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Il 30 luglio 1950 nasceva a Napoli il Maestro Gabriele Salvatores.
Il 21 luglio 2017 ho avuto l’occasione di incontrarlo al Giffoni, durante una masterclass.
Lo chiamo Maestro da quando lo chiamammo Maestro in quell’occasione e io non conoscevo nulla di lui, se non il film che si apprestava a presentare. Credo fosse Il ragazzo invisibile.
E proprio la potenza di un uomo invisibile mi trasmise, una persona che col corpo sembrava volesse chiedere permesso ad ogni passo che compiva per giungere in pedana. Una dolcezza che ancora mi fa sorridere e mi gonfia di serenità. E, naturalmente, il contraddire l’epiteto “Maestro”: per lui era assolutamente impossibile e non necessario essere chiamato così.
E anche questo ricordo mi smuove fortemente a rendergli omaggio con quest’articolo.
Un semplice motivo in più che custodisco con affetto nella memoria.
Nel Rione Montesanto, il piccolo Gabriele cresce e all’età di sei anni, si trasferisce con la famiglia a Milano. Studia al liceo Beccaria e approccia al mestiere, per la prima volta, attraverso gli studi presso l’Accademia del Piccolo Teatro.
Nel 1972 fonda il Teatro dell’Elfo, con Ferdinando Bruni, e inizia a creare. I suoi spettacoli vengono da subito definiti d’avanguardia. La sperimentazione cominciava a gettare le luci su quelle che diventeranno poi le tematiche più chiare all'artista, ma ne totalizzava il centro, rendendo il Teatro dell’Elfo un vero e proprio fenomeno di costume in quegli anni.
Ricordiamo, tra i tanti spettacoli:
Nemico di Classe di Nigel Williams - adattato da Elio De Capitani - con gli allora sconosciuti Claudio Bisio, Paolo Rossi, Antonio Catania e lo stesso De Capitani. I ragazzi della VC, violenti, rabbiosi, ingestibili che portano in scena la realtà milanese dell’epoca. Un grande successo che trasferì la drammaturgia contemporanea straniera in Italia;
Comedians di Trevor Griffiths, la vita dei comici, il meccanismo crudele della televisione, il successo sempre superficiale che li caratterizza. Col duo Gino e Michele e con Silvio Orlando, tradotto e adattato da Salvatores stesso, Comedians è un connubio equilibrato tra divertimento e teatro politico.
<Questo coincideva con un tema a noi caro, quello appunto della comicità, e del susseguente dibattito che abbiamo sviluppato al nostro interno in questi anni: se si può, e come, raccontare il mondo attraverso il comico e analizzare la realtà con uno sguardo ironico;
Chiamatemi Kowalski di Paolo Rossi, che consacrò l’ascesa dell’attore come stella del teatro italiano, è un viaggio meraviglioso in tutte le stagioni della vita, pregno di intuizioni geniali, esilarante, cullato dalle lucenti melodie di Riondino. Una carrellata di monologhi indimenticabili;
Caffè Procope, in cui Salvatores crea uno spettacolo inscenato come talk-show ai tempi della rivoluzione francese.
L’APPRODO RUMOROSO NEL CINEMA - Gli esordi.
L’impronta della regia del Maestro è già riconoscibile, da prima dell’approdo al cinema, che avviene con Sogno di una notte di mezza estate nel 1989. Il film è un salto impavido nel mondo del musical-rock, un sodalizio di cinema, teatro, musica, danza, fiaba; un esordio che - benché timido nell’approccio allo sconosciuto mondo del cinema - sembra gridare nei modi pacati ed eleganti del regista: ECCOMI, SONO ARRIVATO.
A seguire Kamikazen - Ultima notte a Milano, ispirato a Comedians. Paolo Rossi, Claudio Bisio, Bebo Storti e Antonio Catania diventeranno i nuovi comici della scena, collaboratori a tutti gli effetti del regista.
Da questo momento, fino al 1992, la carriera del regista sboccia con fiori sempre più belli, fino a giungere alla consacrazione internazionale: premio Oscar al miglior film per Mediterraneo, film conclusivo della trilogia che inizia con Marrakech Express e Turné.
I quattro reduci del Sessantotto che si ritrovano dopo dieci anni per aiutare un amico arrestato in Marocco (che spingono alla ribalta Diego Abatantuono che diventerà l’attore feticcio di Salvatores), il triangolo amoroso di Dario, Federico e Vittoria (Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio e Laura Morante), il gruppo di soldati italiani che sbarca sull’apparentemente deserta isola greca del post guerra.
L’amicizia, la virilità, il tema del viaggio e la nostalgia che ne segue, la fuga dalla realtà, l’irruenza delle memorie, quella capacità di cogliere ogni tratto generazionale, anche il più impercettibile o il più visionario.
E’ questo il tratto dell’esordio tracciato dal regista.
E’ questo che lo impone con potenza e rivoluzione.
La trilogia della fuga è idealmente seguita da Puerto Escondido e Sud e conferma la visione di Salvatores, la rottura con la tradizione per rifondare i canoni della commedia all’italiana a proprio modo.
Il culmine della sperimentazione, che apre un varco costituente un nuovo inizio nel suo campo innovativo, è Nirvana (1997), il film italiano di fantascienza più premiato dal pubblico. Con le sue atmosfere d’avanguardia cyberpunk, il film diventa il maggior successo commerciale del regista.
DAGLI ANNI 2000…
Entriamo nel vivo della filmografia, con Denti (2000) e Amnèsia (2002), entrambi con Sergio Rubini come protagonista.
