapevo questa cosa. Vado sul personale perché è l’unico modo in cui posso affrontare il tema…

Claudio era tornato operativo dal punto di vista Cinematografico, aveva fatto “Everybloody's End”, stava finendo di realizzare “Aquarius Visionarius”, un documentario su Michele Soavi. Un lavoro molto sentito. Poi un giorno, io credo fosse primavera-estate 2020, durante una delle nostre conversazioni, mi disse: “Voglio fare un film. Però… vorrei che tu leggessi un soggetto”. Mi manda questo soggetto, che se non ricordo male era un soggetto che gli era venuto dal fatto di essere stato colpito da qualcosa sull’Aventino. Aveva visto qualcosa, forse una casa particolare… ma c’era al centro di questa idea il colle Aventino. E lì successe… poi Antonio Tentori che è qui ci dirà la sua. Disse: “Ma prova a riflettere anche tu su questo soggetto qua”. Cominciò uno scambio di idee finché un giorno mi disse: “Vabbé, prova a buttare giù una sinossi, un pre-trattamento..”. Non era il mio lavoro, ma questa cosa mi stuzzicava. Buttai giù un’idea, e mai avrei pensato che nel giro di qualche mese, anche con la collaborazione di Antonio Tentori, si sarebbe sviluppata la sceneggiatura di un lungometraggio, dal titolo: “Beyond the Beyond”. 

Faccio un passo indietro. Non era un lungometraggio che potesse essere autoprodotto, era una storia che presupponeva un respiro piuttosto ampio. Tutti gli dicevano che non era un film che si potesse fare con poco. Facemmo questa operazione. Quando venne annunciato ci furono dei casini, qualcuno pensò fosse un plagio di “The Beyond - L’aldilà” di Fulci… ma non era assolutamente vero. Fatto questo film mi arriva un’altra telefonata da Claudio, voleva fare altro. Notavo in lui questa smania, questa voglia di fare. Voleva fare un documentario su Mario Bava. “Interessante Claudio, ma oggi non trovi nessuno vivo, o comunque pochissime persone, perché comunque è un regista scomparso tanti anni fa…” E la sua risposta fu: “Va bene, abbandoniamo Mario Bava, fatti venire un’idea”. E mi ricordò la scuola di Joe d’Amato: “Sisi, scrivi una storia, e poi… vediamo”. Messo di fronte a questa necessità ci provai e mi dissi: “Ma tutto sommato, Claudio è stato testimone di quel periodo. Perché non fare un documentario su quella fase del cinema fantastico horror italiano, che va dall’84-85, ai primi anni ‘90. Facciamo un documentario, ci sono tante persone da interpellare”. Nella mia testa avevo concepito questo come se Claudio fosse il protagonista, il trait d’union. A lui piacque questa idea. Succedeva a dicembre e mi disse: “Io per febbraio voglio cominciare a girare”. Avvertivo veramente questo suo fermento continuo, che negli ultimi anni aveva moltiplicato. “Chiaramente” gli dissi, “Per un’operazione di questo tipo noi possiamo tracciare un borderò, fissare gli incontri ecc…Il documentario si sviluppa facendolo”. Scrivemmo questo scheletro, e lì arrivò il momento cruciale. Mi disse… “Però ci serve qualcuno che faccia da collegamento. ”Certo, sei tu…” “No, te lo scordi, neanche per idea”, “Ma come no?? Sei stato il protagonista, li conosci tutti, li hai vissuti… perché non vuoi fare tu il Caronte?” ”Assolutamente escluso. Lo fai tu.” Io ero assolutamente contrario e riuscì con un ragionamento che mi inchiodò al muro, dicendomi le seguenti parole: “Il termine finale di un certo tipo di cinema è il 1994. In quell’anno Michele Soavi gira DellaMorte DellAmore”. E quel film era il momento finale, da lì in poi cambiò il paradigma. “Nel 1994 tu e Manlio Gomarasca avete cominciato a fare Nocturno. Una cosa moriva, e voi cominciavate a fare una rivista per la quale quel cinema era tutt’altro che morto. Riflettici bene. Cominceremo questo racconto con te nella redazione di Nocturno che fai questa equazione.” Mi inchiodò con questa affermazione. E l’ho fatto, con molto piacere, con il piacere di essere diretto da Claudio. E per la prima volta l’ho potuto vedere in azione sul set. Claudio sul set cambiava. Diventava… mi sembrava di vedere un regista di altri tempi. Assolutamente deciso. Mandava spesso e volentieri le persone a quel paese, era determinatissimo. Abbiamo realizzato in tempi rapidissimi “Il tempo del sogno”. Infatti quando ho visto la locandina di questa serata, “Il Sogno di Claudio”, che è stata fatta prendendo come spunto il manifesto del “Tempo del sogno”, la cosa mi ha toccato. Sul manifesto ci abbiamo riflettuto molto, era un riferimento all'isola dei morti di Böcklin.

