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~ LA REDAZIONE DI RC
Di Stranger Things, il filo più inquieto e sottopelle è proprio quello che lega Will Byers a Vecna. È un rapporto che non nasce come un vero incontro, ma come una frattura: un’invasione invisibile, un’impronta che resta dentro il personaggio e che la serie lavora a piccoli strappi, stagione dopo stagione. Per raccontarlo serve guardare alla storia non come a una semplice lotta tra bene e male, ma come a un legame traumatico, quasi simbiotico, che si costruisce nel tempo.

Fin dall’inizio, nella prima stagione, Will non “conosce” Vecna. Non ne vede il volto, non ne sente il nome, e noi spettatori non sappiamo ancora che dietro l’Ombra, dietro i Demogorgoni, dietro il Sottosopra intero c’è una volontà unica. Ma proprio questo è il punto: Will è il primo vero umano che entra in contatto diretto con la coscienza dell’Ombra, venendone inglobato. Quella prigionia è un imprinting. Proprio perché è un bambino solo, fragile, spaventato, il Sottosopra lo invade come un ambiente totale, lo respira, lo plasma. Will sopravvive, ma non torna “integro”. C’è una parte di lui che resta lì sotto. La serie ce lo suggerisce nel modo in cui Will osserva gli spazi comuni, come se avesse un doppio sguardo: quello del mondo reale e quello di un ecosistema che lo ha riconosciuto.
Nella seconda stagione questa impronta diventa possesso. Qui “l’Ombra” si manifesta apertamente attraverso Will, e la scrittura lavora molto sul ritmo dell’oppressione: la febbre, le visioni, i blackout, quei momenti in cui Will sembra ricordare qualcosa che non ha mai vissuto direttamente, come se la memoria di Vecna filtrasse dentro la sua. Non è un antagonista che lo attacca: è un antagonista che lo abita. Will non è scelto perché forte, o predestinato: Vecna lo individua perché vulnerabile, emotivo, permeabile. È un terreno fertile. E quello che accade è qualcosa che sfiora l’horror psicologico: Will diventa una finestra. Parla con una voce che non è la sua, conosce le mosse dell’Ombra come se fossero pensieri interiori, e tutto questo culmina nella scena dell’esorcismo simbolico nel capanno. Qui la regia sottolinea un’idea centrale: per strappare via Vecna da Will serve amore concreto, fisico, quotidiano, non magia. Serve la famiglia. Eppure, anche quando l’Ombra “esce”, non esce davvero.
La terza stagione sembra ridurre la connessione, ma in realtà la trasforma. Will non è più posseduto, ma sente ancora. È il primo ad avvertire il ritorno del Mind Flayer, e il modo in cui si tocca la nuca ha quasi il carattere di una memoria muscolare, come se la presenza di Vecna fosse diventata un riflesso condizionato. Will funziona come una sorta di sismografo umano: sente i movimenti sotterranei del nemico prima che questi diventino visibili. La cosa interessante, a livello attoriale e di scrittura, è che Will vive questa sensibilità come un peso, non come un dono. Non c’è glorificazione, c’è disagio: mentre gli altri crescono, vivono, si innamorano, Will sente che una parte di lui è rimasta prigioniera nel Sottosopra. Vecna qui è presenza fantasma, ma proprio per questo più invadente: è il ritorno del trauma in forma di eco.
Nella quarta stagione, quando finalmente scopriamo che l’Ombra e Vecna condividono un’unica matrice, il rapporto con Will assume un nuovo significato. Niente di quello che Will ha vissuto era casuale. Se l’Ombra ha scelto lui, lo ha fatto perché la sua mente era adatta — e questo viene ribadito anche nella scena finale, quando Will percepisce Vecna senza che Vecna sia “presente”. È qualcosa di più della sensibilità al Sottosopra: è un legame reciproco. Will sente Vecna, e Vecna sente Will. È come se avessero condiviso per troppo tempo lo stesso spazio mentale per potersi davvero separare. L’ultimo sguardo di Will, quando torna a Hawkins e percepisce il respiro del nemico, è un ritorno al punto di partenza: la storia non è mai finita. La cicatrice non è mai guarita.

