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Analisi a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Gestire il caos, un'operazione generica e fin troppo macinata per rimandare ad un pensiero concreto. Ma un'espressione che ci rimanda certamente ai giorni nostri, il caos del mondo, l'enfatizzazione di eventi che sono già esistiti ma che, forse, per azione del progresso e del bombing mediatico e social, ci rimbalzano di continuo addosso, generando un'apparente assuefazione esterna, sintomo di un uragano interno pronto ad esplodere.
Lo specchio del mondo siamo noi, con le nostre vite. Sono i ragazzi che non riescono a contenere la violenza e le brutture, ragazzi imboccati con veemenza tutti i giorni dai mali personali, che ingurgitano così velocemente da vomitare esplosioni di collera e rabbia. Emozioni inespresse e difficili da catturare che diventano detonatore di impulsi aggressivi.
E Steve (Cillian Murphy), come gli eroi del nostro tempo, è un uomo che consacra la propria vita a questo: spegnere ogni cinque minuti il detonatore di un ragazzo complesso, straordinariamente complesso, definizione che applica agli alunni del suo riformatorio.
Tratto dal best seller "Shy", Steven di Tim Mielants , scritto da Max Porter, è il viaggio della lunga, interminabile, affannosa e folle giornata in un riformatorio inglese. Una giornata che è la rappresentazione di un classico svolgimento quotidiano, unito alla notizia della chiusura imminente dell'istituto, l'ombra nera che cala sui destini già segnati dei ragazzi che vi prendono parte e degli insegnanti, che cercano di strofinare le superfici macchiate delle loro vite.
Come ogni educatore, Steve ha la propria vita e le proprie fragilità e Mielants non vuole solo mostrarci la difficoltà che hanno persone come lui nel conciliare le due cose: vuole portarci dentro al caos che ne consegue, nella frenesia della gestione di persone emotivamente ingestibili, complicata dagli eventi della vita che non possono smettere di susseguirsi. Soprattutto quando le vite sono di persone diverse, reiette, in un sistema che quando le include lo fa solo per apparenza, senza lasciare evidenti segni di cambiamento nella loro sorte.
Si sceglie spesso di raccontare di adolescenza e di futuro creando personaggi affetti da difficoltà concrete, che aggravano vissuti difficili coi quali chiunque può empatizzare. Ma ad oggi, basterebbe soffermarsi su di una tipologia di persona 0, presa da qualsiasi contesto, per notare come la rabbia e il buco emotivo di espressione ed individualismo stiano diventando il male forse peggiore della nostra epoca. Un' epoca spinta in avanti alla velocità della luce, che trae benefici di ottimizzazione pratica, ma non personale. La giornata di Steve in quel contesto estremo, sembra generare dentro di noi le sensazioni di una nostra giornata: l'acqua alla gola, la corsa contro il tempo, le notizie che sembrano avere il tempismo di uno scherzo del destino, la gestione di sempre più materiale, sempre più richiesta, sempre più pretese dal mondo e dall'esistenza.
Sulle spalle di Steve, l'ansia del futuro di tutti, compreso il suo, in un momento difficile della sua vita in cui è costretto ad affrontare i fantasmi del proprio passato recente. L'uccello del malaugurio che gli fiata sul collo? Una macchina da presa, sempre poggiata sulla sua schiena, come una zavorra. Che tenta di stargli dietro, di catturare le corse e le botte violente dei ragazzi, che sbattono gli uni contro gli altri, chiusi in uno spazio stretto che non basta a contenere le loro foga, il loro spirito infuocato che non capisce cosa accada, che non riesce a metabolizzare la violenza e la chiusura del mondo esterno. Il punto di vista? Un documentario. Una troupe che cerca di raccontare la vita nel riformatorio, frugando indelicatamente tra le stanze e intervistando staff e allievi sulla base di una semplice domanda: tre parole che ti descrivono.
E in tutta quella violenza, in tutti quei caos emotivi - il più forte dei quali è quello di Shy (Jay Lycurgo), un caos silenzioso, l'unico depresso e quasi asintomatico e per questo il più brutale - quando si cerca di arrivare al cuore dei ragazzi e ci si sente lì lì per scovare l'innesco del loro dolore...tutto sfuma, si perde, quasi a regalarci il senso del segreto dell'umanità: l'incomunicabilità. La difficoltà nel comprendere quanto e perché il mondo ci ferisce, l'origine di un atteggiamento, la differenza tra il Me e l'Altro.
Per Steve, però, questa differenza non esiste e - insieme al suo staff - più che salvare le vite dei ragazzi, cerca di salvarne l'empatia e la resilienza, le uniche modalità che conosce per rallentare la folle corsa contro il tempo.
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