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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo arriva all’inizio dell’addestramento nella GT Academy, quando Jack incontra per la prima volta il gruppo di videogiocatori selezionati per provare a diventare piloti. Il contesto è fondamentale: ci troviamo davanti a ragazzi che arrivano dal mondo virtuale, alcuni pieni di entusiasmo, altri un po’ arroganti, quasi tutti ignari di cosa li aspetta davvero.
MINUTAGGIO: 32:10-34:00
RUOLO: Jack Salter
ATTORE: David Harbour
DOVE: Netflix
INGLESE
Uh, this is not a game. Racing. It takes strength. It takes tremendous will, intelligence, sensitivity. There’s only a handful of people in the entire world who can do it at the level that you’re gonna be asked to do it. When you’re in a race, the g-forces will be twice what an astronaut experiences upon lift-off. And it’s under these conditions that you’re gonna be forced to make split-second decisions that could cost you your life. Or worse, you could kill someone else. These are incredible stakes. And if you’re not willing to risk it, I want you to walk away. There’s absolutely no shame. ‘Cause if you stay, I’m gonna push you harder than you have ever been pushed, and I am gonna prove that you don’t have what it takes. Because to take one look at any of you, I can already tell that you don’t. Welcome.
ITALIANO
Questo non è un gioco. Le corse richiedono forza, grande volontà, intelligenza, sensibilità. C’è solo una manciata di persone in tutto il mondo che è in grado di farcela al livello che richiedono a voi. Durante una gara, l’Accelerazione sarà il doppio di quella che sperimenta un astronauta durante il decollo. Ed è in queste condizioni che sarete costretti a prendere decisioni in una frazione di secondo che potrebbero costarvi la vita, o peggio, potreste uccidere qualcun altro. La posta in gioco è altissima. E se non siete disposti a rischiare, voglio che ve ne andiate. Non è una vergogna mollare. Perché se resterete io vi spingerò più di quanto non siate stati spinti, e dimostrerò che voi non avete ciò che serve, perché a me basta guardarvi per capire subito che non ce l’avete. Benvenuti.
“Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile” è uno di quei film che, almeno sulla carta, sembrano nati per essere una pubblicità mascherata. Invece, si rivela un prodotto ibrido interessante: da un lato un biopic sportivo, dall’altro un film d’iniziazione, con tutti i cliché del caso, ma girato con il gusto per l’azione tipico di Neill Blomkamp. Il film racconta la storia vera di Jann Mardenborough, un ragazzo britannico cresciuto giocando al simulatore Gran Turismo su PlayStation. Non è solo un appassionato: è un talento. Tanto che finisce per partecipare a un progetto audace e all’apparenza assurdo: la GT Academy, creata da Nissan e PlayStation con l’obiettivo di trasformare i migliori giocatori del videogioco in veri piloti da corsa.
Nel corso del film seguiamo l’evoluzione di Jann, da adolescente che lavora in un negozio e litiga col padre ex calciatore (interpretato da Djimon Hounsou), fino a diventare un pilota professionista e a correre nella 24 Ore di Le Mans. Il tono è quello del classico sport movie con un chiaro arco di trasformazione: il ragazzo sognatore, sottovalutato, che si ritrova in un mondo altamente competitivo e cinico, dovendo guadagnarsi ogni singolo metro di pista. La parte più forte è quella centrale, con l’addestramento e le tensioni interne alla GT Academy, dove spicca il personaggio di Jack Salter (David Harbour), ex pilota disilluso che diventa mentore di Jann. Il climax narrativo arriva con l’incidente al Nürburgring: qui il film cambia registro, diventando più cupo, toccando il tema della responsabilità morale, del trauma e della paura. È un passaggio fondamentale perché ridimensiona il sogno e lo rende concreto: Jann non è un supereroe. È un ragazzo che deve fare i conti con le conseguenze del suo sogno.
“Questo non è un gioco.” L’apertura è secca. Jack parte subito con una negazione netta. Il suo bersaglio sono le aspettative sbagliate che i ragazzi possono avere: se pensano che le corse siano una naturale estensione del videogioco, si sbagliano. E lui è lì per farli atterrare nella realtà fisica, brutale e pericolosa, delle corse vere. Dalla spensieratezza iniziale di Jann si passa ora alla dimensione della disciplina, della fatica e soprattutto del rischio.
“Le corse richiedono forza, grande volontà, intelligenza, sensibilità.” Qui Jack elenca le qualità fondamentali per un pilota, e sorprende il fatto che includa anche “sensibilità”. Questo è un lavoro mentale e percettivo. La sensibilità qui non è emotiva, è la capacità di sentire l’auto, la pista, i limiti. Non basta avere riflessi rapidi, bisogna sentire le vibrazioni del rischio.
Poi alza il livello: “Durante una gara, l’accelerazione sarà il doppio di quella che sperimenta un astronauta durante il decollo.” Non è un’iperbole da film, è un dato fisico reale. Serve a far crollare la barriera tra il virtuale e il concreto: nel simulatore si può resettare una corsa. Nella vita vera no. E questa frase è uno dei punti cardine del film: far sentire il peso reale del corpo, del pericolo, della scelta. “Dovrete prendere decisioni in una frazione di secondo che potrebbero costarvi la vita, o peggio, potreste uccidere qualcun altro.” Qui Jack tocca il tema più duro del film: la morte. Non lo fa con leggerezza, ma nemmeno con compassione. Lo dice in faccia, diretto, come un avvertimento. È il modo che ha per confrontare i ragazzi con la responsabilità assoluta del correre.
E c’è un altro passaggio fondamentale: “Non è una vergogna mollare.” Non c’è derisione, né umiliazione. Jack non vuole che restino per forza: vuole che restino solo quelli disposti a guardare in faccia il pericolo. E che lo facciano consapevolmente. Mollare, in questo contesto, non è vigliaccheria, ma lucidità. “Se resterete, io vi spingerò più di quanto non siate mai stati spinti, e dimostrerò che voi non avete ciò che serve.” Questa parte è una provocazione strategica. Jack sta cercando di capire chi reagisce. È una tecnica da istruttore militare: creare pressione, sfidare l’ego, spingere qualcuno a dimostrare il contrario. E non è per sadismo: Jack sa che la corsa vera è una selezione naturale. Meglio scoprirlo in pista ora che in piena curva a 280 km/h. “Benvenuti.” Chiude con questa parola che suona quasi come uno sberleffo. Dopo aver detto che la maggior parte di loro non ha quello che serve, li accoglie. È come se dicesse: “Se ci siete ancora dopo tutto questo, allora forse… avete qualcosa.”
Questo monologo è il rito di passaggio della GT Academy. Jack non sta solo dando un discorso di benvenuto: sta tracciando una linea. Da una parte c’è il mondo del videogioco, dell’immaginazione, del sogno facile. Dall’altra c’è la realtà, dove ogni curva è una scelta di vita o di morte. Il tono è duro, ma necessario. Serve a rompere la barriera tra il virtuale e il reale, a far emergere il senso profondo del film: correre non è uno spettacolo, è una forma di rischio assoluto che richiede coraggio, lucidità e rispetto.
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