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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo ormai a un punto avanzato dell’episodio “Eulogy”. Philip, dopo aver ripercorso decine di frammenti del suo passato con Carol attraverso l’esperienza immersiva proposta da A Guide, arriva finalmente al nodo che aveva evitato per tutto il tempo: il tradimento. E non si tratta solo di un evento accaduto, ma di un ricordo rimasto in ombra, rimosso o rielaborato per anni.
STAGIONE 7 EP 5
MINUTAGGIO: 25:10-27:13
RUOLO: Phillip
ATTORE: Paul Giamatti
DOVE: Netflix
INGLESE
Um, don't look at me like that. Like you are. I'm not looking at you like anything. Okay, so it was my birthday. I had a few drinks at work. Uh, not my idea. They were practically forcing shots on me. And Emma came back to the apartment, and, you know... Uh, we weren't... It was a dumb thing, okay? It was just a one-off thing. I mean, we'd... we'd have just regretted it, me and Emma, in secret. It wouldn't have been a big fucking deal if... If what? I mean, Carol never called. Couldn't afford to. But this night, she gets up early and called to sing me "Happy Birthday," and Emma answers the call. I don't know why. Anyhow, shit hit the fan. Me and Carol screaming at each other down the line. She yelled all kinds of sh*t. I yelled all kinds of sh*t back. [SIGHS] Just ugly, scorched-earth stuff. Ugly. She hung up on me. Or I hung up on her. I don't know. I can't fucking remember. But, yeah, anyway, not good.
ITALIANO
Non guardarmi in questo modo, con quello sguardo. Ok, allora, era il mio compleanno, avevo bevuto al lavoro. Non era stata una mia idea, mi avevano costretto a scolarmi di tutto. Ed Emma tornò a casa insieme a me, insomma… noi non eravamo… quella fu solo una stupidaggine, ok? E successe solamente quella volta. Una cosa di cui avremmo finito per pentirci, io ed Emma di nascosto. Non sarebbe diventata una cazzo di tragedia, se… Se Carol non avesse chiamato. Non poteva permetterselo, le intercontinentali costavano una fortuna. Ma quella notte si era alzata presto e mi aveva chiamato per cantarmi tanti aguri. E fu Emma a rispondere, non so perché… Comunque, scoppiò un casino. Io e Carol ci urlammo contro al telefono. Lei mi trattò di merda, e io feci lo stesso con lei. Cose terribili e… imperdonabili. Terribili. Mi attaccò il telefono in faccia, o forse lo feci io, non lo so. Che cazzo, non me lo ricordo. Ma si, comunque… non fu bello.
“Eulogy”, episodio della sesta stagione di Black Mirror, è una riflessione chirurgica e intima sul lutto mediato dalla tecnologia. L’episodio prende il dolore grezzo della perdita e lo incapsula in un'esperienza digitale, portando lo spettatore a chiedersi: cosa resta di una persona quando ne restano solo le immagini? Philip è un uomo che si muove in slow motion. Da quando Carol, la sua compagna, è morta in un incidente stradale (di cui inizialmente sappiamo pochissimo), il tempo per lui è diventato qualcosa da riavvolgere, non da vivere. La sua casa è silenziosa, ma piena di tracce: fotografie, oggetti, post-it scritti a mano, dettagli apparentemente neutri che per lui sono testimonianze vive.
L’agenzia “A Guide” entra in scena con una proposta tanto affascinante quanto inquietante: rivivere i momenti passati con Carol attraverso un software alimentato da intelligenza artificiale, capace di ricostruire un’intera narrazione affettiva a partire dalle fotografie scattate nel corso della loro relazione.
Da qui, l’episodio si muove su due binari: da una parte abbiamo l’immersione nei ricordi, con sequenze che sembrano sogni lucidi; dall’altra, il progressivo disvelamento di ciò che davvero è accaduto tra Philip e Carol.
Il dispositivo tecnologico che regge l’intero episodio non è solo uno strumento narrativo, è un personaggio. L’IA che guida Philip non è mai invadente, ma ha una presenza costante. Non parla troppo, ma ascolta tutto. Fa domande, propone immagini, ricostruisce emozioni. Ha l’aria di un terapeuta gentile, ma senza volto.
