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~ LA REDAZIONE DI RC
Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.
Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.
Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.
Il film di oggi è...
C’è un certo piacere nel vedere il cinema giocare con il macabro senza mai prendersi troppo sul serio. E Arsenico e vecchi merletti (Arsenic and Old Lace, 1944), diretto da Frank Capra, è uno dei casi più riusciti di questa alchimia: un film che parte come commedia brillante, scivola nel noir grottesco, e alla fine si rivela una celebrazione dell’assurdo e del paradosso.
Basato sull’omonima pièce teatrale di Joseph Kesselring, il film porta al cinema un umorismo nerissimo, travestito da farsa borghese, con cadaveri nascosti nei bauli, zie assassine, un fratello pazzo che si crede Roosevelt e un altro che sembra uscito da un film dell’orrore.
E in mezzo a tutto questo caos, c’è Cary Grant, nel ruolo più isterico, fisico e teatrale della sua carriera. La sua performance è quasi slapstick, ma sempre perfettamente dosata, come se il suo personaggio – e quindi noi – cercasse costantemente un punto d’equilibrio in un mondo che ha perso il senso.
Mortimer Brewster (Cary Grant) è un famoso critico teatrale newyorkese, scapolo convinto, che all’inizio del film decide finalmente di sposarsi con la dolce Elaine Harper (Priscilla Lane), figlia del pastore del quartiere. Dopo la cerimonia, Mortimer si reca nella casa d’infanzia a Brooklyn per dare la notizia alle sue zie, Abby e Martha, due vecchiette affabili, generose, dal fare impeccabile.
Ed è lì che comincia il delirio. Mortimer scopre che nel baule vicino alla finestra c’è un cadavere. Pensa inizialmente che sia opera del fratello Teddy, che crede di essere Theodore Roosevelt e “scava il Canale di Panama” (ossia la cantina, dove seppellisce i corpi). Ma presto scopre che sono proprio le sue zie ad avvelenare regolarmente i loro ospiti solitari, offrendo loro vino al sambuco corretto con arsenico, stricnina e cianuro. Tutto con una gentilezza sconvolgente. Il loro obiettivo? Dare una “fine serena” a uomini soli e tristi, come un'opera di carità.
Le cose si complicano ulteriormente con l’arrivo del fratello Jonathan (Raymond Massey), un vero assassino psicopatico evaso da un manicomio, accompagnato dal dottor Einstein (Peter Lorre), uno scienziato alcolizzato e complice. Jonathan vuole seppellire un’altra delle sue vittime nella cantina di casa, dove però lo spazio comincia a scarseggiare… In una notte che sembra durare un’eternità, Mortimer cerca di tenere insieme i pezzi della follia familiare, proteggere Elaine, evitare che la polizia scopra tutto e, magari, trovare il tempo per riflettere sulla possibilità che la follia, in fondo, possa essere ereditaria.
Il tono: una commedia ai limiti dell’incubo
Il vero colpo di genio del film è il suo tono schizofrenico, che oscilla tra il comico e il macabro con assoluta naturalezza. La regia di Capra mantiene un ritmo da screwball comedy, con tempi comici serratissimi, gag fisiche e battute brillanti, ma su un impianto narrativo che – a pensarci bene – è profondamente inquietante.
La comicità nasce dal contrasto tra l’aspetto perbene dei personaggi e l’orrore delle loro azioni. Le zie sono adorabili, ma uccidono con metodo e sorriso. Teddy suona il corno e corre per le scale urlando “Charge!” mentre porta giù un cadavere. Jonathan ha il volto deturpato e il comportamento di un villain gotico, ma si muove in un ambiente domestico e borghese.
Capra gioca costantemente sul confine tra realtà e follia. Tutto sembra accettabile, perché tutti sembrano accettarlo. E l’unico che si ribella – Mortimer – viene dipinto come il più isterico di tutti, creando una dinamica perfetta per una commedia dell’assurdo ante litteram.
In un film in cui quasi tutti i personaggi sono “fuori di testa”, Cary Grant è quello che cerca disperatamente di restare normale. Ma più prova a mettere ordine, più il caos lo trascina dentro. Grant, abituato a ruoli eleganti e controllati, qui si lascia andare a una fisicità quasi clownesca: smorfie, gesti eccessivi, corsette nevrotiche, sguardi allucinati. È una performance sopra le righe, ma perfettamente integrata nel registro del film.
