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~ LA REDAZIONE DI RC
Quando si parla degli Oscar, è difficile immaginare che tutto sia iniziato con una cena privata di circa 270 persone al Roosevelt Hotel di Hollywood. Il 16 maggio 1929 si svolse la prima cerimonia degli Academy Awards, un evento lontano dallo sfarzo attuale, senza trasmissioni in diretta né suspense sui vincitori, già annunciati tre mesi prima sui giornali. Ma quella serata segnò l'inizio di un riconoscimento che sarebbe diventato il più ambito dell'industria cinematografica. L'Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS) venne fondata nel 1927 dal produttore Louis B. Mayer, capo della MGM, con un obiettivo preciso: controllare le crescenti tensioni tra attori, sceneggiatori e studios, cercando di evitare la sindacalizzazione dell'industria. Il premio Oscar, inizialmente, fu concepito come uno strumento per valorizzare il talento e rafforzare il potere di Hollywood sul panorama cinematografico mondiale.
Il primo vincitore della statuetta come Miglior Film fu Ali (1927), un’epopea sulla Prima Guerra Mondiale, mentre il premio per Miglior Attore andò a Emil Jannings per The Last Command e The Way of All Flesh. L’Academy assegnò anche un premio speciale a Charlie Chaplin per Il circo, dopo aver inizialmente ritirato la sua candidatura per evitare che vincesse troppe categorie. Alla fine degli anni '20, l’industria del cinema era scossa dall’arrivo del sonoro, un cambiamento epocale che costrinse l'Academy a riconsiderare i criteri di valutazione. Il primo film parlato a vincere un Oscar fu The Broadway Melody (1929), segnando l’inizio di una nuova era. Negli anni ‘30 e ‘40, l’Academy consolidò il proprio formato: le categorie principali—Miglior Film, Regia, Attore, Attrice e Sceneggiatura—diventarono lo standard, mentre il numero delle nomination oscillava (in alcuni anni i film candidati a Miglior Film arrivavano a 10). Durante questo periodo, i premi rispecchiavano pienamente il dominio degli Studios: MGM, Warner Bros., Paramount, RKO e 20th Century Fox erano le realtà che decidevano le produzioni e, di conseguenza, anche le nomination.
Tra gli anni ‘30 e ‘50, gli Oscar diventarono il termometro del cinema classico hollywoodiano. Film come Via col vento (1939), Casablanca (1942) e La vita è meravigliosa (1946) definirono il linguaggio cinematografico dell’epoca. L’Academy, tuttavia, non premiava solo il merito artistico: la politica degli Studios influenzava pesantemente le vittorie. I grandi produttori orchestravano campagne per spingere i loro film, influenzando il voto attraverso strategie che sarebbero diventate la norma nei decenni successivi. Parallelamente, la Seconda Guerra Mondiale lasciò il segno sulla cerimonia. Nel 1943, per esempio, l’Oscar a Casablanca non fu solo un riconoscimento alla qualità del film, ma anche un segnale politico a favore dell’intervento americano nel conflitto. Durante gli anni ‘40, gli Oscar iniziarono a riflettere sempre di più il contesto storico, un aspetto che caratterizzerà il premio fino ai giorni nostri.
Alla fine degli anni ‘40, con il crollo del sistema degli Studios e le nuove leggi antitrust che spezzarono il monopolio hollywoodiano, l’Academy iniziò ad adattarsi. Iniziarono a emergere film più personali e registi con una maggiore libertà creativa. È in questo periodo che nascono alcune delle performance attoriali più memorabili: Laurence Olivier in Amleto (1948), Olivia de Havilland in L’ereditiera (1949), e Broderick Crawford in Tutti gli uomini del re (1949). Nel 1950, con l'affermazione della televisione e l’avvicinarsi di una nuova generazione di cineasti, gli Oscar si prepararono a cambiare ancora una volta. L’epoca d’oro del cinema classico lasciava il posto a un periodo più incerto, in cui l’Academy avrebbe dovuto confrontarsi con nuove tendenze e sensibilità artistiche.
Cambiamenti culturali e rivoluzioni nel sistema di voto (1960-2000)
Negli anni '60 e '70, Hollywood attraversò una trasformazione radicale, e gli Oscar non poterono far altro che adattarsi. La fine dell’epoca degli Studios, il cambiamento nei gusti del pubblico e l’influenza dei movimenti culturali e sociali ridefinirono il panorama cinematografico. L’Academy si trovò di fronte a una sfida: premiare il cinema classico o riconoscere le nuove correnti artistiche? Se nei decenni precedenti gli Oscar erano dominati dalle grandi produzioni in costume e dalle epopee hollywoodiane, a partire dagli anni '60 iniziò a emergere un nuovo tipo di cinema, più realistico, critico e spesso più personale. Questa trasformazione portò a scelte sorprendenti, polemiche e a una ridefinizione del valore stesso del premio.