Claudio sul set si trasformava. Sempre simpatico, sempre con la battuta, ma si trasformava. E lo dico senza retorica, sono contento che Claudio abbia visto questo progetto concluso. Ne abbiamo parlato un paio di volte e avevo capito che Claudio era molto contento di questo lavoro, sulla cui post-produzione ci ha investito tanto tempo. “Il tempo del sogno” è un film, non un documentario, non ha nulla delle caratteristiche. Io mi sono limitato a fare il falso Caronte, e le mie informazioni, ma la struttura di questo film è totalmente merito di Claudio, Sono contento che l’abbia visto finito. Ci sono stati molti progetti intermedi. Aveva un sacco di progetti, mi colpiva il suo fermento. Ho immaginato che questo immaginasse un riscatto rispetto a quel cinema degli anni ‘80 in cui lui aveva fatto questo “Killing Birds”, che gli era rimasto qui. Io avevo capito che pur essendosi allontanato dal cinema “praticato”, la sua passione era rimasta. Era un collezionista, collezionava 35 mm, e parlando con lui non avevi l’impressione di parlare sempre con uno che avesse fatto i film allora, ma con una persona profondamente appassionata. Ho conosciuto altri registi, ma nessuno così profondamente impregnato di questo cinema. Preferirei che qualcuno mi fiancheggiasse. 

Silvia Collatina raggiunge il palco.

Lei ha avuto un ruolo feticcio, quello della ragazzina, Mae, morta in “Quella villa accanto al cimitero” di Lucio Fulci, e ovviamente Claudio conosceva benissimo Lucio, te… non si è mai capita la condizione tua e di quel ragazzino, era strana…

SILVIA COLLATINA

Me lo chiedono spessissimo, di questo finale, alla Edgar Allan Poe, alla Lovecraft… lui era affascinato dal macabro. 

DAVIDE PULICI

Non puoi mai sapere se i bimbi sono mostri, o i mostri bambini”. 

SILVIA COLLATINA

Ci sono varie interpretazioni, credo che quella che ho trovato io funzioni, l’ho vissuta e ci ho pensato tante volte. Potrebbe anche sembrare come se tutto quello che ha vissuto il bambino, Bob, fosse in realtà frutto della sua immaginazione. Anche la morte dei genitori. Come se tutto fosse creato dalla sua immagine. Fulci aveva un odio particolare per gli adulti, il film termina sui bambini. Ed è stato paragonato a Shining, e al rapporto del bambino con lo chef. Qualcuno ha anche detto che hanno copiato, ma lui stesso ha confermato che non c’entrasse nulla. Tra le varie interpretazioni, quella che ha un filo più logico è quella che Bob, per salvarsi, entra nel mio mondo, dei Morti. E il male rimarrà e vincerà sempre. Il male ci sarà sempre, ma intanto i bambini sono salvi, lui è destinato ad essere per sempre vivo tra i morti. 

DAVIDE PULICI

Tu come l’hai conosciuto Claudio?

SILVIA COLLATINA

Claudio mi contattò, e mi voleva parlare di un progetto. Inizialmente mi sembrava molto serioso, un uomo di altri tempi, non lo avevo ancora percepito. Mi parlò di questo progetto, questo passaggio di testimone. Dissi di si, per me è stato un periodo bello come attrice e come fan dei film dell’orrore di genere. Cercavamo un posto dove girarlo, un cimitero, e guardavo su Internet, per poi trovare lo splendido Borgo Medioevale di Canale Monterano, “la città fantasma”, dove hanno girato tanti film. 

DAVIDE PULICI

Questo si lega proprio alla passione di Claudio e alla sua conoscenza. Lui si ricordava che lì era stato girato il film nel film di “Demoni”, di Lamberto Bava. E’ una location molto riconoscibile.

