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~ LA REDAZIONE DI RC
Frida (2002), diretto da Julie Taymor, è un film biografico incentrato sulla vita della pittrice messicana Frida Kahlo, interpretata da Salma Hayek. Ma attenzione: non è un semplice racconto cronologico degli eventi salienti della sua vita. È un’opera che cerca di fondere la biografia con l’arte della sua protagonista, mescolando realtà, sogno, dolore fisico e visione artistica in un flusso continuo. E qui vale la pena approfondire. La storia inizia nella Città del Messico negli anni ’20. Frida è una giovane studentessa vivace e ribelle, già fortemente anticonvenzionale. La sua vita cambia radicalmente nel 1925, quando viene coinvolta in un grave incidente d'autobus. Un corrimano le trapassa il corpo: è un trauma devastante, che la condannerà a una vita di dolore fisico costante. Ma è anche l'inizio di qualcosa.
Uno dei fulcri emotivi e narrativi è il suo rapporto con il pittore Diego Rivera (interpretato da Alfred Molina). Si incontrano quando Frida va a mostrargli i suoi quadri per un parere. Diego ne riconosce il talento, ma tra loro nasce qualcosa di più di un’intesa artistica. Si sposano, ed è l’inizio di un legame turbolento, fatto di ammirazione reciproca, infedeltà, gelosia e collaborazione. Il loro matrimonio è raccontato come un continuo tira e molla tra libertà e possesso. Diego tradisce spesso Frida (compresa una relazione con la sorella di lei), ma anche Frida ha le sue relazioni, incluse alcune con donne, che il film non censura. Non si cerca la santificazione, né del loro amore né dei personaggi. Si mostra la complessità.
C’è un altro asse portante nel film: la politica. Frida e Diego sono comunisti dichiarati. La loro casa diventa un punto di ritrovo per intellettuali e dissidenti. In una delle sequenze più significative, ospitano Lev Trotsky, esiliato dall’Unione Sovietica, interpretato da Geoffrey Rush. Frida ha anche una breve relazione con lui, a sottolineare la sovrapposizione costante fra ideologia, desiderio e arte. In parallelo, c’è il corpo. Sempre presente. Il dolore fisico che Frida sopporta per tutta la vita – interventi chirurgici, busti ortopedici, aborti, amputazioni – non è mai separato dalla sua identità. Anzi: viene costantemente integrato nei suoi quadri, come un linguaggio alternativo.
Questo stile è un tentativo di rappresentare la coscienza della protagonista. Non tanto chi era Frida Kahlo, ma come vedeva il mondo Frida Kahlo. Il film si chiude con l’ultima fase della vita di Frida: il declino fisico, la solitudine, il ritorno all’arte come ultimo rifugio. Quando finalmente riesce a organizzare una mostra in Messico, si presenta... su un letto, portata in barella. È il suo trionfo, ma anche la sua ultima apparizione pubblica. Poco dopo morirà, nel 1954. L’ultima immagine è significativa: il volto di Frida in uno dei suoi autoritratti, che lentamente prende fuoco, mentre sentiamo le sue parole tratte dai suoi diari. Una chiusura che parla di autodistruzione, di immortalità, e di arte come combustione personale.
Diego: Alfred Molina
Frida: Salma Hayek
Diego: Queste, Frida, mi piacciono molto.
Frida: Probabilmente tu dipingevi meglio a 12 anni.
Diego: Ridacchia. No, davvero. Io non saprei dipingere così. Non ci riuscirei, parlo sul serio. Io dipingo quello che vedo. Il mondo esterno. Ma tu… tu dipingi dal qui (indica il cuore).
Frida: ridacchia. Ora so perché hai tanto successo con le donne.
Diego: Dovremmo sposarci, lo sai?
Frida: Cosa?
Diego: Il fatto è che… ci sono buone probabilità che siamo nati l’uno per l’altra, quindi dobbiamo sposarci.
Frida: Ma tu non credi nel matrimonio…
Diego: Certo che ci credo. Ho già avuto due mogli…
Frida: Esatto. Non sai essere leale con una sola donna.
Diego: Leale si. Fedele… No. Purtroppo sono fisiologicamente incapace di fedeltà.
Frida: Oh davvero?
Diego: Si, un dottore di mia conoscenza me l’ha confermato.
Frida: Comoda questa diagnosi.
Diego: La fedeltà è importante per te?