La quinta stagione di Stranger Things (così come è raccontata nei primi quattro episodi di questa trama) rimette Will Byers esattamente dove tutto è iniziato: al centro del Sottosopra, ma soprattutto al centro del conflitto tra potere e vulnerabilità. Solo che questa volta qualcosa è radicalmente diverso. Will non è più soltanto il bambino rapito, l’ostaggio, l’anello debole della catena da salvare; diventa una figura ambigua, complessa, divisa tra il ruolo di vittima e quello di possibile contro-Vecna. Il suo legame con il mostro si riattiva in modo brutale – attraverso visioni, collassi fisici, condivisione di sguardo con i Demogorgoni – ma la scrittura non sfrutta questa connessione solo come espediente horror; la usa per parlare, in modo neanche troppo implicito, di identità, di segreti, di tutto ciò che rimane incastrato dentro di noi finché non trova una forma, una voce, una relazione che lo faccia uscire. È in questo spazio che entrano in gioco Vecna, Robin, l’omosessualità di Will e la sensazione costante di vivere in una prigione, mentale e affettiva, che ha lo stesso odore del Sottosopra. La stagione ci ricorda fin da subito che il legame tra Will e Vecna non è un “ricordo” delle prime stagioni, ma un filo ancora vivo, quasi organico. Non si tratta più soltanto di un bruciore alla nuca o di una sensazione vaga di “presenza”; Will entra letteralmente dentro il punto di vista delle creature del Sottosopra. Quando Hopper viene attaccato nel convoglio e il Demogorgone semina il caos, Will perde i sensi, il mondo gli gira vorticosamente e all’improvviso si ritrova a vedere la scena “con gli occhi del mostro”. Non è una semplice visione: è un’esperienza in prima persona, come se la sua coscienza venisse momentaneamente spostata dentro il corpo del Demogorgone. La connessione con Vecna non è mai stata recisa davvero. Se prima Will era un terminale passivo della mente a sciame, un ricevitore di dolore, adesso diventa una sorta di “telecamera condivisa”, un punto di intersezione tra due dimensioni. Questo rende la sua presenza narrativa diversa da quella delle prime stagioni: ora la sua debolezza non è solo un problema, è anche l’unico strumento che il gruppo ha per leggere in anticipo i movimenti del nemico. Ma il prezzo, per Will, è carissimo: sentire Vecna equivale a lasciare di nuovo una porta aperta dentro di sé.
Il fascino oscuro di Vecna: perché Will è “il primo che si è spezzato”
La vera chiave del rapporto tra Will e Vecna sta nelle parole dello stesso villain nell’episodio 4. Quando Vecna finalmente si manifesta alla base e si avvicina a Will, lo solleva con i suoi poteri e gli dice che ha scelto i bambini perché sono deboli, nel corpo e nella mente, strumenti perfetti da modellare, e gli ricorda di essere stato il primo a rompersi così facilmente. In questo momento il loro rapporto si svela per quello che è sempre stato: non solo un legame casuale, ma una sorta di esperimento a lungo termine, iniziato anni prima con il rapimento di Will e ora arrivato al punto di maturazione. Will per Vecna è il prototipo, il “caso zero”, il bambino su cui ha testato i confini della mente umana, capendo quanto si potesse entrare, piegare, frammentare senza distruggere il contenitore. L’affermazione di Vecna è crudele ma anche profondamente psicologica: non lo chiama solo vittima, lo definisce adatto. Questo spiega perché Will continua a essere un bersaglio speciale, perché le sue visioni sono più intense, perché il collegamento è bidirezionale. Vecna vede attraverso Will, ma Will, lentamente, sta imparando a vedere attraverso Vecna. Questa ambiguità è potentissima dal punto di vista attoriale: ogni volta che Will entra in trance non è chiaro se stiamo guardando una possessione, una spia o l’inizio di una ribellione interna al sistema stesso della mente a sciame. E, a livello tematico, apre una domanda enorme: quanto di Will è ancora “solo” Will, e quanto ormai è strutturato su un legame con il nemico che lo ha definito fin dall’infanzia?