SILVIA COLLATINA

Un borgo abbandonato, che ha anche una leggenda di patti con il diavolo. Quando andammo, era pomeriggio, vidi questo borgo suggestivo da morire. Mi sembrava che eravamo in una dimensione senza spazio e senza tempo. Le sensazioni più intense che ho avute le tengo dentro il cuore. Mi sembrava di essere entrato dentro un’epoca, senza tempo, noi soltanto, come se non ci fosse altro. Eravamo talmente contenti e suggestionati da tutto l’ambiente… felicissimi. Stare con Claudio… e anche girando… mi sembrava di conoscerlo da tempo. Scherzavamo tantissimo, lui e i suoi famosissimi “Va a cagher". Una persona piena di Humor.

DAVIDE PULICI

A volte era molto diretto, a volte molto sottile. Mi stupiva questa cosa. Non capita spesso… era questo doppio aspetto, da una parte gentleman, controllato…

SILVIA COLLATINA

Poi scherzava in una maniera… stavamo sempre a ridere.

DAVIDE PULICI

Usciva sempre qualcosa… mi raccontava a valanga, e poi mi diceva: “Queste cose non le mettere”. “Ma non le metto…”, facevo io. Stava un momento in silenzio per poi dirmi: “mortacci tua!”

SILVIA COLLATINA

Io se ricordo Claudio ricordo tante risate. Un’altra cosa che ho sempre pensato è che lui fosse una sorta di capo boy scout, un maestro, un nostro maestro. Uno dei pochi rimasti che può tramandarci tante cose, anche da un punto di vista professionale. “Il tempo del sogno” per me è un gioiello, un qualcosa che ci porta in quel tempo che non c’è più. 

DAVIDE PULICI

Tu hai detto una cosa. Mentre facevate queste riprese a Canale Monterano, tu avevi questa idea di essere fuori dal tempo. C’era questa riflessione, che ci era capitato di fare con Claudio, dopo aver visto il final cut del documentario… c’era da fare la color correction, ma era fatto. Mi ricordo che al telefono gli dissi: “Devo dirti una cosa” “Anche io” “Sulla parte finale ho avvertito una strana sensazione”. “E’ l a stessa cosa che ti avrei detto anche io”. Sono scene girate al magazzino di Nocturno, ora non c’è più, è stato smantellato. E ti lascia addosso quel senso… neanche di nostalgia, qualcosa di più vago. Ed eravamo perfettamente in sintonia, anche nel non definire cosa fosse. Forse avevamo catturato qualcosa di quel tempo. Cercavamo le ragioni per le quali quel cinema fosse terminato, ma non avevamo una risposta. Claudio amava una risposta di Fiore Argento: Ma perché tutte le cose hanno un principio, uno svolgimento, una fine. 

E continuavamo a ripeterci questa risposta che nella sua semplicità ci sembrava quella che meglio afferrava queste sensazioni. Questo senso di spaesamento l’ho provato anche io sul set. Mi ricordo che in diverse circostanze avevamo questa sensazione, ad esempio a casa di Michele Soavi, dove si era creata una situazione molto intima.

SILVIA COLLATINA

E devo dire che nelle scene finali, dove io prendo la maschera…. io mi sono sentita come se stessi girando “Quella villa accanto al cimitero”. In quell’atmosfera. Come se fossimo tornati indietro nel tempo. Sono contenta perché mi sono sentita trasportata in un tempo…

DAVIDE PULICI

Il tempo del sogno… Grazie Silvia.

Quando parlavo di Beyond the Beyond, di questa sceneggiatura che abbiamo scritto, mi sono colpevolmente dimenticato di dire che da un punto di vista storico, tutto nasceva da un soggetto al quale Claudio aveva collaborato, con il suo amico Federico Monti. Il soggettino era “Killing Birds 2”. Federico, hai piacere di raggiungerci?

FEDERICO MONTI

Il nostro era un rapporto di amicizia e cinofilia. Claudio, negli ultimi anni aveva questo desiderio, questa urgenza, di esprimersi nuovamente. Aveva un’ansia di narrazione filmica che lo tormentava. Era un uomo energico, frizzante. Noi ci sentivamo più che altro per commentare i film. C’era un confronto continuo. Era un grande cinefilo, vecchia scuola, quindi aveva anche questa cultura della materialità, dell’oggetto. Oggi abbiamo una forma di cinefilia involuta, volatile. Non si afferra più il DVD, la Videocassetta, Claudio aveva addirittura le pellicole. Era testimone di un’epoca scomparsa. Io e Claudio avevamo un rapporto da Bujackoff. Io ero un demone che lui evocava quando cercava una storia folle. Tu facevi riferimento alla morte di un certo tipo di cinema. Quel cinema è morto perché… è stato detto tutto. Ed era sempre più difficile individuare un tema, un’idea… qualcosa di fortissimo, mai visto, inaudito. Spesso mi chiamava, sapendo i miei gusti per l’esoterismo, il grottesco, l’alchimia, i misteri, Dioniso, l’antropologia… E producevo dei soggetti nei quali mi impegnavo. Per me lineari, ma contorti. Lui li leggeva e restava interdetto: “Forse troppo di nicchia, chissà a chi può piacere…”. Il mondo della Produzione in Italia è quello che è, fare un certo tipo di cinema è davvero impossibile. Hai citato prima il remake di “Killing Birds”, ma anche di “Deliria”, e io mi ero soffermato alla figura del Barbagianni, collegandolo a Max Ernst, alla vestizione della sposa, una delle fonti di Michele Soavi. L’ultimo soggetto è un film su Mario Bava.