La cosa interessante è che lo spettatore si identifica con lui, anche se lui stesso non riesce mai a capire fino in fondo dove finisce la realtà e dove comincia il delirio. È un protagonista che ride perché non può fare altro. E nella sua frustrazione, nella sua impotenza, c’è tutta la comicità di chi si trova imprigionato in una famiglia che ha deciso di riscrivere le regole del mondo.
Un’opera teatrale che diventa cinema
Arsenico e vecchi merletti nasce a teatro, e il film conserva la struttura da pièce, con l’azione che si svolge quasi interamente in un’unica location: il salotto della casa delle zie. Ma Capra riesce a tradurre la teatralità in cinema senza rinunciare alla sua natura di commedia da camera.
Le inquadrature sono dinamiche, i movimenti di macchina precisi, la fotografia lavora molto su contrasti di luci e ombre che danno al film un sapore da noir. Alcune scene sembrano prese di peso da un film horror (soprattutto quelle con Jonathan), ma vengono immediatamente smorzate da gag surreali.
Il risultato è un film teatrale nella struttura ma profondamente cinematografico nel ritmo, capace di far convivere dialoghi fulminanti e slapstick visivo in un equilibrio raro.
Peter Lorre e Raymond Massey: il grottesco che funziona
Due personaggi rubano la scena in modo diverso da Grant. Il primo è Jonathan, interpretato da Raymond Massey come una sorta di Frankenstein umano, cupo, minaccioso, terrificante ma fuori contesto. È perfetto nella parte dell’antagonista che non ha capito di essere finito in una commedia.
Il secondo è il dottor Einstein, interpretato da Peter Lorre, uno degli attori più riconoscibili del periodo. Piccolo, nervoso, alcolizzato, è una caricatura dolente, un personaggio che sta lì per fare da contrappunto comico alla ferocia del suo compagno. È come se fosse consapevole del fatto che tutto quello che stanno facendo è ridicolo, ma continua a farlo lo stesso.
Sotto l’umorismo nero, il film tocca anche temi seri, seppur in modo leggero. Uno di questi è la follia come struttura familiare: Mortimer scopre che la sua famiglia è piena di pazzi, e teme di esserlo anche lui. Il tema dell’eredità genetica della malattia mentale è trattato con ironia, ma resta presente per tutto il film.
Altro tema è la morale borghese, che viene completamente ribaltata. Le zie sono rispettate, benvolute, ma sono serial killer. Jonathan è un mostro, ma viene trattato come un fastidio domestico. E Mortimer, il “normale”, è quello che sembra sempre fuori posto.
Il film suggerisce che la società è piena di cose che preferiamo non vedere, e che il confine tra normalità e devianza è molto più sottile di quanto ci piaccia pensare.
Ricezione e impatto
Uscito nel 1944, ma girato nel 1941 (venne distribuito con ritardo a causa di vincoli contrattuali con la compagnia teatrale), Arsenico e vecchi merletti fu un grande successo, sia al botteghino che nella critica.
È diventato nel tempo un classico della commedia nera, spesso citato come uno dei film più riusciti di Frank Capra – anche se lui stesso lo considerava un divertissement più che un’opera personale.
Il film ha influenzato moltissimo il genere del “thriller comico”, aprendo la strada a una serie di opere successive che mescolano crimine e ironia (da La signora omicidi a Delitto per delitto di Hitchcock). E ha dimostrato che l’umorismo nero, se ben calibrato, può avere un impatto più profondo di qualsiasi dramma serio.
Arsenico e vecchi merletti è un film che riesce a far ridere di cose che, razionalmente, non dovrebbero far ridere affatto. E lo fa con eleganza, con ritmo, con una scrittura perfetta e una regia che conosce il tempo della battuta come quello della paura.
È una pellicola che ha il coraggio di dire: “Sì, il mondo è folle. Ma la follia, a volte, è più sincera della normalità.”
E lo fa trasformando un soggiorno borghese in un teatro dell’assurdo, dove i ruoli si invertono, le verità si nascondono nei bauli, e l’unica cosa che resta da fare è… ridere.
Perché, in fondo, l’arsenico non ha mai avuto un sapore tanto leggero.
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