Monologo Italiano - Radiofreccia

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~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Nel film "Radiofreccia", diretto da Luciano Ligabue e basato sul suo omonimo romanzo, il regista esplora le tematiche di ricerca di identità, significato e appartenenza nella vita di provincia italiana degli anni '70 e '80. Uno degli strumenti usati da Ligabue per esplorare questi temi è il monologo di Ivan Benassi, trasmesso dalla sua stazione radio, Radio Raptus. Questo monologo fornisce una finestra sul cuore del protagonista, e funge anche da catalizzatore per una riflessione più ampia sul significato di "credere" in un contesto di restrizioni sociali e personali.

CREDERE


MINUTAGGIO:

RUOLO: Ivan Benassi

ATTORE: Stefano Accorsi

DOVE: Amazon Prime Video



ITALIANO


Buonanotte. Quì è Radio Raptus, e io sono Benassi, Ivan. Forse lì c’è qualcuno che non dorme. Beh, comunque che ci siate oppure no, io c’ho una cosa da dire. Oggi ho avuto una discussione con un mio amico. Lui è uno di quelli bravi: bravi a credere in quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Beh, non è vero: anch’ io credo. Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l’affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. Credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. Credo che non sia tutto qua, però, prima di credere in qualcos’altro bisogna fare i conti con quello che c’è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio. Credo che semmai avrò una famiglia, sarà dura tirare avanti con 300.000 lire al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto, difficilmente cambieranno le cose. Credo che c’ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock ‘n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti, ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po’ di ricaricare le vostre scorte con questo.

RADIOFRECCIA

"Radiofreccia" è un film italiano del 1998, diretto da Luciano Ligabue, che segna il suo debutto come regista. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Ligabue, e presenta una narrazione che intreccia la musica rock e le vicende personali dei personaggi, riflettendo in parte la biografia del regista stesso. La trama si concentra su un gruppo di amici nella piccola città di Reggio Emilia negli anni '70 e '80. La radio locale, Radiofreccia, funge da collante per queste vite, con la musica rock che rappresenta una valvola di sfogo e un simbolo di libertà in contrasto con le asperità della vita quotidiana. Il protagonista, Freccia, è particolarmente in primo piano, e la sua storia è raccontata con flashback che mostrano i suoi alti e bassi, incluso il suo tragico destino.


Il film è stato apprezzato per la sua autenticità e il forte legame emotivo che stabilisce con gli spettatori, specie quelli che possono identificarsi con il contesto culturale e temporale rappresentato. La colonna sonora, anch'essa curata da Ligabue, gioca un ruolo cruciale nel film, amplificando le tematiche di ribellione, amicizia e perdita. "Radiofreccia" ha ricevuto riconoscimenti in Italia, inclusa una candidatura ai David di Donatello per il miglior regista esordiente per Ligabue e diversi premi per la migliore colonna sonora.

ANALISI MONOLOGO

Il monologo di Ivan Benassi è un'affascinante riflessione sulla fede e sull'identità personale, particolarmente emblematico del tema più ampio del film riguardo la ricerca di significato nella vita di provincia italiana durante gli anni '70 e '80. Attraverso le sue parole, Ivan sfida l'idea convenzionale di credere solo nelle grandi narrazioni o nelle istituzioni. Piuttosto, afferma la validità e l'importanza di credere nelle piccole gioie quotidiane e nei momenti personali di significato, come la musica rock, il calcio, e i piccoli successi quotidiani. Questa visione del mondo contrasta con quella del suo amico, che rappresenta una visione più tradizionale e forse limitante della fede, basata su convinzioni imposte esternamente.


Il monologo mostra anche una profonda consapevolezza sociale e personale. Ivan riconosce le difficoltà economiche e sociali della vita quotidiana e ammette le sue insicurezze personali e i suoi desideri. L'osservazione che "credere" richieda molta energia è particolarmente potente, suggerendo che mantenere la speranza e la fede nelle piccole cose è sia una sfida che una necessità. Ivan riflette sulla natura umana e sulla condizione universale di cercare significato e appartenenza, parla di scappare e di non poter mai realmente fuggire da se stesso, una riflessione sulla ineluttabilità della propria identità e delle proprie circostanze.


La chiusura del monologo invita gli ascoltatori a ricaricare le proprie energie spirituali e emotive, suggerendo un collegamento tra la radio e la comunità di ascoltatori. Attraverso la sua trasmissione, Ivan condivide i suoi pensieri personali, e cerca anche di incoraggiare gli altri a trovare e rinnovare le loro proprie convinzioni, alimentando così un senso di comunità e di supporto reciproco.

Conclusioni

Il monologo di Ivan rappresenta una riflessione incisiva e toccante sulla condizione umana, esprimendo un'intima verità sul bisogno di credere in qualcosa, anche nel piccolo e nel quotidiano, per dare senso alla propria esistenza. Attraverso le parole di Ivan, Ligabue parla a una generazione intera, sfidando le convenzioni e celebrando la resilienza umana di fronte alle avversità.

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