DAVIDE PULICI

Io ricordo che aveva un desiderio di fare un film su Mario Bava, che poi è stato lasciato da parte a favore del tempo del sogno. Io ho presente che nell’ultimo anno mi aveva parlato di diversi progetti, tra questo remake, sequel… di “Deliria”. Ti volevo chiedere “Killing Birds 2” com’era nato?

FEDERICO MONTI

Lui voleva dare un’estensione a questo film. Mi chiese di produrre del materiale, dato che da una parte aveva un’idea di controllo, ma dall’altra di apertura, quindi mi concentrai più che sulla trama, sulle sensazioni, arrivando a questi psicopompi, questi traghettatori di anime. Tentai di mettere insieme questo significato mitologico degli uccelli poi una sorta di Parodia dell’Ultima cena, dell’Eucarestia. A lui piacque. Era un film di immagini più che di trama serrata, con dei rapporti di causa effetto. Aveva un andamento magmatico onirico.

DAVIDE PULICI

Quando vi eravate conosciuti?

FEDERICO MONTI

Noi ci siamo conosciuti nell’80. Un amico in comune ci presentò, grazie a Facebook. Ci siamo rivisti da lì, anche con Antonio.

DAVIDE PULICI

Visto che lo hai evocato. Antonio, unisciti a noi. Antonio Tentori.

Antonio Tentori raggiunge il palco. 

Antoni Tentori… quando noi cominciammo nel ‘94 già era un personaggio di riferimento, perché insieme ad Antonio Fustini avevano pubblicato dei libri su quel cinema. Quando ci incontrammo con Manlio Gomarasca avevamo i vostri libri. La tua conoscenza con Claudio è antica. Volevo chiedere Antonio, traccia un pò questo percorso, questa amicizia. Voi tra l’altro frequentavate entrambi, gli stessi giri: Aristide Massaccesi, Dario Argento, come avvenne questa conoscenza?

ANTONIO TENTORI

Noi eravamo predestinati, ad essere amici e lavorare insieme. Ma soprattutto ad essere amici. Noi ci siamo conosciuti verso la fine degli anni ‘80, a un fanta-festival. Non ci siamo frequentati subito, ma nel tempo. Ci conoscevamo di nome, ma l’amicizia  è cominciata ad essere più stretta a partire da una decina di anni fa. Ci sono an he delle cose divertenti. una volta, parlando di horror italiano, avevamo gusti molto in comune. Ma a un certo punto mi dice… “Tutti ma Un gatto nel cervello di Fulci e Dracula di Dario Argento… quelli proprio no.” E io…: “Bene. Li ho scritti io.” Poco tempo dopo mi ha chiamato per fare un film ed è nato “Everybloody’s end”, con una paginetta di quaderno. C’era l’inizio e la fine. E basta. Ci siamo visti a un bar, e mi ha detto che l’inizio era questo: un epidemia, fuori. Dentro un bunker, con dei personaggi, quattro personaggi, tre donne e un uomo. Poi io aggiunsi il secondo uomo, un medico. Poi c’erano questi sterminatori, che non si capiva bene chi fossero, e c’era un finale, suo, che ho amato subito. Metacinematografico. Quando ho chiesto che tipo di struttura volesse, compresi che voleva un film onirico, nonostante poi ci sarebbero stati anche scontri, ecc… una cosa che soltanto lui poteva immaginare. Io e lui ci vedevamo, ma perché ci faceva piacere vederci. C’erano tanti progetti, in alcuni c’ero io, in altri no. C’era ovviamente “Beyond the Beyond”.

