F1 – Il Monologo di Sonny Hayes: Analisi della Scena Chiave con Brad Pitt

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo che Sonny Hayes (interpretato da Brad Pitt) rivolge a Kate McKenn è un momento di trasparenza totale in F1, di quei pochi che i piloti (e gli uomini) si concedono solo quando capiscono che non c’è più nulla da dimostrare. Siamo nella parte centrale del film, quando le tensioni tra Sonny e Joshua sono esplose e la APXGP è ancora un cantiere tecnico ed emotivo. Il dialogo avviene in un momento di quiete, probabilmente in un garage semivuoto, nel cuore della notte — o almeno così è la sensazione che lascia.

Qui Sonny parla di identità, il trauma, la ricerca. E lo fa con una voce che non è più quella dell’arrogante ventenne che voleva spaccare il mondo, ma quella di un uomo ferito che ha imparato a riconoscere ciò che conta davvero.

Io volo

MINUTAGGIO: Circa 1:40:00
RUOLO: Sonny

ATTORE: Brad Pitt

DOVE: Al cinema!

ITALIANO

Ero un futuro campione del mondo, il migliore di tutti i tempi. Sono lì, in bilico in pista, con i miei idoli: Senna, Madsen, Rost e sono tanto veloce. Non ho paura. Ero il prossimo. E poi… mi hanno portato tutto via. Ho perso il mio posto, i soldi. Ho perso la testa… ho perso me stesso, di fatto. Sono diventato arrabbiato, rancoroso, un coglione. Io… è un periodo di cui non vado molto fiero. Ma un giorno ho capito che cosa avevo e perso e non erano i titoli o i trofei… i record… era il mio amore per le corse. E mi sono messo a guidare. Non mi importava la macchina, il circuito, non mi serviva il pubblico, perché finché ero al volante stavo bene. Certe volte mi… è raro, ma certe volte c’è un momento in cui nella macchina a un tratto tutto tace. Il mio cuore batte lento, c’è pace. E riesco a vedere tutto, e nessuno. Nessuno può toccarmi. E io seguo quel momento ogni volta che salgo in macchina. Non so quando lo ritroverò, ma so bene quanto lo voglio. Lo voglio trovare. Perché in quel momento io volo. 

F1

Sonny Hayes è l’emblema del talento bruciato troppo in fretta. Un pilota americano che sembrava destinato a dominare la scena della Formula 1, si ritrova improvvisamente tagliato fuori dopo un incidente a Imola, un riferimento non casuale, tra l'altro, considerando quanto tragica sia stata quella stagione per la F1 reale. Dopo lo schianto, Sonny sparisce dalle piste che contano, rintanandosi in categorie minori e in una sorta di esilio personale su ruote, in cui alterna corse endurance a momenti in cui la passione è l’unica cosa che lo tiene in movimento. Trent’anni dopo, la sua vita è quella di un uomo che vive in un furgone, ma che ha ancora il fuoco negli occhi. Ruben Cervantes, ex compagno di scuderia diventato ora team principal della Expensify APXGP, bussa alla sua porta. La squadra è sull’orlo del fallimento: non ha ancora totalizzato un punto e il consiglio d’amministrazione vuole la sua testa. Ruben, in un gesto disperato, gli chiede non solo di tornare al volante, ma anche di fare da chioccia a Joshua Pearce, un giovane talento con tanta velocità ma zero disciplina. Sonny rifiuta. Ma il richiamo del paddock è troppo forte.

A Silverstone, Sonny torna in F1. Non è solo un ritorno fisico: è il riemergere di tutto ciò che aveva seppellito – ambizione, vergogna, rivalità. Scopre subito quanto Joshua sia irruente e pieno di sé, in una versione moderna di quei piloti arroganti ma velocissimi che lo avevano accompagnato a inizio carriera. Kate McKenna, l’ingegnere capo, funge da punto d’equilibrio: è lei a credere nell’approccio tecnico e ragionato di Sonny, che guida più col cervello che col piede. Il rapporto tra i due piloti esplode nel caos alla prima gara: Sonny non fa passare Joshua, e finiscono entrambi fuori pista. Eppure, mentre la narrazione avrebbe potuto facilmente trasformare tutto in una rivalità da manuale, la sceneggiatura si prende il tempo per mostrare un Sonny che fa una scelta precisa: sacrificarsi. Inizia a correre non per vincere, ma per creare spazio al giovane. Sabota strategicamente le proprie gare per far entrare Pearce nei punti. Ma a Monza succede l’inevitabile: Joshua forza un sorpasso fuori tempo massimo, vola contro le barriere e si ferisce.

Con Joshua fuori uso, Sonny e il terzo pilota Luca Cortes si dividono il volante. Sonny collabora con Kate per ridefinire l’aerodinamica della monoposto: una sottotrama molto interessante che unisce la dimensione tecnica alla narrazione personale. Qui emerge la versione “professore” del personaggio: capace di rientrare nella F1 moderna non con muscoli e grinta, ma con intelligenza e consapevolezza. La APXGP comincia a guadagnare punti e credibilità. Quando le cose sembrano finalmente prendere una buona piega, scoppia lo scandalo: denuncia anonima per irregolarità sul telaio, telaio che aveva reso la vettura competitiva. Vengono costretti a ripristinare una versione meno performante. Sonny, frustrato e provato fisicamente (i traumi del '93 non lo hanno mai lasciato davvero), sbatte. In ospedale, Ruben scopre la verità sul suo stato di salute e lo solleva dall’incarico. Ma c'è un colpo di scena: Peter Banning, figura subdola del consiglio, propone a Sonny un posto nel management, gettando l’amo per un colpo di mano contro Ruben. Sonny collega i puntini e capisce che Banning è il mandante del sabotaggio.



