\"Com’era verde la mia valle\" (1941) – La memoria come rifugio, la valle come mondo perduto

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.

Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.

Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.

Il film di oggi è...

Com'era verde la mia valle (1941)

C’è un momento, nel cinema di ogni grande regista, in cui la narrazione si fa elegia. E con Com’era verde la mia valle (How Green Was My Valley, 1941), John Ford firma una delle sue opere più malinconiche e intense, un film che sembra parlare di un piccolo villaggio del Galles e invece tocca il cuore stesso del tempo che passa, della perdita, dell’infanzia, della memoria.

Lontano dagli spazi aperti del western – anche se lo stile resta inconfondibilmente fordiano – questo film racconta la fine di un mondo, quello delle miniere e delle famiglie operaie, attraverso lo sguardo di un bambino diventato uomo, e poi narratore. È un film che parla di nostalgia, ma anche di giustizia sociale, di emigrazione, di conflitto generazionale. Ma più di tutto, è un canto funebre a una comunità che si sgretola, raccontata con la delicatezza di chi sa che nulla dura per sempre, ma che vale comunque la pena ricordare.

La trama: una valle, una famiglia, un addio

Il film è costruito come un lungo flashback. All’inizio, un uomo ormai anziano, Huw Morgan, prepara le sue cose per lasciare la valle dove è nato. E da lì, la sua voce ci accompagna nel viaggio a ritroso: l’infanzia in un villaggio gallese di minatori, la vita della sua numerosa famiglia, le gioie e le tragedie che ne hanno segnato il destino. La famiglia Morgan è guidata da Gwilym, padre saggio e rispettato, e da sua moglie Beth, figura materna calorosa e forte. I figli – numerosi, ognuno con una propria traiettoria – rappresentano le diverse facce di un mondo in trasformazione. C'è chi rimane legato alla miniera, chi si ribella e parte, chi cerca giustizia sindacale, chi si rifugia nella religione.

Huw osserva tutto da uno sguardo infantile ma già profondo: le dispute tra i fratelli, l’ingiustizia del lavoro, la crudeltà della povertà, le contraddizioni della morale religiosa. Ma anche l’amore impossibile tra sua sorella Angharad e il giovane pastore protestante Mr. Gruffydd, uomo colto e pieno di dubbi, che rappresenta l’unico sguardo “esterno” sul villaggio. Col tempo, il lavoro nella miniera diventa più duro, gli incidenti aumentano, la disoccupazione morde, e la valle perde lentamente la sua "bellezza" originaria, mentre la famiglia Morgan si disgrega. Il padre muore in un crollo della miniera. I fratelli emigrano. Huw resta, fino all’addio definitivo, segnato da quella frase che chiude il film: "Com’era verde la mia valle, allora."

Temi: la fine dell’innocenza, la dissoluzione della comunità, il valore della memoria

Al centro del film c’è la perdita. Non solo la morte dei familiari, ma la perdita di un mondo: quello del lavoro come identità, della comunità come rifugio, della valle come luogo immutabile. Huw, da adulto, guarda al passato non per rimpiangerlo in modo sterile, ma per comprenderne il valore, anche attraverso la sofferenza. È anche un film sulla frammentazione della famiglia, tema ricorrente nel cinema di John Ford. I fratelli Morgan prendono strade diverse: chi lotta contro il sistema, chi se ne va, chi si rassegna. La figura del padre, uomo d’onore ma incapace di affrontare le trasformazioni sociali, è emblematica: un patriarca che regge fino a un certo punto, poi cede alla modernità. E la valle – quasi un personaggio – cambia. Dall’inizio, in cui è verde, luminosa, piena di fiori e di risa, al finale, in cui è nera, soffocata dal fumo delle ciminiere, scavata dai cunicoli della miniera. La valle è il corpo stesso della memoria: bello solo perché è passato, carico di dolore perché non tornerà.

Lo stile di Ford: lirismo e concretezza

Visivamente, il film è un esempio classico della poetica fordiana. Anche se girato negli Stati Uniti – a causa della guerra fu impossibile filmare in Galles – Com’era verde la mia valle riesce a restituire un’ambientazione credibile, grazie all’impianto scenografico, alla fotografia in bianco e nero di Arthur C. Miller, e a un uso magistrale della luce e del fuoco narrativo.

