\"Ossessione\" (1943) – L’atto di nascita del Neorealismo e l’ingresso dell’Italia nella modernità del cinema

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~ LA REDAZIONE DI RC

Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.

Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.

Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.

Il film di oggi è...

Ossessione (1943)

Con Ossessione, nel 1943, Luchino Visconti compie un gesto che è insieme cinematografico, politico, culturale. È l’adattamento – non autorizzato – del romanzo Il postino suona sempre due volte di James M. Cain, ma non è un noir, non è un dramma borghese, non è un’opera americana trapiantata in Italia. È qualcosa di radicalmente nuovo: un film che guarda in faccia la polvere, la carne, la strada, e in cui il desiderio e la disperazione sono legati da una tensione fisica e tragica.

È il primo film di Visconti, ed è anche uno dei primi film che si possono chiamare, con qualche prudenza ma senza errore, neorealisti. Girato in piena guerra, tra mille difficoltà e quasi in semiclandestinità, Ossessione è un’opera che spacca in due il cinema italiano, portandolo fuori dai teatri di posa e dentro il mondo reale. Ma è anche un film profondamente viscontiano: sensuale, decadente, tragico. È l’inizio di tutto.

La trama: eros e morte sulla via Emilia

La storia è semplice, ma portata su schermo con una densità inedita per l’epoca. In una locanda polverosa lungo la via Emilia, in un’Italia remota e popolare, arriva Gino Costa (Massimo Girotti), un meccanico girovago, un uomo senza radici. Viene accolto da Giovanna Bragana (Clara Calamai), giovane e irrequieta moglie del rozzo e volgare Giuseppe, proprietario della locanda.

Tra Gino e Giovanna nasce subito una attrazione magnetica, fisica, animalesca. Un desiderio che travolge e soffoca. I due iniziano una relazione clandestina, tormentata da freni morali e pulsioni incontrollate. La tensione cresce fino a trasformarsi in progetto di delitto: eliminare Giuseppe per vivere finalmente liberi.

Ma dopo l’omicidio, la loro relazione non trova pace. Il rimorso, la colpa, il sospetto, la noia, la violenza si insinuano tra i due amanti. Il loro amore, nato da un impulso vitale, si trasforma in condanna. Il destino – come nei classici greci e nei noir americani – non perdona.

Nel finale, mentre cercano di fuggire per iniziare una nuova vita, un incidente pone fine tragicamente alla loro storia: Giovanna muore, e Gino viene arrestato. Tutto torna al caos da cui era nato.

Un film sporco, fisico, sensuale

Una delle cose che colpiscono subito in Ossessione è il modo in cui il desiderio viene rappresentato. Il corpo di Gino, le mani di Giovanna, i gesti piccoli e quotidiani – cucinare, bere, fumare – sono carichi di una sensualità realistica, ma anche inquietante. La macchina da presa si sofferma sulla pelle, sugli sguardi, sugli ambienti angusti e claustrofobici.

L’Italia del cinema dei telefoni bianchi – con i suoi salotti borghesi, le sue commedie leggere, le sue attrici perfettamente truccate – viene qui completamente spazzata via. Visconti gira nei luoghi reali, con luci naturali, con corpi reali. I personaggi sudano, mangiano, si toccano, e tutto ha un peso emotivo e fisico.

È un film caldo e torbido, in cui la passione non è sublimata ma brucia, fino a diventare violenza e distruzione.

Temi: colpa, desiderio, destino

Ossessione è un film che si nutre di tensioni profonde. A partire dal desiderio – che non è mai romantico, ma sempre inquieto, sporco, pulsionale – fino alla colpa, che si insinua lentamente dopo il delitto. Gino e Giovanna non sono mai amanti innocenti. Sono complici, ma anche nemici. Sono attratti e spaventati l’uno dall’altra.

Il loro sogno d’amore non è mai puro. È sempre inquinato dal sospetto, dalla paura di essere traditi, dal terrore di essere scoperti. Il mondo intorno a loro li osserva, li giudica, li opprime. E il destino – quella forza oscura che nei film noir americani è spesso impersonale – qui assume una dimensione esistenziale.