L’ultima gara della stagione. Sonny convince Ruben a lasciargli un ultimo ballo, mentre i documenti che certificavano le irregolarità vengono smentiti: la monoposto può usare il nuovo telaio. Nella corsa finale, la APXGP combatte ad armi pari contro i top team. Pearce è competitivo, ma viene coinvolto in un contatto con Hamilton. Sonny, nonostante i dolori e i limiti fisici, prende la testa della gara. Lotta con Leclerc e, in un finale serrato, taglia il traguardo per primo. Dopo trent’anni, Sonny conquista la sua prima vittoria in F1. Non c’è bisogno di altri giri d’onore. Dopo i festeggiamenti, Sonny se ne va. Non c’è nessun discorso emozionante, nessun palco, nessuna cerimonia. Solo un breve scambio con Joshua, ora finalmente maturato, e poi via, verso la Baja 1000, ultima tappa di una vita sempre in corsa. Il film chiude non con la gloria ma con la coerenza: Sonny resta se stesso fino alla fine, un uomo che ha scelto la strada più lunga, più dura, ma autentica.

Analisi Monologo

Ero un futuro campione del mondo, il migliore di tutti i tempi.” L’incipit è diretto, quasi brutale. L’identità che si era costruito non era una possibilità, ma una certezza. Il tono, però, non è arrogante. È tragico. Perché quella certezza è stata portata via. Il nome di Senna, accanto a Madsen e Rost (personaggi fittizi ma evocativi), serve a collocarlo tra i giganti. Eppure, l’immagine si spezza. E poi… mi hanno portato tutto via.” Qui c'è lo scarto. Il fallimento non arriva per colpa sua, ma come una violenza esterna. Non si parla esplicitamente dell'incidente, ma è sottinteso. L’enumerazione che segue — “ho perso il mio posto, i soldi... me stesso” — è un crollo verticale. È il momento in cui il pilota si svuota. L’uso di “di fatto” dopo “me stesso” è sottile: è come se Sonny stesse ancora facendo i conti con quell’io perduto, come se non fosse mai del tutto tornato.

Sono diventato arrabbiato, rancoroso, un coglione.Il linguaggio si fa ruvido, quasi violento. Non c’è autoassoluzione. Questo è un uomo che ha capito dove l’ha portato il suo ego ferito: a rovinare se stesso e probabilmente chi aveva intorno. E subito dopo — come un cambio di marcia — arriva la svolta: Ma un giorno ho capito che cosa avevo perso e non erano i titoli o i trofei… era il mio amore per le corse.Ecco il nucleo del monologo. Sonny si è convinto per anni che quello che aveva perso erano le coppe, i podi, il prestigio. Ma il vero danno era un altro: aver smarrito l’amore puro per la guida. Questa è la vera redenzione, e arriva non con una vittoria, ma con la consapevolezza. Non mi importava la macchina, il circuito, non mi serviva il pubblico...” Qui il discorso si fa quasi spirituale. Sonny non corre più per essere visto, né per vincere. Corre perché guidare è l’unico posto dove può sentirsi bene. In un mondo che lo ha tagliato fuori, la macchina diventa l’unico spazio possibile. E la frase successiva è il vertice del monologo:

Certe volte... è raro, ma certe volte c’è un momento in cui nella macchina a un tratto tutto tace.Questa immagine è potentissima. Un pilota che vive nel frastuono trova pace nel silenzio. Il cuore rallenta, la mente si svuota, il tempo si dilata. È uno stato mentale — simile al “flow” degli atleti — ma descritto con una sensibilità quasi poetica. E riesco a vedere tutto, e nessuno. Nessuno può toccarmi.Sonny descrive un momento di inviolabilità emotiva. Quella frazione di secondo in cui si sente sospeso, intoccabile. È lì che cerca ogni volta di tornare. Non è la vittoria che insegue. È quello stato, quella purezza. Non so quando lo ritroverò, ma so bene quanto lo voglio. Lo voglio trovare. Perché in quel momento io volo.Il finale è struggente. Non c’è certezza, non c’è destino. C’è desiderio, c’è fame. Volare, per Sonny, non è più legato al podio. È una condizione interiore. E in quel “volo” c’è tutto: liberazione, padronanza, leggerezza.

Conclusione

Questo monologo è il cuore di F1. Non è una scena da trailer, non è fatta per esaltare, ma per scavare. È qui che capiamo chi è davvero Sonny Hayes. Non un ex-campione, non un vecchio rientrato in gioco, ma un uomo che ha dovuto toccare il fondo per ricordare cosa significava amare qualcosa per davvero. In un film che parla di corse, velocità, team e vittorie, questo è il momento in cui tutto si ferma.

E lì, nel silenzio, Sonny vola.

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