DAVIDE PULICI

Una composizione complessa. L’idea che un certo personaggio fosse morto e fosse tornato dalla morte, ci fosse svegliato da questo stato di morte apparente. Era tornato dal mondo dei vivi ma con qualcosa di strano. Era stato internato, ecc… c’era questa storia che si intitolava “Beyond the beyond” perché questo protagonista, tornato dalla morte entrava nel rapporto con una dottoressa, che lo psichiatra e apprendeva una serie di cose che questo personaggio aveva vissuto al di là delle barriere della morte. Tu hai scritto anche i dialoghi, se non sbaglio. Lui era entusiasta.

ANTONIO TENTORI

Lui era sempre entusiasta. Di questo progetto impazziva, forse ci teneva di più, tra tutti. Si era innamorato, ma a un certo punto ha dovuto lasciarlo da una parte. Purtroppo bisogna dire che i Produttori non leggono, non comprendono i meccanismi. Questo è un horror metafisico, sull’aldilà… e diventava frustrante per lui.

DAVIDE PULICI

Devo dire una cosa. Lui sapeva che si era aperto un canale con una produzione straniera. Conoscevo la referente e lo dissi a Claudio. Dopo il suo ok lei lo lesse in italiano, ci chiese la versione in inglese per poterlo passare ai suo referenti e mi chiese se c’era un regista. Io risposi, che c’era Claudio Lattanzi. Ma lei non mi diede la certezza che sarebbe potuto essere lui. Dipendeva dalla produzione, dalle possibilità, ecc… A questo punto lasciai volontariamente cadere la cosa, tenendo conto che quel film doveva farlo Claudio. Anche se poi, e ci scherzavamo sopra, quando ne parlavamo io gli dicevo sempre: "Voglio vedere poi queste scene, che sono belle, come le realizzi…”. 

ANTONIO TENTORI

Lo avrebbe fatto. Doveva essere il suo film. “Killing Birds” aveva un rapporto di odio e amore, anche per il rapporto con Aristide, che era Direttore della Fotografia, e anche produttore. Ma il film è un film di Claudio. Ma non lo amava in maniera particolare. Everybloody’s end è un passo successivo. Voleva fare qualche cosa con un senso, metafisico. 

DAVIDE PULICI

Secondo te perché Claudio da un certo punto in avanti era divorato da questo desiderio compulsivo di fare. Aveva per molti anni tralasciato il cinema. Cos’era che secondo te lo animava, lo spingeva.

ANTONIO TENTORI

Ma la sua è un’inquietudine che sento anche io. Lui non riusciva mai a stare fermo. Doveva sempre seguire un'idea e cercare di portarla a termine. Non si accontentava mai, non era… non mai soddisfatto. Avrebbe voluto fare sempre di più, e questa è una cosa che va a suo onore. Lui anche se aveva quest’aria seria, invece era una persona conscia delle proprie possibilità, e potenzialità. Tutto questo rientrava nel suo modo di essere. Questo è Claudio.

DAVIDE PULICI

Visto che il discorso è caduto di “Everybloody's end, vorrei invitare una delle protagoniste, Marina Loi. Anche perché Marina Loi tra le altre cose passate alla storia del cinema horror, in un film di Lucio Fulci, “Zombie 3“, muore cadendo in una piscina con le gambe in aria, divorata dagli zombie. 

MARINA LOI

La scena preferita di Pulici.

DAVIDE PULICI

Tu hai una parte importante in “Everybloody’s end”,no? COme lo avevi conosciuto Claudio?

MARINA LOI

Io avevo conosciuto Claudio al Fantafestival. Avevamo vinto un premio in un film dove peraltro facevo venti secondi, ma ero in cartellone. Il mio destino. Finisco sempre nei cartelloni, ma non nei film. Lo avevo conosciuto a cena. Lui mi chiama dopo un pò di tempo e mi dice: “Guarda, ho un ruolo iconico” E così mi ha stregato. Mi hanno massacrato, come al solito, ma devo dire che Claudio era davvero una mente sempre al lavoro. Poi gli proposi di fare un Documentario che producevo. Inizialmente disse di no, per poi venire da me e pentirsene, era molto dispiaciuto di avermi detto di no. Avevamo anche “Beyond the Beyond” in cantiere. Io non faccio l’attrice, non lo voglio fare, tranne che se mi chiama un amico, nel caso di Claudio, e quindi mi ha chiamato per: “Il tempo del sogno”. 

DAVIDE PULICI

Tu hai avuto due esperienze. A me Claudio ha dato questa impressione, di essere determinato, concentrato, anche incazzoso. Ma com’è stato sul set.