È anche un film sulla povertà, sulla marginalità, sull’Italia vera, fatta di strade sterrate, campi, sudore, osterie. Ma è una povertà vissuta non con pietismo, bensì con uno sguardo tragico e potente.

Un'opera che scandalizzò l’Italia fascista

Il film, prodotto da un piccolo gruppo legato agli ambienti intellettuali antifascisti (tra cui lo stesso Visconti, già vicino a Jean Renoir in Francia), fu subito censurato. Mussolini lo fece ritirare dalle sale pochi giorni dopo la prima, giudicandolo “immorale e sovversivo”. La rappresentazione della sessualità, il tradimento, la violenza, ma soprattutto l’immagine degradata dell’Italia popolare erano considerate inaccettabili per il regime.

Di fatto, Ossessionesparì per anni, circolando clandestinamente o in versioni mutilate. Ma chi lo vide capì subito che qualcosa di enorme stava accadendo: il cinema italiano stava rompendo le sue catene, stava finalmente guardando il paese reale, stava costruendo una lingua nuova.

L'influenza di Renoir e della letteratura americana

L’impostazione visiva di Ossessione tradisce l’influenza di Jean Renoir, con cui Visconti aveva collaborato. L’uso della profondità di campo, i piani sequenza, l’attenzione per il gesto quotidiano, per la psicologia dei personaggi, sono tutte caratteristiche che Renoir aveva portato nel cinema europeo e che qui trovano una declinazione più sensuale e più cupa.

Ma l’altro elemento fondamentale è la base letteraria: Il postino suona sempre due volte, romanzo di James M. Cain, tra i capostipiti della narrativa noir americana. Visconti non lo adatta in senso stretto: lo trapianta nel cuore dell’Italia contadina, trasformando un thriller in una tragedia mediterranea. È come se Cain incontrasse Verga e Dostoevskij.

Estetica viscontiana: realismo e tragico

In Ossessione c’è già tutto Visconti: l’attenzione ai dettagli materiali (la polvere sulla strada, i piatti sulla tavola), l’erotismo tragico, l’uso degli spazi come estensione psicologica dei personaggi, il fatalismo cupo. Ma c’è anche una modernità linguistica assoluta: movimenti di macchina fluidi, montaggio essenziale, uso straordinario della luce naturale.

La scena iniziale, con Gino che arriva camminando sotto il sole lungo la strada, è uno degli incipit più belli del cinema italiano. E le sequenze finali, con la fuga e la morte, sono girate con un rigore e un pathos che anticipano non solo il neorealismo, ma anche la Nouvelle Vague.

Un film “neorealista” prima del Neorealismo

Ossessione precede di due anni Roma città aperta. Eppure, per molti versi, è già neorealista:

Ambienti reali, non ricostruiti.
Personaggi proletari, non borghesi.
Conflitti morali concreti, non allegorici.
Temi sociali (povertà, emarginazione, sessualità) trattati con serietà.


Ma Visconti non è mai completamente neorealista: il suo è un realismo tragico e sensuale, che unisce il documento sociale alla tensione emotiva della grande letteratura e dell’opera. È un autore aristocratico che guarda il mondo popolare non con pietismo, ma con rispetto e potenza espressiva.

Conclusione: la miccia che ha acceso il fuoco

Ossessione è il film che ha dato il primo scossone al cinema italiano, rompendo con le convenzioni, sfidando la censura, inventando un nuovo sguardo. È un film ancora oggi potentissimo, che pulsa di vita, di carne, di paura. Un film che non consola, ma interroga, che mostra come il desiderio e la miseria possano diventare tragedia, che ci dice quanto può essere violento, tenero e sporco l’amore.

È anche, in senso profondo, il primo grande film italiano moderno. Perché è il primo che non ha paura di raccontare le crepe. Quelle dell’anima, del corpo, del paese. E da quelle crepe, il cinema italiano avrebbe fatto passare la luce di una nuova epoca.

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