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~ LA REDAZIONE DI RC
Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.
Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.
Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.
Il film di oggi è...
Nel 1914, mentre l’Europa stava per essere travolta dalla Prima Guerra Mondiale, l’Italia era al centro di un altro tipo di rivoluzione: quella cinematografica. Con Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato (anche se con paternità discussa) da Gabriele D’Annunzio, nasce il primo grande kolossal della storia del cinema europeo. Non solo per durata, mezzi impiegati e ambientazione spettacolare, ma per l’ambizione di fare del cinema un’arte totale, capace di mettere insieme storia, azione, ideologia e meraviglia visiva.
Più di due ore di film muto, ricostruzioni monumentali, carrelli in movimento (un’innovazione tecnica fondamentale), costumi fastosi, migliaia di comparse, una trama epica e stratificata: Cabiria è il simbolo di un momento in cui il cinema italiano guardava al mondo con una consapevolezza artistica nuova, ponendo le basi per una grammatica visiva che avrebbe influenzato registi come Griffith, Eisenstein, e – più tardi – Cecil B. DeMille.
Ambientato durante la Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.), il film intreccia eventi storici e finzione epica. Al centro c’è Cabiria, una bambina romana appartenente a una famiglia aristocratica, che viene separata dai genitori durante l’eruzione dell’Etna. Venduta come schiava, finisce a Cartagine, dove è destinata a essere sacrificata al dio Moloch.
A salvarla è Maciste, un possente servo nero fedele al patrizio romano Fulvio Axilla. I due intraprendono un lungo viaggio pieno di pericoli e traversie per riportare Cabiria alla libertà. Sullo sfondo, la narrazione si intreccia con figure storiche reali come Annibale e Scipione l’Africano, in una rievocazione che mescola verità storica e invenzione con tono epico.
Il film si chiude con la vittoria di Roma e la salvezza di Cabiria, che può finalmente tornare libera e ritrovare le proprie radici. Ma ciò che resta impresso, più ancora della storia, è la costruzione visiva e la tensione drammatica delle singole sequenze.
Per comprendere Cabiria, bisogna tenere a mente che nel 1914 il cinema è ancora un’arte neonata: gli Stati Uniti stanno appena sviluppando il racconto per immagini, i film durano in media 15-20 minuti, le inquadrature sono statiche e frontali.
Ecco allora che Giovanni Pastrone – regista, produttore, inventore visivo – realizza qualcosa di mai visto: un film di due ore e mezza, diviso in atti come una tragedia classica, con scenografie colossali, movimenti di macchina arditi, uso consapevole della luce e del montaggio. Pastrone introduce il carrello, la macchina da presa che si muove all’interno della scena, regalando profondità e dinamismo. Questa tecnica, all’epoca chiamata "carrello Cabiria", influenzerà profondamente anche D.W. Griffith, che vedrà il film e ne trarrà ispirazione per Intolerance.
L’ambientazione è sontuosa: palazzi cartaginesi, templi, statue, carri, eserciti. La scena del sacrificio a Moloch – con il gigantesco idolo in bronzo e i bambini che vi vengono gettati dentro – è uno dei momenti più iconici del cinema muto. Non solo per la spettacolarità, ma per l’intensità visiva, la composizione scenica, il senso del pathos collettivo.
Temi: impero, eroismo, destino
Sotto la superficie della trama epico-avventurosa, Cabiria porta con sé una forte impronta ideologica e culturale, che riflette l’Italia del tempo. Lo sceneggiatore ufficiale, Gabriele D’Annunzio, interviene più che altro sui nomi dei personaggi, le didascalie, l’impianto linguistico, trasformando il testo in un esperimento di prosa poetica densa e arcaizzante.
Il film diventa così un’epopea dell’italianità antica, una celebrazione della forza romana, del coraggio, della vittoria sulla barbarie. Cabiria non è solo una bambina in pericolo: è l’innocenza dell’Italia da salvare, l’anima dell’Impero da proteggere.