MARINA LOI

Nel mio caso anche quando ho fatto una scena pietosa, che non riuscivo a dire una frase, tipo la Protagonista di Boris… una parola, “sconfiggere”. La frase era… “Questa è la chiave per sconfiggere questa terribile epidemia”. Ecco, adesso l’ho detta, ma lì, andò come in Boris. In Boris dissero alla protagonista. “Non dire Gioielliere, dì Orafo”, tu dicesti: “debellare”. Una scena tra l’altro bellissima a livello di luci, e lui è stato tranquillissimo. Ho anche stemperato dicendo: “Quando una è cagna è cagna”, per tornare alla famosa “Cagna maledetta” di Boris. Aveva una passione per il cinema anni ‘80 in cui si diceva girare velocemente. La maggior parte dei registi devono essere duri, inquadrati, altrimenti è una caciara. Lui era sicuro di sè, del suo lavoro, ma scherzavamo anche. Era un ragazzo, in realtà. Non era un uomo della sua età. Siamo tutti dei sognatori, ma anche lo guardavi nel viso non vedevi un uomo. Vedevi un ragazzo, ancora con tutto il mondo davanti. 

DAVIDE PULICI

Quello che dice Marina è vero, e traduce quello che ho provato nel nostro incontro nel 2009-2010. Da lui mi aspettavo che arrivasse il classico regista, invece mi sono trovato di fronte a un ragazzo appassionato. No, Antonio?

ANTONIO TENTORI

Penso che noi siamo una banda di persone che collaborano, che intendono il cinema in un modo particolare. E lo stesso Claudio la vedeva così, e si circondava di persone di questo tipo. 

MARINA LOI

Volevo aggiungere che Claudio avrebbe potuto fare una grande carriera se si fosse adattato alle regole. Claudio non poteva sottostare alle regole, o girare su commissione. Lui voleva fare le cose a modo suo, secondo la sua testa. A un certo punto si è fermato, perché probabilmente non si è trovato più.

DAVIDE PULICI

L’ultima volta l’ho visto nel settembre del 2023, in una convention a Bergamo. Avevo capito da quanto mi aveva detto che alla fine degli anni ‘80 c’era stato un qualche screzio che lo aveva partecipato ad allontanarsi. Aveva preferito chiamarsi fuori. Non gli ho mai domandato, perché anche da parte mia c’era un pudore. Quello che avevo avvertito è che la sua passione profonda se l’era portata dietro intatta. Il rapporto con “Killing Birds”, con quell’esperienza… nell’extra a un certo punto Claudio chiude la conversazione dicendo: “Io penso che “Killing Birds” fu comunque un lavoro di collaborazione a quattro mani con Aristide Massaccesi”. E credo sia la conclusione migliore. Giravano voci secondo cui lui non avesse girato nulla. Ma in questo film c’erano delle cose solo sue: inquadrature, le porte che si aprono, gli zombie… Questa opera “a quattro mani” taglia la testa al toro su una serie di dicerie. Che lui provasse un rammarico non ci piove, comunque. Poi c’è un discorso legato a “La casa 4”, che avrebbe dovuto girare. Penso si sia allontanato dal cinema anche per questa ragione. 

MARINA LOI

Lui era uno spirito libero, non lo vedevo molto imbrigliato in un sistema, che comunque stava morendo. Non gli interessava fare fiction, o altro, poteva andare avanti, ma non credo avrebbe fatto cose che non gli piacevano. 

DAVIDE PULICI

Questo documentario, “Il tempo del sogno”, è una sorta di punto della situazione su quel momento così particolare. 

MARINA LOI

Claudio secondo me compromessi non ne accettava mai, anche lui era un pò “anarchico”, in questo. Forse come me, come tutti.

DAVIDE PULICI

Chiederei a Sergio Stivaletti di raggiungerci. 

Sergio com’è stata rivivere la connection con Claudio Lattanzi?

SERGIO STIVALETTI

Lavoravamo entrambi, su progetti diversi, ci conoscevamo di vista. Poi lui venne da me e mi chiese di lavorare insieme a questo documentario. Io ne ero lusingato. Ci sentivamo spesso, era diventata una specie di abitudine. Veniva a Cola Di Rienzo e chiedeva di prenderci un cappuccino: “Il cappuccino con Claudio". Veniva sotto casa mia e discutevamo. Il delirio iniziava con un cappuccino. Delirio su un prossimo film, il mio e il suo. Un pò parlavamo, un pò giocavamo parlando degli ultimi film di Dario Argento.