Quello che inizia come un percorso per creare un’eulogia personalizzata si trasforma lentamente in una seduta di autoanalisi dove la macchina non giudica, ma registra.
“Non guardarmi in questo modo, con quello sguardo.” Philip vede Carol. O almeno crede di vederla. È immerso nell’esperienza artificiale, ma il livello emotivo è reale. Quello “sguardo” non esiste, ma per lui è come se fosse lì. E questo ci dice quanto sia coinvolto psicologicamente nel ricordo, quanto abbia bisogno di giustificarsi. Non con l’intelligenza artificiale. Con lei.
“Era il mio compleanno, avevo bevuto al lavoro. Non era stata una mia idea…” Philip cerca una narrativa che lo alleggerisca di responsabilità: era il suo compleanno, aveva bevuto, è stato “costretto”. È un modo per abbassare la colpa prima ancora di raccontare il fatto. “Emma tornò a casa insieme a me, insomma… noi non eravamo…” C’è un’interruzione continua, come se non riuscisse a dire chiaramente cosa sono stati lui ed Emma. Questo tentennamento rende il discorso più vero, più umano. Sta cercando di proteggere Carol da una verità che però sta già dicendo.
“Una cosa di cui avremmo finito per pentirci… io ed Emma di nascosto.” La frase chiave è di nascosto. Perché non è solo il tradimento a pesare, ma la consapevolezza che è stato un atto deliberatamente tenuto nascosto. È lì che nasce la vergogna, più che nella colpa stessa.
“Non sarebbe diventata una cazzo di tragedia, se… Se Carol non avesse chiamato.”
Qui si apre una frattura. Philip smette di parlare come vittima e inizia – anche se solo per un attimo – a rovesciare la responsabilità. Quel “non sarebbe diventata una tragedia” suggerisce che, in un angolo della sua mente, ha sempre pensato che le cose sarebbero potute rimanere sepolte. Il problema, per lui, non è il tradimento… è che è venuto fuori.
“Non poteva permetterselo, le intercontinentali costavano una fortuna. Ma quella notte si era alzata presto e mi aveva chiamato per cantarmi tanti auguri”. Questa parte è straziante. Carol compie un gesto tenero, quasi poetico: svegliarsi in piena notte, spendere soldi che non ha, solo per cantare “Tanti auguri” al telefono. E proprio in quel momento cade tutto. Il contrasto tra la dolcezza del gesto e la brutalità della scoperta è devastante. Per Carol, ma anche per noi spettatori.
“E fu Emma a rispondere, non so perché…” Qui Philip inizia a vacillare. Non sa più distinguere se sta raccontando la verità o se la sta ricostruendo. È un effetto diretto della memoria contaminata. Ed è anche un indizio: il senso di colpa ha oscurato dettagli, ha sporcato tutto. “Io e Carol ci urlammo contro al telefono. Lei mi trattò di merda, e io feci lo stesso con lei. Cose terribili e… imperdonabili.” Questo è il momento di maggiore lucidità. Non minimizza più, non cerca più attenuanti. È chiaro che la telefonata è stata un punto di rottura definitivo. Un’esplosione emotiva in cui sono uscite le cose più brutte che ci si possano dire. E qui Philip tocca il fondo del proprio pentimento.
“Terribili. Mi attaccò il telefono in faccia, o forse lo feci io, non lo so. Che cazzo, non me lo ricordo.” Quando il dolore è troppo forte, la memoria si deforma. E questo è esattamente il nodo dell’intero episodio: possiamo davvero fidarci dei nostri ricordi, quando il nostro io passato è così diverso da quello che siamo oggi?
“Ma sì, comunque… non fu bello.” Dopo aver raccontato un momento traumatico, usa una frase quasi casuale, quotidiana. È il tono di chi è esausto, svuotato. L’ammissione finale non è in ciò che dice, ma in come lo dice: non cerca più di convincere, è solo un uomo disfatto dalla consapevolezza.
Questo monologo è il cuore di Eulogy. Non perché riveli un colpo di scena, ma perché mostra il momento esatto in cui Philip si arrende alla realtà. È la resa emotiva di un uomo che ha passato anni a rimuovere un evento scomodo, a reinterpretarlo, a nasconderlo anche a se stesso. Ma ora, di fronte a una memoria ricostruita e rimontata da una macchina, non può più scappare.
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