In Denti, Antonio ha sempre avuto problemi coi suoi enormi incisivi: durante una lite Mara, la donna per la quale ha lasciato la propria famiglia, gli lancia addosso un posacenere di cristallo rompendogli i denti. Comincia, così, il suo peregrinare fra studi di dentisti che si trasformerà in una sorta di viaggio emotivo e personale, in cui la propria coscienza è alterata dagli antidolorifici, dai ricordi e dai fantasmi che tornano a tormentarlo.
In Amnèsia, tre storie, tre destini che si incontrano in un locale di Ibiza, tutte improbabili e sopra le righe, che sembra quasi voler rappresentare il declino del delirio umano, l’assenza di coscienza, che strizza l’occhio alle atmosfere messicane.
Dal successo di Mediterraneo in poi, la critica è sempre fortemente spaccata sui film del Maestro, che sembra voler sperimentare al massimo e istintivamente qualsiasi genere e intenzione. Finché arriva Io non ho paura, nel 2003.
Una virata brusca e sospesa, che si allontana dalla nostalgia della mezza età e abbraccia il mondo infantile, lo stupore, la purezza. Fedelmente al romanzo di Niccolò Ammaniti, nelle atmosfere e nella profondità, Salvatores racconta la scoperta di Michele, un bambino di nove anni che durante la torbida estate del 1978, l’estate più calda del secolo, trova un bambino nascosto in un pozzo. Una realtà drammatica, orribile, filtrata dagli occhi dei bambini. Un film che ti lascia addosso un velo nero di bellezza. Lo stesso salto è compiuto da Diego Abatantuono, nel ruolo del capobanda disumano.
Oggi il noir è il genere letterario più titolato a raccontare la realtà in cui viviamo che è fortemente anormale, ossessiva, illegale: è uno sguardo deviato e per un regista la prima cosa da fare è cercare lo sguardo, lo sguardo nero.
DAL 2010 AD OGGI
Nel 2010 è il turno di Happy Family tratto dalla commedia di Alessandro Genovesi, a sua volta ispirata ai sei personaggi in cerca di autore di Pirandello. Una pellicola piena di riferimenti e citazioni, in un missaggio tra realtà vera e filmica.
Tre anni dopo, una nuova sterzata arriva con Educazione Siberiana, tratto dal romanzo autobiografico di Nicolai Lilin. Una direzione internazionale che narra di una comunità siberiana deportata nella Transnistra e delle sue regole. Personaggi impattanti, regia che si conferma tra le più magistrali.
Il ragazzo invisibile (2014) segna il ritorno di Salvatores alla fantascienza, con una nuova scommessa: un film di supereroi in un film di ragazzi, un tema che in Italia non naviga, recentemente riproposto in serie RAI come Noi siamo leggenda. Racconto iperrealistico, sintesi di uno stile visivo e narrativo visibile, che parla direttamente ai ragazzi. Un’impronta fumettistica più che fantastica, il racconto di un corpo che cambia, sottintendendo le tematiche più delicate della giovinezza, in una rilettura equilibrata e significativa.
Nel 2018, il prosieguo, Il ragazzo invisibile - Seconda generazione.
Arriviamo agli ultimi anni, in cui il Maestro continua il suo viaggio di ricerche e reminiscenze, ritornando al road movie e all’indagine del rapporto padre-figlio, mai esente dalle responsabilità adulte nei confronti della crescita e dell’evoluzione dei ragazzi. Tutto il mio folle amore, tratto dal romanzo di Fulvio Ervas, è anche un film sulla malattia mentale, in particolare sul confronto tra “stranezze” e su come queste riguardino tranquillamente persone comuni che, ad esempio, rifiutano di crescere, non sanno gestire le situazioni o sono schiacciati da frustrazioni e traumi.
Nel 2021, Comedians dà vita cinematografica allo spettacolo teatrale del 1985, bellissima opera corale con interpreti tanto bravi quanto giusti, nel racconto del comico e della sua vita, delle scelte e del rispetto di quella che è una vera e propria (a volte sacrificale) vocazione. Malinconia sull’ironia, un fresco omaggio metacinematografico.
Il ritorno di Casanova (2023), felliniano racconto in cui gli spettri di 8 ½ e Il Casanova respirano nel racconto di Salvatores. La crisi del regista Leo Bernardi (chi se non Toni Servillo) che non riesce ad ultimare il suo ultimo film, distratto dal malessere per il passaggio irrefrenabile del tempo, dall’amore per una contadina giovane e indipendente, dalla competizione con un regista più giovane che acuisce le sue insicurezze e il suo tormentato senso di inadeguatezza. Un bianco e nero che si sposa alla perfezione con i fantasmi, tangibili e non, di personaggi surreali, in una dimostrazione e direi - lettera d’amore - ad una sperimentazione che non si adagia mai, che realizza fino all’ultima particella creativa del subconscio.
L’ultima opera del regista è Napoli - New York (2024) a ricordarci che determinati registi non possono non confrontarsi con l’italia postbellica alla fine. Un tono fiabesco, che attinge alla letteratura per ragazzi, una storia che intende “realizzare” l’opera mai ultimata di Fellini: Il viaggio di Mastorna. Il tema del viaggio, sempre presente. L’intimo racconto ispirato alla famiglia del regista, alla Napoli che lo ha partorito e cullato nei primi anni di esistenza, la Napoli che ha bisogno di essere esorcizzata anche quando sei di passaggio e ti tocca giusto per un po ', lasciando solchi e crepe.
Un regista che ha una cifra riconoscibile, eppure, che non si è mai rilassato su quanto della sua visione rincuorasse gli spettatori e la critica. Un immaginario effervescente, vivo, che non si condensa, ma che si espande e cambia sempre, si alimenta di tutto ciò che incontra negli anni. Opere non esigenti e per questo vere, che non si piegano e non si tradiscono. Un vero e proprio tesoro nostrano.
Buon compleanno, Gabriele Salvatores.
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