DAVIDE PULICI

lui amava moltissimo Dario Argento. Stravedeva. A volte intavolavamo delle discussioni. Lui magari lì per lì mi dava ragione solo per chiudere il discorso, ma Dario Argento era davvero un punto di riferimento.

SERGIO STIVALETTI

Quando hai un padre artistico così inevitabilmente parli sempre dei suoi film. Abbiamo parlato di diversi progetti. Ricordo un corto in cui prestai degli oggetti di scena, e mi cominciò a parlare di “Everybloody’s end”. Smaniava per farlo, anche in tempi brevi. Io ricordo che in quel momento anche il mio film era uscito da poco, e gli dissi che lo avrei aiutato portando sul set qualche assistente. Più avanti, per supportarlo, gli diedi dei suggerimenti, perché avrei voluto fare di più, in termini di effetti, situazioni, e proposte. E quindi a quel punto mi ci sono messo fino in fondo. Ce l’abbiamo messa tutta, abbiamo girato nel mio Laboratorio. Gli suggerii questa cosa e facemmo miracoli, in una notte molto intensa, c’erano tantissime scene da girare. Fu una cosa alla fine molto divertente, impegnativa.

DAVIDE PULICI

Senti Stefano, noi stiamo insistendo su questa voglia di fare di Claudio, quasi compulsiva. Ti ci ritrovi?

SERGIO STIVALETTI

Tantissimo. Siamo ossessionati dal prossimo progetto. Con Antonio ho lavorato fin dall’inizio, un amico, un partner. Abbiamo cominciato su “Il golem”, un progetto durato mesi. Finito al Ministero, è rimasto lì.

DAVIDE PULICI

Com’era Claudio sul set?

SERGIO STIVALETTI

Non era un certo tipo da farsi domare. Per carattere mi aiuta il fatto che, parlando di effetti cerco di gestire il mio anche con i registi. E questo poi puntualmente portava non dico a uno scontro, ma a un incontro che la diceva molto sul suo carattere. Accomodante, ma anche esigente. Poi chiaramente i soldi non ci sono mai, ma è anche vero che devi trovare sempre un compromesso. 

INTERVENTO TANIA BIZZARRO

E’ bello raccontarsi. Mi piace aver raccontato tramite questi ospiti, amici, Claudio. Claudio si rivedeva tantissimo in quest’opera, ed è per questo che ho voluto chiamare questa serata “Il sogno di Claudio”. Credo che il suo sogno più bello sia questo. Avere tutti qui a raccontarlo. Io avrei potuto fare questo evento nel weekend, ma ho sentito il dovere di farlo il giorno del suo compleanno. Noi non dovevamo fare questo evento qui, ma sono molto fatalista, e ricordo che lui qui vinse il Vespertilio, collegato al cellulare. Ricordo il giorno dopo mi chiamò, non era sicuro della sua vittoria. Rimase tanto contento, e sorpreso. Mi mancherà. Ogni mattina mi svegliava con Bonjour Tania, bonjour. Mi piacciono le persone umili, vere, dirette. Andiamo avanti con la serata.

DAVIDE PULICI

Chiamiamo sul palco Antonello Geleng, scenografo. 

ANTONELLO GELENG

Io ho conosciuto Claudio tantissimi anni fa, stiamo parlando del 1988. Lui era giovanissimo. Claudio faceva l’Aiuto Regista, ma sapevo che non sarebbe durato molto come Aiuto. Claudio è un autore. Palpitava. Veniva alle proiezioni, e palpitava. Ogni pomeriggio Dario Argento che era il supervisore del film al quale lavoravamo entrambi, e io lavoravo giornalmente alla scenografia. Il film prevedeva addirittura il crollo di una chiesa, infatti ci siamo serviti di un teatro con un’enorme botola. Tutti i giorni Claudio veniva in proiezione, e ci trovavamo insieme. Claudio naturalmente non poteva intervenire più di tanto, ma vedevo le sue reazioni. Non avrebbe potuto fare l’aiuto regista. Già all’epoca aveva in mente di fare le sue cose. Per tanti anni poi non l’ho più visto, dopo “Killing Birds”. Io credo che questa sua frenesia, questo desiderio divampante, di mandare avanti i progetti, concepirne più di una volta, è come se lui avesse voluto tentare di recuperare del tempo perduto. Tutti hanno dei sogni del cassetto, di film se ne fanno sempre di meno. Io mi sono divertito nell’arco della mia carriera a collezionare tutti i copioni di film fatti e non fatti. Di quelli non fatti ho uno scaffale pieno, 2-300. E’ difficilissimo mettere in piedi un film. Lui per un verso o per l’altro non ha più neanche voluto lavorare con Michele, anche nei suoi film successivi. 