Frida: La lealtà è importante per me. Sai essere leale?
Diego: Con te sempre.
Frida: Bene. Perché io ti amo, Panzòn.
Diego: Fridocha.
Frida: Io accetto!
Questo dialogo tra Frida Kahlo e Diego Rivera è un gioiello di scrittura cinematografica. Non solo racconta la nascita di una delle relazioni più celebri e tormentate dell’arte del Novecento, ma lo fa con un tono disarmante, ironico e affilato, perfettamente in linea con il carattere dei due protagonisti.
Un corteggiamento che è un duello. Siamo di fronte a un momento chiave del film Frida, diretto da Julie Taymor: l’inizio della storia d’amore tra Frida e Diego. Ma dimentica qualsiasi cliché romantico. Qui non ci sono dichiarazioni sdolcinate, né promesse assolute. C’è uno scambio serrato, a metà tra seduzione e schermaglia dialettica, che definisce fin da subito la natura complessa del loro rapporto. È un dialogo che fa ridere e fa riflettere. Che scopre le carte e poi le rimescola. E, cosa fondamentale, è estremamente coerente con le personalità reali dei due artisti: Diego, il gigante carismatico e autodistruttivo; Frida, la giovane già profondamente segnata dal dolore eppure acuta, arguta, e affamata di vita vera.
“Queste, Frida, mi piacciono molto.” La scena si apre con Diego che osserva i quadri di Frida. Il suo è un riconoscimento sincero, ma non accademico. Non usa un linguaggio tecnico, non si mette in cattedra. In un film dove i ruoli sociali e di genere sono continuamente messi in discussione, questo è un dettaglio importante: Diego non si pone come maestro, ma come uomo colpito.
“Probabilmente tu dipingevi meglio a 12 anni.” La risposta di Frida è difensiva, ma anche ironica. È come se si preparasse a respingere il giudizio, temendo una condiscendenza maschile. Ma quando Diego insiste, dicendo “Tu dipingi dal qui” (e indica il cuore), il tono cambia. Lui dipinge il mondo esterno, dice. Lei, il mondo interno. In questa frase c’è una linea teorica forte: la differenza tra l’arte come rappresentazione e l’arte come esposizione emotiva. E Diego lo riconosce senza invidia, anzi, con ammirazione. È anche un passaggio chiave perché inquadra il cinema stesso come linguaggio visivo che, nel film, è al servizio della psiche, non della cronaca. “Ora so perché hai tanto successo con le donne.”
Frida, però, non si lascia sedurre così facilmente. Smonta la dolcezza con una battuta tagliente. È il primo accenno al tema del desiderio e dell’infedeltà, che tornerà più volte nel dialogo e nella loro relazione. “Dovremmo sposarci, lo sai?” Qui il tono cambia di nuovo. Diego lancia la proposta come se stesse parlando del meteo. È provocatorio, sdrammatizzante, ma anche deciso. Ed è proprio questa ambiguità tra serietà e leggerezza che tiene in piedi l’intero scambio. Frida resta spiazzata: “Cosa?” È l’unico momento in cui sembra perdere il controllo della conversazione. Ma si riprende subito. “Io sono fisiologicamente incapace di fedeltà.” Diego fa coming out emotivo. Ammette di non essere fedele, e lo fa in modo che suona sia come scusa che come provocazione. "Un dottore me l’ha confermato.” È una bugia quasi comica, che cerca di mascherare un’ammissione grave sotto l’umorismo. Ma attenzione: non sta dicendo che tradirà con leggerezza. Sta dicendo che lui non sa amare in modo convenzionale, e questa è la sua forma di onestà. “La lealtà è importante per me. Sai essere leale?” Frida ribalta il discorso. Per lei non è questione di fedeltà sessuale, ma di lealtà emotiva. È qui che emerge la sua vera esigenza: sapere che, anche nel caos, lui sarà un punto fermo. Diego risponde: “Con te sempre.” È una promessa ambigua, ma coerente. Non promette castità, promette presenza.
“Perché io ti amo, Panzon.” Frida chiude il cerchio con affetto e ironia. Lo chiama con quel soprannome che ormai è un marchio affettivo, e aggiunge “Io accetto!” Sì, accetta tutto: il rischio, l’ambiguità, la promessa, l’ironia. Non è una donna che si fa illusioni. È una donna che sceglie.
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