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Analisi a cura di...
Figli di un film che ha segnato un’epoca come “Intervista col Vampiro” del 1993, mi ha trovata scettica nel premere il play necessario all’avvio della visione.
Intervista col Vampiro, oltre ad avere il pregio di un cast di tutto rispetto, con un Cruise raramente cattivo, ma perfettamente calato nella parte, ha ridipinto l’immaginario raccontando la storia e la battaglia interna di un uomo che, messo di fronte alla scelta tra morte e immortalità, sceglie la seconda diventando esso stesso il demone di cui ha più paura. Patinato il giusto, il film del 1993 nasce come una lunga intervista che attraversa i secoli sino ai giorni dei protagonisti con un unico filo conduttore… la ricerca della redenzione.

Ed arriviamo alla serie di Netflix. Prima Puntata: Ritroviamo i personaggi del film che esattamente a distanza di 27 anni (47 secondo la cronologia del film) incrociano nuovamente le loro strade. Il giornalista Daniel Molloy (Eric Bogosian), a cui il tempo non ha fatto sconti, vive la sua carriera con il disincanto di chi ne ha viste troppe ed ha sostituito l’idealismo giovanile con il cinismo di una vita fatta di compromessi, il primo tra tutti quello con la sua malattia che lo sta divorando, il morbo di Parkinson. Il collegamento con il film del ’93 è palese nell’inquadratura del collo di Molloy che presenta due piccole cicatrici figlie del morso che Lestat regala al giornalista nell’ultima scena in cui spiega a Molloy che lui potrà scegliere tra la vita e l’immortalità… scelta che a lui non fu data al tempo della trasformazione.
Si evince quindi che Molloy ha scelto la vita e tutto ciò che ne consegue, compresa malattia e mortalità. Il legame tra la vecchia pellicola e la serie mantiene alta l’attenzione curando i particolari e creando la giusta miscela tra attesa ed aspettativa. La vita del giornalista scorre apparentemente senza grosse scosse sino al ricevimento di un misterioso pacchetto, una volta aperto vi trova dentro delle audiocassette, probabilmente non collega subito, ma gli basta il semplice incipit della prima ed una firma su una lettera perché il tempo si riavvolga su sé stesso.
Una settimana esatta dal ricevimento della lettera Molloy vola a Dubai dove in un attico extra lusso incontra nuovamente Louis de Pointe du Lac, e qui abbiamo la prima grande sorpresa: quello che fu allora il ruolo di Brad Pitt viene interpretato da Jacob Anderson, attore afroamericano. Al di là della comprensibile differenza, è la motivazione che assume tutt’altro carattere nella rappresentazione delle ragioni che spingono il protagonista a scegliere la vita da Vampiro. Se nella prima pellicola abbiamo un uomo annoiato, disilluso e tormentato da una perdita, in questa abbiamo un uomo che lotta per uscire dall’emarginazione imposta dal colore della sua pelle, una scelta stilistica coraggiosa che ha un suo pregio narrativo. Molloy e Louis si ritrovano nuovamente uno di fronte all’altro, ma questa volta è Molloy che detta le regole dell’intervista e mette Louis di fronte alla scelta se proseguire o meno. Il vampiro accetta ed inizia la narrazione partendo da una semplice domanda di Molloy.
Molloy – Non è un’intervista, è un sogno febbrile raccontato ad un idiota… e ora perché ci riprovi? Cosa è cambiato?
Louis – Il mondo, le circostanze, io sono cambiato e sono d’accordo: quei nastri sono carenti.
Molloy – Quindi ricominciamo. Io faccio le domande e tu rispondi… come sei morto?

Si parte dal 1910, nella stessa New Orleans narrata nel film del ’93, stessa città di luci e perdizione in cui un giovane Louis si barcamena come proprietario di bordelli cercando di tenere a galla il nome di una famiglia che prova a rialzarsi dalla schiavitù in una parvenza di perbenismo ed integrazione ben lontana dall’essere reale. La storia si dipana tra risse ed apparente normalità sino a quando compare la figura di un uomo: Lestat de Lioncourt (Sam Reid), affascinante europeo sbarcato sulle coste americane ed affascinato dalla perdizione della città.
L’incontro con Louis si alterna a momenti di fascinazione e dubbio, tra i due si crea un rapporto che viene messo in crisi dal fratello di Louis, un uomo dalla mente fragile che sembra leggere oltre la facciata di Lestat cercando di mettere in guardia il fratello dalle mire dello straniero, ma la trappola ormai è tesa e scatta durante una serata in cui tra i due avviene il primo contatto sessuale condito da un piccolo morso che getta le prime basi della dipendenza.
Louis prova a sottrarsi da quello che sembra un controllo mentale attuato da Lestat, ma tutto intorno a lui precipita con la morte del fratello che si suicida il giorno delle nozze della sorella. Il senso di colpa per non averlo fermato, la convinzione della madre che a spingerlo sia stato proprio Louis, spingono l’uomo a cercare conforto in chiesa, ed è proprio lì che Lestat si mostra per ciò che è uccidendo prima il padre confessore di Louis davanti ai suoi occhi. In un inutile tentativo di sottrarsi l’uomo cerca di respingerlo, ma capitolare in fondo è qualcosa che lui stesso desidera perché è la prima volta nella sua vita che si sente visto e compreso nella sua interezza.
LESTAT – Questo paese primitivo ti ha spogliato di tutto, ti ha condannato ad un esilio permanente, per ogni stanza in cui entri, per ogni maschera che devi indossare: il severo capofamiglia, l’uomo d’affari, il figlio fedele… tutti ruoli a cui ti conformi e che non rispecchiano la tua natura. Chissà che rabbia devi provare mentre soffochi nel dolore… se vuoi porrò fine a questa vita di vergogna scambiandola con un dono oscuro ed un potere che tu non puoi nemmeno immaginare.
LOUIS – È davvero difficile spiegare come le sue parole mi stessero disarmando, quanto fosse efficace, concisa ed impenetrabile la sua argomentazione… tutte le mie convinzioni, persino il mio senso di colpa e il mio desiderio di morire sembravano del tutto irrilevanti. Avevo completamente dimenticato me stesso… per la prima volta nella mia vita qualcuno mi stava guardando.


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