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Guardare “La Zona di Interesse” di Jonathan Glazer (Sexy Beast, Birth, Under the Skin) è un atto di resistenza. Liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Martin Amis, racconta le vite dell'ufficiale in comando di Auschwitz, Rudolf Höss (Christian Friedel), di sua moglie Edvige (Sandra Hüller) e dei loro figli. È un atto di resistenza perché mentre vediamo scorrere sullo schermo frammenti di un’esistenza familiare apparentemente normale, a pochi metri di distanza si compie l’olocausto.
I bambini nuotano, Edvige si occupa del giardino, Höss cammina lungo i corridoi della sua bella casa borghese: tutte azioni di una banalità disarmante se non fosse che si svolgono nella “zona d’interesse” (Interessengebiet), l’area di 25 miglia attorno al campo di Auschwitz. L’orrore non è mai esibito. Lo spettatore non vede mai Höss sporcarsi le mani. Il campo è presente come un atroce rumore di fondo. Lo intuiamo attraverso urla, tremolii di fiamme, suoni di allarme e schizzi di sangue, che però non hanno alcun effetto sulla vita della famigliola del Reich.
Non è un caso che Glazer abbia volutamente spogliato della trama il libro cui si è ispirato privando lo spettatore di qualunque distrazione, sollievo o rassicurazione morale. In effetti, nel romanzo Golo Thomsen s’innamora della moglie di un gerarca nazista vagamente ispirato a Rudolf Höss, mentre la versione cinematografica restituisce ai personaggi i loro veri nomi e si configura come un “Grande Fratello in una casa nazista” attingendo anche a fatti realmente accaduti.
“Abbiamo fatto ricerca nel museo di Auschwitz e nei suoi archivi” – ha spiegato Glazer in un’intervista “e buona parte della sceneggiatura si è basata su frammenti di testimonianze dei sopravvissuti ai campi e di persone che hanno vissuto nella casa della famiglia Höss e che hanno registrato tutto quello che ricordavano”.
L’orrore del film è che il massacro di massa degli esseri umani continua nonostante tutto, senza che subentrino mai forme di pentimento o conseguenze per le azioni indicibili che vengono commesse. I personaggi rimangono invariati nella loro bolla. In questo Glazer si discosta dalla filmografia sull'Olocausto. Se in film come Schindler's List (1993) di Steven Spielberg, Il bambino con il pigiama a righe (2008) di Mark Herman e Son of Saul di László Nemes (2015) il destino di alcuni personaggi si sposta verso l'alto o verso il basso per toccare il cuore dello spettatore, “La zona d’interesse” è di fatto anti-narrativo e anti-drammatico.
Un effetto raggiunto magistralmente attraverso la fotografia e il suono. Il DOP Łukasz Żal ha infatti posizionato dieci telecamere in casa Höss producendo uno stile documentaristico nelle immagini. Il contraltare è prodotto dal sound designer Johnnie Burn che - con un paesaggio sonoro ambientale inquietante - ha “scritto” l’altra storia, quella dei prigionieri di Auschwitz.
Terrificanti latrati di cani, spari attutiti, urla e il rombo incessante e ribollente del campo crematorio compongono una partitura di morte che però i protagonisti percepiscono come una specie di rumore bianco.
In un mondo in cui ci siamo abituati a guardare il dolore degli altri e rimuovere con uno scroll, “La Zona di Interesse” – privandoci dello sguardo - ci mette di fronte al legame tra indifferenza e complicità e non ci lascia scampo. Ecco perché è un atto di resistenza, ma anche un film con il potere di risvegliare qualche coscienza.
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