Dentro questa dinamica soprannaturale si innesta con estrema naturalezza un tema che la serie ha sempre accarezzato e che qui prende corpo in modo più esplicito: l’omosessualità di Will. La scena in ospedale, in cui Will vede Robin raggiungere Vickie e poi le spia mentre si baciano, è il confronto diretto tra due stati dell’esistenza: da una parte chi può vivere apertamente il proprio orientamento, dall’altra chi è costretto a rimanere nascosto, silenzioso, intrappolato. Will non pronuncia una parola, ma il suo corpo dice tutto: osserva, si chiude, scappa, viene “visto” mentre si nasconde. È esattamente la logica del Sottosopra: ciò che è vero rimane sepolto, ciò che è mostruoso emerge. È difficilissimo non leggere Vecna come una metafora della voce interiore omofoba, di quel giudizio feroce che ti sussurra che sei fragile, sbagliato, inadatto. Vecna lo definisce “debole” e allo stesso tempo lo desidera come strumento, lo vuole spezzato perché così è più facile usarlo. È quello che succede spesso ai ragazzi queer: il loro punto di vulnerabilità diventa anche la via con cui il mondo li controlla, li ricatta, li tiene in gabbia. Il legame con Vecna allora non è solo un vincolo soprannaturale; è la traduzione fantasy di un conflitto identitario: più Will prova a essere quello che gli altri si aspettano, più il nemico trova spazio dentro di lui. Solo quando inizia a riconoscere il proprio desiderio, a guardarlo senza giudicarlo, qualcosa cambia: la connessione con Vecna smette di essere solo un’arma contro di lui e inizia a diventare, paradossalmente, una possibile leva di potere.
Robin come guida inconsapevole: la persona queer che normalizza il caos dentro Will
In tutto questo percorso, Robin è il personaggio che più di tutti, e quasi senza rendersene conto, offre a Will una via di uscita emotiva. Il dialogo tra i due nei cunicoli sotto Hawkins è uno dei momenti più importanti per capire dove sta andando il suo arco narrativo. Robin gli racconta di come abbia cercato negli altri le risposte sulla propria identità, di come abbia sperato che fossero gli sguardi esterni a dirle chi è, per poi rendersi conto che le risposte che cercava erano già dentro. È una confessione semplice, diretta, priva di retorica, ma per Will è un terremoto. Nessuno, fino a quel momento, aveva messo in parole così chiare il processo che lui sta vivendo in maniera confusa. Robin non sa tutto di lui, ma sa abbastanza da intuire che è intrappolato in qualcosa che non osa nominare. E qui c’è un dettaglio fondamentale: Robin non lo pressa. Non gli chiede di confessarsi, non lo spinge a “dirlo”, non vuole un coming out forzato; gli offre un modello. Gli fa vedere, incarnandolo, che essere queer non significa essere difettosi, ma semplicemente diversi da come la maggioranza si aspetta. Per un ragazzo che si sente “spezzato”, sentirsi dire che quella frattura può in realtà essere una porta è un cambio di prospettiva enorme. In più, Robin è legata a Vickie, è dentro un amore che ha paura ma esiste, è reale. Will guarda quella realtà e capisce due cose: da un lato quanto desidera qualcosa di simile (e quindi quanto è lontano dal suo stato attuale), dall’altro che non è solo, che non è un’anomalia. Senza saperlo, Robin diventa la sua prima alleata interna: non una mentore dichiarata, ma una presenza che rende possibile una domanda fondamentale: “E se quello che sono non fosse un errore, ma solo la mia verità?”. E quella domanda, in una storia come la sua, è il primo passo verso la libertà.