Ford alterna inquadrature ampie e solenni (la valle, le processioni religiose, le manifestazioni dei lavoratori) a primissimi piani emozionali, che mostrano il dolore nei volti, le lacrime trattenute, i piccoli gesti che raccontano più delle parole. La composizione delle scene è spesso teatrale, quasi sacrale, ma sempre profondamente umana. E poi c’è la voce narrante di Huw adulto, un flusso interiore che accompagna ogni passaggio della storia con un tono pacato, dolce, riflessivo, trasformando la cronaca familiare in epopea personale.

Il conflitto sociale e la tensione morale

Oltre al racconto familiare e sentimentale, Com’era verde la mia valle mette in scena un dramma sociale di forte impatto: la condizione dei minatori, sfruttati e ignorati, la nascita dei primi sindacati, il contrasto tra conservazione e lotta. I fratelli di Huw diventano militanti, si scontrano con i padroni, sfidano l’autorità paterna. Ford, pur non prendendo mai una posizione esplicitamente politica, mostra le ingiustizie e le tensioni con grande onestà. Le scene in cui i lavoratori vengono licenziati in massa, o in cui la comunità si divide attorno alle questioni morali e religiose, sono tra le più forti del film.

Altro tema centrale è la religione, o meglio la sua ambivalenza. Il reverendo Gruffydd, figura nobile e razionale, si scontra con il bigottismo di altri esponenti religiosi, che umiliano pubblicamente Angharad per sospetti infondati, mostrando come la fede possa essere rifugio ma anche giudizio sociale.

Gli attori: coralità e intensità

Il cast del film è corale, ma ci sono interpretazioni che emergono con forza. Donald Crisp, nel ruolo del padre Gwilym, vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista. Il suo personaggio è toccante per come rappresenta la fine di una figura paterna archetipica, in bilico tra onore e ostinazione.

Roddy McDowall, nel ruolo del piccolo Huw, è straordinario per espressività e naturalezza. Il film è visto attraverso i suoi occhi, e tutto il dolore, la gioia, la confusione e la crescita passano attraverso i suoi silenzi e le sue reazioni. Maureen O’Hara, nei panni di Angharad, offre una delle sue interpretazioni più intense: la sua storia d’amore con il reverendo è trattenuta, quasi mai esplicitata, e proprio per questo carica di struggimento e tensione.

Il successo e l’impatto culturale

Com’era verde la mia valle fu un successo di critica e pubblico, tanto da vincere 5 premi Oscar, tra cui miglior film, regia, fotografia, scenografia e attore non protagonista. In modo controverso, vinse al posto di “Quarto potere” di Orson Welles, un fatto che ha alimentato discussioni per decenni. Ma ridurre il valore del film al confronto con Welles sarebbe fuorviante.

Il film di Ford ha avuto una lunga influenza, soprattutto sul cinema che riflette sulla memoria e sul cambiamento: si ritrovano tracce di How Green Was My Valley nei lavori di Terence Davies, Scorsese, persino in Cinema Paradiso di Tornatore. È un modello di racconto elegiaco, in cui il tempo passato è rievocato non con nostalgia sterile, ma con l’intensità del dolore elaborato.

Conclusione: un’epopea intima e collettiva

Com’era verde la mia valle è uno di quei film che ti accompagnano nel tempo, non tanto per i colpi di scena, quanto per il modo in cui riesce a raccontare la perdita, l’appartenenza, la memoria. La valle, alla fine, non è più verde. E non lo è solo per Huw, ma per tutti quelli che hanno conosciuto un luogo, un tempo, una comunità che non esiste più.

Ford, con il suo sguardo da cantore del passato, ci invita a guardare dentro le nostre “valli” personali, quei luoghi della vita in cui tutto sembrava eterno, e che oggi vivono solo nel ricordo.

E forse, proprio per questo, il cinema esiste: per ridare voce a ciò che è scomparso, per dare forma all’invisibile, per raccontare “com’era” anche quando non può più essere.

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