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Un paio di settimane fa ho avuto la fortuna di essere ospite di "Intimità a confronto", un progetto targato Marta Gervasutti e il suo "Collettivo Godot". Serata e progetto sono entrambi entusiasmanti, specie perché l'atmosfera che pervade il tutto risponde alle parole: "team", "rete", "collaborazione", "professionismo", "passione"... parole che risuonano anche nella nostra Community con frequenza e che non posso fare a meno di apprezzare e condividere. Questa volta non sarò io a raccontarvi del progetto e della serata, ma alcuni dei protagonisti.
Intimità a confronto ha previsto tre serate, coinvolgendo il "Collettivo Godot" in più slot. Ogni serata vedeva un membro del Collettivo "primeggiare" (parola bruttissima, visto il clima di serenità e squadra che permeava il teatro Kopò) tra le esibizioni, e accedere così alla finalissima, che ha visto trionfare uno (o una? Lo scoprirete solo leggendo) tra i tre finalisti.
Nel corso delle interviste, i vincitori delle tre serate vi racconteranno con parole migliori delle mie quello che per loro rappresenta questo progetto. Iniziamo con l'intervista alla vincitrice della terza serata: Paola Betteghella
Lascio la parola a lei!
Partiamo dalle basi Paola: chi sei tu?
Allora, essendo napoletana, sono nata un po' dentro questa realtà. Sono nata con Toto e Eduardo, e cresciuta nella totale adorazione di questi mostri sacri; fin da piccola osservavo nello specifico Eduardo e mi domandavo come quest'uomo potesse far arrivare a noi una sensazione così vera. Al di là di un percorso semplice di recite non ho mai approfondito un percorso di studi, perché sono stata totalmente assorbita dalla danza per gran parte della mia vita. A un certo punto, all’interno della mia scuola di danza inserisco un laboratorio di recitazione. Per farlo partire mi ci sono infilata anche io… e ho scoperto un mondo. Venendo dalla danza credevo che la recitazione fosse quasi banale, e iniziando per caso in un laboratorio mi sono appassionata a questo percorso. Poi da qui ho fatto diversi laboratori, con attori, anche noti, per arrivare a Roma e fare scuole più professionali con tendenza quotidiana. Non ho frequentato Accademie, solo percorsi privati, ho studiato tantissimo fino a quando sono approdata a Marta. Questo è un ambiente complicato, non è facile trovare un percorso che ti dia veramente qualcosa, c’è tanto… “fumo”. Stavo per mollare perché non riuscivo a trovare un ambiente che mi gratificasse e che mi facesse realmente capire quelle che erano le mie potenzialità. Al netto che devi studiare tanto, devi incanalare lo studio in una direzione, che non riuscivo a trovare.
Marta mi ha stravolto. Con questo suo metodo fa mettere a fuoco quello che tu sei, e quello che puoi fare. Anche la scrittura del monologo. "Intimità a confronto" aveva monologhi scritti da noi. E imparare a scrivere è stata una tappa. Alla prima proposta di scrittura siamo rimasti a bocca aperta, per noi scrivere era una richiesta assurda. E invece no, perché lei ritiene che se impari tutti gli strumenti, quando reciti sei molto più presente. Se sai fare anche quello capisci prima e meglio ciò che devi fare. E ci ha fatto ribaltare il punto di vista. Come se ti facesse vedere il mondo a 360 gradi. Poi il Collettivo è formato da 60 attori, di tutta Italia, che si confrontano, che si scambiano, si incontrano. E’ una realtà bella, per crescere. E poi c’è lei, che fa la differenza.
Come la vedi tu, Marta Gervasutti, che tipo è?
Con una sola parola ti direi: “materna”. Lei ti fa prendere consapevolezza… io l’ho conosciuta in un periodo bruttissimo della mia vita, e mi ha trasformata. Ti fa prendere consapevolezza e ti protegge dagli altri, e da te stesso. Se stai andando in una direzione sbagliata, o sperimenti cose dannose per te, lei te lo fa capire ma non ti giudica mai. Ti ci porta sempre con un fare molto materno, lasciandoti la libertà di sperimentare. Ti guida senza opprimerti, ma ti protegge. Ha questo equilibrio tra lasciarti andare e frenarti quando è il momento di fermarti, ma senza mai mancarti di rispetto come essere umano.
Non a caso poi da qui è stata possibile la creazione del Collettivo Godot. Come lo definiresti?
Io dopo aver fatto il percorso con Marta sono entrata nel Collettivo. Questo mi ha stravolto. Sei solo nel tuo percorso ma sai di appartenere a questo spazio dove siamo tutti diversi, personalità diverse e anche molto forti. Come dice Marta: “Siamo tutti normali qui dentro????”.