DAVIDE PULICI

Io so solo che per le cose che mi ha raccontato Claudio su “La setta”, ci furono dei problemi. Non con Michele Soavi, ma con la produzione. Io so che con Michele c’è sempre stato un rapporto di amicizia e ammirazione incondizionata. Parlare di Michele significava quasi di parlare di un lume superiore. Se non ci fosse stato Claudio non avrei potuto scrivere di Michele. Ti volevo chiedere Antonello, tu hai fatto anche “Il tempo che sogno”, che vedremo, hai spiegato come avessi realizzato un’immagine in scala ridotta dell’l'isola dei morti di böcklin, che appariva in "Dellamorte dellAmore". Claudio ti ha filmato mentre facevi questo schizzo.

ANTONELLO GELENG

Quando abbiamo realizzato “DellMorte DellAmore” eravamo in crisi, non si riusciva a ricordare un posto, un pò come la chiesa. L’idea di ergere un cimitero, scoperchiarlo, non sarebbe stato mai possibile con un vero cimitero. La prima idea era quella di costruire questa isola dei morti in scala uno a uno a Cinecittà, tra schermi, proiezioni e fondali. Ma non abbiamo potuto farlo, per un discorso di costi. Tra l’altro Claudio da una parte come regista avrebbe voluto fare qualunque cosa, dall’altra sapeva che ci avrebbe rimesso dei soldi. Alla fine credo fu Michele a suggerire l’idea della ricostruzione. Michele era anche pittore. Per cui questa isola alla fine l’abbiamo riproposta all’interno di una fontana…

Claudio è un autore a tutti gli effetti. 

DAVIDE PULICI

Stessa cosa dello stesso Michele Soavi.

ANTONELLO GELENG

Raramente dei Registi sono grandi Aiuti Registi, anche perché possono crearsi delle difficoltà con gli stessi registi. E vale per tutti i mestieri che prevedono assistenti, è successo anche a me. 

DAVIDE PULICI

io mi rammarico molto che “Acquarius Visionarius” non abbia visto sufficiente luce. E’ un lavoro interessante, fatto da Claudio con moltissimo amore. Mi auguro che questa situazione si possa sbloccare. Sono questioni burocratiche legati a pezzi di fiction inseriti, mi auguro che si trovi il modo sbloccarli. Volevo chiedere… abbiamo fatto questo “Il tempo del Sogno”. Voi siete stati parte integrante di quel momento, massima estensione di quel momento. Perché il tempo del sogno a un certo punto è svanito, è scemato, ma nella sua forma più eclatante, in quei cinque, sei, sette otto anni… perché la cosa si è spenta.

ANTONELLO GELENG

Il cinema è un’arte troppo giovane per fare una storia precisa. Tantissimi eventi in cento anni, ma secondo me nel cinema succede quello che accade da millenni nella storia dell’arte. Un’andamento ondivago, una comunicazione artistica che come cambiano le generazioni, cambiano anche gli interessi che saranno ciclici. E’ una sinusoide. Questo lo avvertiva Claudio. Lui ha fatto un lavoro molto acuto in “Everybloody’s end”. E’ un lavoro molto ironico. Anche sul finale, con una forma di autoironia che si rifa anche alla forma di autoironia di un certo film del genere horror che è “DellaMorte DellAmore”. In questi generi si arriva anche ai paradossi, ricordo passando al genere western, un film su un pistolero cieco, “Blind man”.Quando un genere arriva a consumarsi fino a rendersi si deve lasciarlo spegnere. Poi dopo tanti anni abbiamo fatto delle avvisaglie, con Tarantino, ad esempio. In Italia c’è stata la tendenza a farlo morire un pò di più. 

SERGIO STIVALETTI

Io ho più domande che risposte sull’argomento. Il cinema horror è rifiorito in mille altri modi e luoghi, mentre qui in Italia si è affievolito. Chi fa il cinema oggi sono persone che come Claudio, non si fermano davanti a nulla. All’estero hanno cominciato a fare film con tanti mezzi, noi ci siamo via via fermati. Io forse sono forse l’ultimo tentativo della factory d’Argento, che poteva essere invece un nuovo inizio. La risposta la lascio nel nulla. Mi chiedo delle cose e spero che rinasca.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com