La transizione non fu immediata. All’inizio degli anni ‘60, l’Academy continuava a premiare film in linea con i gusti tradizionali. West Side Story (1961), Lawrence d'Arabia (1962) e My Fair Lady (1964) incarnavano ancora la grandeur hollywoodiana, ma qualcosa iniziava a cambiare. Nel 1967 arrivò la svolta. La cinquina dei candidati a Miglior Film era divisa tra il cinema classico e il nuovo cinema ribelle: Il laureato, Gangster Story e La calda notte dell’ispettore Tibbs sfidavano l’approccio più tradizionale di Indovina chi viene a cena? e Il favoloso dottor Dolittle. Vinse La calda notte dell’ispettore Tibbs, un segnale del cambiamento in atto: un film con un protagonista afroamericano (Sidney Poitier) e una tematica razziale forte, in un’America segnata dalla lotta per i diritti civili. Negli anni seguenti, la New Hollywood si impose con film come Un uomo da marciapiede (1969), primo Miglior Film vietato ai minori, e Il padrino (1972), che segnò l’affermazione dei nuovi autori.
Gli anni ‘70 furono il decennio della New Hollywood, una generazione di registi che rompeva con il passato e portava uno stile più crudo e realistico. L'Academy, pur con qualche resistenza, riconobbe questa rivoluzione.
Il padrino (1972) e Il padrino – Parte II (1974) non solo vinsero l'Oscar, ma segnarono la consacrazione del cinema d’autore all’interno dell’industria.
Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) dimostrò che il cinema
indipendente poteva dominare gli Oscar.
Rocky (1976) vinse contro il favorito Taxi Driver, mostrando come l'Academy tendesse ancora a preferire storie di riscatto e ottimismo rispetto ai film più cupi e critici.
Questo decennio segnò anche la nascita di una nuova consapevolezza politica agli Oscar. Il discorso di Marlon Brando nel 1973, che rifiutò il premio per protesta contro la rappresentazione dei nativi americani a Hollywood, e il riconoscimento a Tutti gli uomini del presidente (1976), che raccontava il Watergate, evidenziarono come il premio fosse sempre più legato al contesto sociale e politico.
Dopo l’ondata rivoluzionaria degli anni ‘70, gli anni ‘80 segnarono un ritorno a film più tradizionali e spettacolari. L’Academy sembrò allontanarsi dalle opere più sperimentali per premiare successi commerciali con una forte componente emotiva:
Gandhi (1982) e Amadeus (1984) riportarono in auge il biopic storico.
Platoon (1986) fu uno dei pochi film apertamente critici sulla guerra del Vietnam a vincere.
Rain Man (1988) e A spasso con Daisy (1989) confermarono la tendenza verso film con grandi interpretazioni attoriali e temi rassicuranti.
Se negli anni ‘70 i registi erano al centro dell’attenzione, negli anni ‘80 gli attori e le grandi storie umane tornarono a dominare. Tuttavia, il cambiamento era dietro l’angolo.
Gli anni ‘90 segnarono l’inizio di un nuovo equilibrio tra il cinema mainstream e quello indipendente. L’Academy, spinta anche dall’ascesa di produttori come Harvey Weinstein, iniziò a premiare film con un’identità più autoriale:
Il silenzio degli innocenti (1991) dimostrò che un thriller psicologico poteva vincere il premio più importante.
Schindler’s List (1993) riportò Steven Spielberg agli Oscar con un film profondamente personale.
Forrest Gump (1994) batté Pulp Fiction, segno che l’Academy non era ancora pronta a premiare film eccessivamente sperimentali.
Ma il vero cambiamento arrivò con Shakespeare in Love (1998). Questo film segnò l’inizio dell’era delle campagne aggressive per la vittoria dell’Oscar. Harvey Weinstein orchestrò una strategia senza precedenti, puntando su proiezioni private, interviste strategiche e pressioni sui membri dell’Academy. Vinse contro Salvate il soldato Ryan, provocando una delle polemiche più accese nella storia degli Oscar.
Alla fine degli anni ‘90, gli Oscar si trovavano a un bivio. Da un lato, il premio continuava a essere dominato da grandi produzioni (come Titanic, vincitore di 11 statuette nel 1997), dall’altro iniziava a riconoscere il valore del cinema indipendente (American Beauty, 1999).
All’inizio del nuovo millennio, gli Oscar si trovarono di fronte a un’industria cinematografica in continua evoluzione. Il pubblico si frammentava, le piattaforme streaming iniziavano a guadagnare terreno e il cinema indipendente acquistava sempre più spazio accanto alle grandi produzioni. In questo contesto, l’Academy cercò di rimanere rilevante, affrontando temi come la diversità, il ruolo della distribuzione digitale e l’apertura al cinema internazionale.
Se gli anni ‘90 avevano preparato il terreno per l’ascesa del cinema indipendente, gli anni 2000 confermarono questa tendenza. I primi anni del decennio videro vincere film che univano qualità artistica e grande successo commerciale:
Il gladiatore (2000) riportò in auge il kolossal storico, vincendo come Miglior Film.
Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re (2003) fu il primo fantasy a trionfare agli Oscar, vincendo 11 statuette.
Million Dollar Baby (2004) segnò il ritorno di Clint Eastwood, premiando un film intimista con una forte componente drammatica.
L’Academy premiava sempre più spesso anche produzioni più piccole, come Crash (2005) e Non è un paese per vecchi (2007), segnando una chiara apertura a un cinema meno spettacolare e più autoriale.
Nel 2009, per contrastare il calo di audience televisiva e dare maggiore visibilità a film popolari, l’Academy aumentò il numero dei candidati a Miglior Film da cinque a dieci. Questa decisione fu una risposta alle critiche per l’assenza di Il cavaliere oscuro (2008) tra i nominati dell’anno precedente, un film che aveva riscosso enorme successo di pubblico e critica.
Il decennio successivo fu segnato da tre grandi cambiamenti: la crescente influenza delle piattaforme streaming, l’emergere di movimenti per la diversità e il riconoscimento del cinema internazionale. Con l’ascesa di Netflix, Amazon e Apple TV+, il sistema tradizionale di distribuzione venne scosso dalle fondamenta. Per anni, l’Academy resistette nel premiare film prodotti da piattaforme digitali, ritenendoli meno “cinematografici” rispetto a quelli distribuiti nelle sale. Nel 2019 questa resistenza iniziò a crollare con la vittoria di Roma di Alfonso Cuarón come Miglior Film Straniero e Miglior Regia, nonostante fosse un film distribuito principalmente su Netflix. Due anni dopo, Nomadland (2021), distribuito da Hulu, vinse come Miglior Film, confermando che lo streaming era ormai una realtà ineludibile anche per gli Oscar.
Nel 2015 e nel 2016, gli Oscar furono travolti da una delle più grandi polemiche della loro storia. Per due anni consecutivi, tutte le candidature nelle categorie attoriali furono assegnate esclusivamente ad attori bianchi, scatenando il movimento #OscarsSoWhite. La protesta spinse l’Academy a rivedere i criteri di selezione dei membri votanti e ad aumentare la diversità all’interno dell’organizzazione.
Negli anni successivi, l’impatto di questa trasformazione divenne evidente:
Moonlight (2016), con un cast interamente afroamericano e un budget ridotto, vinse il premio Miglior Film, battendo La La Land in un clamoroso errore di annuncio.
Black Panther (2018) divenne il primo cinecomic a ottenere una nomination come Miglior Film.
Nel 2021, Chloé Zhao vinse il premio come Miglior Regista per Nomadland, diventando la seconda donna e la prima regista asiatica a ottenere il riconoscimento.
L’Academy introdusse anche nuove linee guida per la categoria Miglior Film, stabilendo che dal 2024 ogni candidato dovrà soddisfare criteri minimi di rappresentanza in termini di diversità etnica, di genere e di inclusione.
Per decenni, l’Academy aveva relegato il cinema internazionale alla categoria Miglior Film Straniero (oggi Miglior Film Internazionale). Negli anni 2010 questa distinzione iniziò a sfumare:
Amour (2012) di Michael Haneke ricevette una nomination come Miglior Film, un evento raro per un film non in lingua inglese.
Roma (2018) di Alfonso Cuarón fu candidato in entrambe le categorie, aprendo la strada a un possibile trionfo di un film straniero nella categoria principale.
Nel 2020, Parasite di Bong Joon-ho fece la storia, diventando il primo film non in lingua inglese a vincere il premio Miglior Film.
Questa vittoria segnò una svolta culturale per l’Academy, che da quel momento in poi si dimostrò più aperta alle produzioni globali.
Negli anni più recenti, gli Oscar hanno dovuto affrontare una crisi d’identità. Il calo di ascolti televisivi, il declino delle sale cinematografiche dovuto alla pandemia e il crescente divario tra i gusti del pubblico e le scelte dell’Academy hanno reso il premio meno influente rispetto al passato.
Se negli anni ‘90 la cerimonia degli Oscar attirava oltre 40 milioni di spettatori, nel 2021 l’audience è scesa a soli 10 milioni.
L’Academy ha cercato di contrastare questa tendenza con diverse strategie: Introducendo la categoria Miglior Film Popolare (poi cancellata a causa delle polemiche); Cercando di ridurre la durata della cerimonia, eliminando alcune premiazioni in diretta; tentando di avvicinarsi al pubblico con premi votati dai fan (come nel caso del Fan Favorite Award introdotto nel 2022). Negli ultimi anni, l’Academy ha cercato di bilanciare il riconoscimento ai film più autoriali con l’inclusione di blockbuster amati dal pubblico. Nel 2023, Top Gun: Maverick e Avatar: La via dell’acqua furono candidati a Miglior Film, segnando un’apertura ai grandi successi commerciali. Il premio continuò a favorire opere più intime e sperimentali, come Everything Everywhere All at Once (2022), che vinse sette Oscar.
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