Tra i tanti workshop, ne abbiamo fatto uno con la psicologa, che ha definito il Collettivo Godot "uno spazio rispettoso e gentile", e questo io lo ritrovo. E per me è Marta che garantisce questo rispetto, questo senso di appartenenza… tu hai visto con i tuoi occhi quanto ci si supporta, si diventa più forti insieme. Tu fai il tuo percorso ma sapere di avere questa squadra di colleghi/amici ti fa sentire accolto e ti fa vivere meglio anche le attese; e questo è un lavoro dove si aspetta e c'è anche la condivisione delle problematiche, i tormentoni dell’ambiente, si è pronti sempre a sostenersi in tutto… devo dire che questa "Intimità a confronto" è stata una prova diversa: ci siamo "sfidati" tra virgolette ma con rispetto,sempre.
Che iniziativa è stata "Intimità a confronto", per te?
Un momento di crescita importantissimo. Mi sono messa in discussione come autrice e come attrice con un'esibizione che era borderline tra teatro e cinema. A favore dello schermo ma con un pubblico che vuole vedere qualcosa; e come incontro dei due linguaggi è stato un momento di crescita, mettersi in gioco è sempre complicato con queste cose.
Ho scelto di mettermi in discussione con un personaggio diverso da me che mi ha divertito. Marta ti insegna a divertirti con questo lavoro, e capire che stai raccontando delle storie, a prenderti meno sul serio senza pensare di dover fare chissà che cosa... quando dovresti ricordarti che racconti qualcosa e sei al servizio di storie che vengono raccontate nei film o a teatro.
Per quanto riguarda la scelta del pezzo, come siete arrivate al dialetto napoletano, perché non in italiano? E’ nato prima il pezzo e poi l’inflessione o il contrario?
Prima di lavorare questo monologo Marta ha cominciato a spingere un pò con me su quello che è il materiale che può anche essere utile per lavorare, quindi anche il mio essere napoletana. Quando ho scritto il monologo io l’ho scritto in italiano, magari pensandolo già in dialetto.Sono restia a portare il napoletano. Io sono orgogliosa di essere napoletana, non è quello il discorso, ovviamente. L’ho scritto in italiano e pensato in dialetto, e ci siamo trovate con questa scelta, che ha reso il tutto anche comico. E caratteristico, come anche era il mio abbigliamento, che non era casuale. Il mio pezzo, pur essendo comico, era per me di grande denuncia. Io tengo molto al pezzo, era un pò a favore del teatro, tra il linguaggio del dialetto e del comico, che mi rendeva restia. Ho sempre paura che venga preso come una cosa vuota e semplice, quando in realtà il pezzo era di denuncia per questa tipologia di mamma. Io penso che il fatto di non saper riconoscere i ruoli sia un problema di oggi, come la mamma del mio pezzo. Sono genitori invadenti che si sostituiscono ai figli e a tutti gli insegnanti, docenti e quello che sia. Danno il peggior esempio che si possa dare, ed era importante per me che arrivasse il messaggio.
E credo sia arrivato, data la vittoria della terza serata. Come hai vissuto questo momento?
Io ho fatto un lavoro immenso su questo personaggio e l’ho portato a casa dignitosamente, ma non al mio 100 per cento. Poi non ho pensato al verdetto. Quando siamo saliti sul palco e ho capito che i voti erano differenti tra giuria e pubblico, e c’era una disparità io ho pensato che non ci fosse probabilità... Va benissimo così, per me. Arrivare con una lingua differente ti riempie molto di più, se sei da una parte “diversa” rispetto a casa tua. E rendere un personaggio così coatto e fastidioso simpatico è stato molto bello per l’impatto con il pubblico, anche per il lancio di fiori, che mi ha messo in imbarazzo, ti dico la verità. Sono stata contenta, così come sono stata contenta che abbia vinto **(spoiler non ne facciamo in queste interviste eheh, pubblicheremo presto il/la vincitrice), una persona a cui voglio bene. Non ci sono assolutamente rimasta male. Assolutamente no.
Vorrei chiudere questa intervista con un pensiero sul Collettivo Godot, un tuo saluto, anche breve.
E’ la domanda più difficile.
Mi piace fare domande difficili alla fine.
Qualcosa dai miei colleghi/amici… io penso che siano tutti attori in gamba e belle persone. Se ti dovessi dire spero di condividere con loro tanti successi. Lo auguro a me e lo auguro a loro.
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