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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo pronunciato da Alfred Molina nei panni di Diego Rivera nel film Frida è una scena centrale non tanto per lo sviluppo della trama quanto per quello dei rapporti di potere, ideologia e intimità tra i personaggi. È il momento in cui la politica bussa alla porta della loro vita privata e lo fa, come sempre, sotto le spoglie di qualcosa di più grande: la responsabilità morale, la rivoluzione, la storia. Questo monologo arriva in un momento in cui Frida e Diego sono già legati sentimentalmente, ma ancora non del tutto consolidati né come coppia né come progetto di vita comune. Diego, artista celebre e fervente comunista, propone a Frida qualcosa che va ben oltre la convivenza o la collaborazione: ospitare Lev Trockij, figura di spicco della rivoluzione russa, perseguitato da Stalin e appena espulso dalla Norvegia.
MINUTAGGIO: 1:21:50-1:23:20
RUOLO: Diego
ATTORE: Alfred Molina
DOVE: Netflix
ITALIANO
Senti, ho bisogno di parlarti di una cosa. Devo chiederti un favore. Non si tratta di me, ma di Trosky. I norvegesi l’hanno espulso, nessun altro paese ha intenzione di accoglierlo, e Stalin lo vuole morto. Ho fatto appello a Cardenas io stesso, il presidente gli ha accordato asilo politico qui in Messico. Vorrei che noi lo accogliessimo insieme. Ospitalo in casa di tuo padre. So che ti sto chiedendo molto, ma questo è un momento di transizione per loro. E tu, Frida, tu porti vita e calore dovunque tu vada. Comunque… Trosky è un grande uomo che corre un grandissimo pericolo, e noi abbiamo la possibilità di aiutarlo.
Frida (2002), diretto da Julie Taymor, è un film biografico incentrato sulla vita della pittrice messicana Frida Kahlo, interpretata da Salma Hayek. Ma attenzione: non è un semplice racconto cronologico degli eventi salienti della sua vita. È un’opera che cerca di fondere la biografia con l’arte della sua protagonista, mescolando realtà, sogno, dolore fisico e visione artistica in un flusso continuo. E qui vale la pena approfondire. La storia inizia nella Città del Messico negli anni ’20. Frida è una giovane studentessa vivace e ribelle, già fortemente anticonvenzionale. La sua vita cambia radicalmente nel 1925, quando viene coinvolta in un grave incidente d'autobus. Un corrimano le trapassa il corpo: è un trauma devastante, che la condannerà a una vita di dolore fisico costante. Ma è anche l'inizio di qualcosa.
Uno dei fulcri emotivi e narrativi è il suo rapporto con il pittore Diego Rivera (interpretato da Alfred Molina). Si incontrano quando Frida va a mostrargli i suoi quadri per un parere. Diego ne riconosce il talento, ma tra loro nasce qualcosa di più di un’intesa artistica. Si sposano, ed è l’inizio di un legame turbolento, fatto di ammirazione reciproca, infedeltà, gelosia e collaborazione. Il loro matrimonio è raccontato come un continuo tira e molla tra libertà e possesso. Diego tradisce spesso Frida (compresa una relazione con la sorella di lei), ma anche Frida ha le sue relazioni, incluse alcune con donne, che il film non censura. Non si cerca la santificazione, né del loro amore né dei personaggi. Si mostra la complessità.
C’è un altro asse portante nel film: la politica. Frida e Diego sono comunisti dichiarati. La loro casa diventa un punto di ritrovo per intellettuali e dissidenti. In una delle sequenze più significative, ospitano Lev Trotsky, esiliato dall’Unione Sovietica, interpretato da Geoffrey Rush. Frida ha anche una breve relazione con lui, a sottolineare la sovrapposizione costante fra ideologia, desiderio e arte. In parallelo, c’è il corpo. Sempre presente. Il dolore fisico che Frida sopporta per tutta la vita – interventi chirurgici, busti ortopedici, aborti, amputazioni – non è mai separato dalla sua identità. Anzi: viene costantemente integrato nei suoi quadri, come un linguaggio alternativo.