Il rovesciamento: quando Will diventa il contro-Vecna e trasforma la vulnerabilità in potere
Il vero punto di svolta arriva nel finale del quarto episodio, quando il rapporto tra Will e Vecna smette di essere a senso unico. Mentre i Demogorgoni attaccano la base, il Sottosopra invade Hawkins e tutto sembra perduto, Will viene travolto da un dolore lancinante nel momento esatto in cui uno dei Demogorgoni viene dato alle fiamme. È come se condividesse il loro sistema nervoso; ogni colpo ai mostri è un colpo anche a lui. Poi succede qualcosa di nuovo: i Demogorgoni ovunque – davanti a Lucas, a Robin, a Mike – stanno per uccidere i ragazzi, il mondo è a un passo dal crollo, Vecna ha appena ribadito che quei bambini gli appartengono e che alcune menti non sono del mondo umano ma del suo. Qui la regia e la scrittura fanno una scelta precisa: invece di far arrivare un salvataggio esterno, la risposta parte da dentro Will. Il ragazzo si aggrappa ai suoi ricordi, rivede il fortino costruito con gli amici, i momenti con la madre, le scene di infanzia che definiscono la sua idea di casa e di famiglia. Non evoca il potere con la rabbia, ma con l’amore. E in quell’istante, i suoi occhi diventano bianchi, trasparenti, come quelli di Vecna, ma il gesto che compie è esattamente l’opposto: congela i Demogorgoni, li controlla, e poi li disintegra, proprio come faceva Vecna con le sue vittime. È un ribaltamento totale: lo stesso tipo di potere, motivazioni opposte. Dove Vecna spezza per dominare, Will spezza per proteggere. La scena sembra quasi suggerire che il trauma non scompare, ma può essere riscritto: è come se Will stesse prendendo la stessa energia che lo ha tenuto prigioniero per anni e la stesse reindirizzando, facendola diventare un’arma al servizio dei suoi affetti. Dal punto di vista simbolico, è il momento in cui la sua “debolezza” – l’essere troppo sensibile, troppo esposto, troppo fragile – diventa il suo superpotere. Il bambino che si era spezzato per primo è anche il primo a dimostrare che si può usare quella frattura per far entrare luce, non solo tenebra.
Dopo questi primi quattro episodi, il rapporto tra Will e Vecna sembra meno una maledizione e più un campo di battaglia interiore. Vecna lo considera ancora una sua creatura, una mente che gli appartiene, il miglior strumento per ricreare il mondo a sua immagine. Will, però, ha qualcosa che Vecna non avrà mai: legami reali, ricordi che non sono solo dolore, ma anche gioco, amicizia, amore. Ed è proprio questa doppia appartenenza che rende il suo arco narrativo così interessante: da un lato è il “doppio” di Vecna, il suo specchio umano; dall’altro è la prova vivente che nessun mostro può possedere completamente chi ha qualcuno pronto a tirarlo fuori dal buio. In questa stagione, Will non è ancora pienamente libero: il suo orientamento sessuale è ancora un segreto non dichiarato, la connessione con Vecna è ancora un vincolo che può farlo crollare in qualsiasi momento, la sensazione di essere “sbagliato” non è sparita. Ma, per la prima volta, le sue ferite non sono soltanto ferite: sono porte. Robin gli mostra che si può essere queer e interi, Vecna gli mostra quanto è pericoloso lasciare che gli altri definiscano la tua debolezza. Lui, nel mezzo, comincia a capire che il vero atto di forza non è diventare invincibile, ma smettere di vergognarsi di ciò che è. Se la battaglia finale sarà davvero tra Vecna e Will, non sarà solo uno scontro di poteri soprannaturali; sarà una resa dei conti tra due modi opposti di stare al mondo: controllare gli altri attraverso la paura o accettare se stessi fino al punto di trasformare il trauma in un gesto di protezione. E, per come lo abbiamo visto reagire finora, Will sembra pronto, per la prima volta, non solo a sopravvivere alla stagione, ma a riscrivere il significato di tutto quello che gli è successo fin dall’inizio.

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