Maciste, l’eroe muscolare, anticipa tutti gli eroi del peplum (i futuri Ercole, Sansone, Golia…) ma ha anche una valenza simbolica più profonda: è il braccio della giustizia, l’uomo d’azione fedele al padrone ma dotato di moralità autonoma. Fulvio Axilla è invece l’intellettuale in lotta, un alter ego romano del cavaliere senza macchia.
Il film, pur non dichiarando apertamente un messaggio politico, riflette l’atmosfera nazionalista e proto-imperialista dell’Italia prebellica. L’epica storica serve anche a legittimare la grandezza culturale della nazione.
Una delle grandi sorprese di Cabiria fu il successo del personaggio di Maciste, interpretato da Bartolomeo Pagano, scaricatore di porto genovese scoperto da Pastrone e trasformato in star internazionale.
Maciste, il gigante buono, divenne il primo personaggio ricorrente del cinema italiano: il suo successo fu tale che negli anni ’10 e ’20 vennero realizzati oltre 25 film con lui protagonista, dando origine al genere del "peplum eroico", poi rilanciato negli anni '50-'60.
Il fascino di Maciste sta nella sua fisicità, certo, ma anche nel suo ruolo ambiguo: è un servo, ma domina la scena; è un outsider, ma è il vero motore dell’azione. Il fatto che sia un personaggio senza tempo (nei film successivi sarà ambientato in epoche diverse, da quella romana all'era moderna) lo rende un archetipo popolare, una sorta di Superman ante litteram.
Cabiria e il linguaggio del cinema muto
Dal punto di vista formale, Cabiria è un’opera di passaggio tra il cinema delle origini e il cinema narrativo moderno. Le didascalie, scritte da D’Annunzio, sono ampollose, letterarie, dense di arcaismi. Non aiutano la narrazione, ma la elevano a un livello “alto”, quasi teatrale. Pastrone, però, controbilancia con una regia dinamica e visiva, che punta sulla potenza dell’immagine più che sulla parola.
La recitazione è ancora teatrale, fatta di gesti ampi e pose statuarie, ma l’uso della macchina da presa in movimento, i cambi di angolazione, il montaggio alternato nelle scene d’azione danno al film un ritmo nuovo. C’è un senso dello spazio, della profondità, del tempo, che anticipa tecniche che saranno codificate solo anni dopo.
La colonna sonora, all’epoca, veniva eseguita dal vivo nei cinema. Le versioni restaurate del film utilizzano oggi musiche originali composte per l’occasione o accompagnamenti orchestrali che cercano di restituire l’atmosfera epica del tempo.
Cabiria fu un enorme successo internazionale. Distribuito in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, fu il primo film italiano a ottenere una diffusione massiccia oltreoceano. Fu lodato da critici e registi, e negli Stati Uniti il pubblico fu impressionato dalla sua scala e ambizione. D.W. Griffith lo vide, e ne fu fortemente ispirato per la realizzazione di Intolerance (1916), tanto che molti studiosi riconoscono a Cabiria la paternità simbolica del cinema epico americano.
In Italia, il film sancì il primato culturale del cinema torinese, legato alla casa di produzione Itala Film, e fu uno dei simboli della fiducia nella capacità del cinema di essere veicolo artistico nazionale. Tuttavia, pochi anni dopo, la crisi economica e l’arrivo del sonoro porteranno a un ridimensionamento del ruolo dell’Italia nella scena cinematografica mondiale.
Conclusione: il sogno imperiale del cinema delle origini
Cabiria non è solo un kolossal: è una dichiarazione di poetica, una prova di quanto, già nel 1914, il cinema potesse essere narrazione, spettacolo, ideologia, tecnica, sogno collettivo. È un film che guarda al passato dell’antichità per raccontare il presente di una nazione in cerca di grandezza, e lo fa con mezzi straordinari per l’epoca, costruendo un linguaggio visivo nuovo, solido, fluido.
Come molte opere fondative, Cabiria è al tempo stesso arcaico e moderno, retorico e visionario, enfatico e potentemente cinematografico. A distanza di oltre un secolo, è ancora un’esperienza da vedere, da studiare, da assaporare, non solo per capire la storia del cinema, ma per comprendere l’ambizione iniziale del cinema stesso: essere qualcosa di più della realtà, un racconto più grande del tempo e dello spazio.
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