Questo stile è un tentativo di rappresentare la coscienza della protagonista. Non tanto chi era Frida Kahlo, ma come vedeva il mondo Frida Kahlo. Il film si chiude con l’ultima fase della vita di Frida: il declino fisico, la solitudine, il ritorno all’arte come ultimo rifugio. Quando finalmente riesce a organizzare una mostra in Messico, si presenta... su un letto, portata in barella. È il suo trionfo, ma anche la sua ultima apparizione pubblica. Poco dopo morirà, nel 1954. L’ultima immagine è significativa: il volto di Frida in uno dei suoi autoritratti, che lentamente prende fuoco, mentre sentiamo le sue parole tratte dai suoi diari. Una chiusura che parla di autodistruzione, di immortalità, e di arte come combustione personale.
“Senti, ho bisogno di parlarti di una cosa.”
La frase d’apertura è diretta, quasi spogliata da ogni tono retorico. Diego non adotta la voce dell’artista né quella del rivoluzionario. Parla con urgenza, ma anche con cautela. È consapevole che sta per chiedere molto, e si prepara a farlo con un tono misurato. “Non si tratta di me, ma di Trockij.” Subito sposta il centro del discorso su un altro. È una mossa strategica: Diego si toglie di mezzo, presenta la richiesta come altruistica, come se non avesse niente da guadagnare. Ma, come vedremo, non è proprio così.
Il fatto che citi Stalin e la condanna a morte di Trockij serve a creare un senso di urgenza morale: non è un favore, è una scelta storica. È qui che la politica entra nel racconto con tutto il suo peso. Il film non è solo biografia artistica: è anche il ritratto di due persone immerse in un’epoca dove arte e ideologia erano inseparabili.
“Ho fatto appello a Cárdenas io stesso...”
Diego sottolinea il suo intervento diretto con il presidente messicano. Non è solo un artista, è un uomo che si muove nei circoli del potere. Ma qui c'è anche un lato narcisistico: Diego vuole essere percepito come mediatore tra l’arte e la Storia, come se avesse in mano le chiavi della rivoluzione. “Vorrei che noi lo accogliessimo insieme. Ospitalo in casa di tuo padre.”nLa frase centrale del monologo. Qui Diego mette Frida di fronte a una scelta concreta. Non sta parlando di ideali: sta chiedendo di aprire le porte di casa, coinvolgere la sua famiglia, cambiare la sua routine quotidiana. È un gesto che può sembrare politico, ma è profondamente personale. Dice: “ospitiamolo insieme”, ma poi delega: “ospitalo in casa di tuo padre”. Frida diventa lo strumento operativo della sua decisione. “So che ti sto chiedendo molto...” Qui Diego cerca di ammorbidire il colpo. Lo sa che sta forzando, ma lo fa usando una leva affettiva: le qualità di Frida. Dice: “tu porti vita e calore dovunque tu vada.”
È una frase che, più che convincere, vuole flattere. Ma è anche il punto dove il discorso si fa ambiguo: sta davvero parlando di Trockij? O sta cercando di manipolare Frida attraverso un’immagine idealizzata di lei? “Trockij è un grande uomo che corre un grandissimo pericolo…” La chiusura è costruita come un crescendo etico. Diego alza il livello della posta in gioco. Se prima sembrava chiedere un favore, ora sembra dire: abbiamo il dovere di agire. E in quel “noi” c’è l’ultima chiave di lettura: Diego vuole legare Frida non solo al suo amore, ma anche alla sua ideologia. Chiede di entrare in un patto rivoluzionario, non solo con Trockij, ma con lui.
Questo monologo è il ritratto di un uomo che, pur mosso da ideali politici, continua a cercare approvazione, complicità e supporto attraverso una dinamica affettiva. Diego si presenta come un mediatore tra Frida e la storia, ma in realtà vuole che lei si inserisca nel suo mondo, che accetti il suo modo di vivere l’impegno e l’identità.
Frida in questo momento resta in silenzio (nel film), ma lo sguardo dice molto. Accettare significa ospitare non solo Trockij, ma anche un modo di vivere dove la vita privata si dissolve nel progetto ideologico. È una scena che racconta come la rivoluzione può entrare in salotto con la faccia della storia... ma anche con le dinamiche di una coppia.
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