Il monologo dell’Araldo in “I Fantastici Quattro – Gli inizi” (2025): l’annuncio della fine

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

A circa 20 minuti dall’inizio del film, I Fantastici Quattro – Gli inizi interrompe la costruzione del quotidiano — la famiglia, le relazioni, le dinamiche interne al team — e pianta con forza la bandiera della minaccia cosmica. Ed è qui che fa il suo ingresso l’Araldo di Galactus, interpretata da Julia Garner, in una scena che sa di annuncio funebre e rivelazione divina allo stesso tempo. Il monologo non è lungo, ma è denso. Il tono, la voce, il testo: tutto in questa scena comunica un punto di non ritorno. È la fine dell’innocenza per il mondo. È la coscienza della fine che bussa alla porta.

Franklin è mio figlio, ma anche la terra è la mia famiglia

MINUTAGGIO: 20:00-21:00
RUOLO: Araldo

ATTRICE: Julia Garner
DOVE: Al cinema



Siete voi i protettori di questo mondo? Il vostro pianeta è condannato a morte. Il vostro mondo verrà inghiottito dal divoratore. Non c’è niente che possiate fare per fermarlo. Perché lui è una forza universale, essenziale quanto le stelle. Abbracciate i vostri cari, e dite ciò che avevate paura di dire. Usate questo tempo per gioire e festeggiare, perché non ve ne resta molto. Io sono l’Araldo del suo inizio, l’Araldo della vostra fine… l’Araldo… Di Galactus.

I Fantastici 4 - Gli inizi: Trama con spoiler

Matt Shakman firma il ritorno dei Fantastici Quattro nel Marvel Cinematic Universe, aprendo la Fase Sei con un film che spinge il gruppo direttamente dentro un conflitto cosmico, ma che affonda le radici nel personale, nel familiare, nel fragile equilibrio tra genitorialità, responsabilità e paura dell’ignoto. Questo non è solo un film sulle origini: è un film sul confrontarsi con ciò che viene dopo. Con ciò che si è generato.

Siamo su Terra-828. Sono passati quattro anni da quando Reed, Sue, Johnny e Ben hanno ottenuto i loro poteri. Ma ciò che li rende davvero una squadra non è la mutazione, è l'intimità. Il film apre su una cena familiare, momento tenero e tranquillo che verrà subito travolto da qualcosa di molto più grande: Silver Surfer appare e annuncia l’arrivo imminente di Galactus, colui che consuma pianeti per sopravvivere.

Da qui si snoda una trama che alterna momenti da space opera pura a crisi interiori personali. Reed è ossessionato dal legame tra l’esposizione ai raggi cosmici e l'arrivo della creatura. Sue è incinta e, pur consapevole del pericolo, è determinata a portare avanti la gravidanza. Johnny resta il più impulsivo, ma comincia a mostrare sprazzi di responsabilità. Ben è il più terreno, il collante emotivo del gruppo. Il tono è quello di una tragedia familiare vestita da blockbuster.

Il viaggio verso Galactus li porta a una delle rivelazioni centrali del film: il divoratore non è solo affamato di pianeti – vuole il figlio di Sue, Franklin, che ancora non è nato. Lo percepisce. Lo sente. Questo bambino è una fonte di energia talmente potente da interferire persino con il metabolismo cosmico di Galactus. Ed è qui che il film comincia davvero a girare su un asse diverso: quello del destino, del sacrificio, del potenziale pericoloso del potere.

Sue partorisce durante un inseguimento spaziale, mentre il team fugge dalla macchina cosmica di Galactus. È una delle sequenze più tese e surreali dell’MCU finora: nascita e morte, creazione e distruzione si sovrappongono visivamente e tematicamente.

Ma il ritorno sulla Terra non porta sollievo. Dopo una disastrosa conferenza stampa, l'opinione pubblica si rivolta contro i Fantastici Quattro. Il mondo è paralizzato dalla paura e inizia a domandarsi: vale davvero la pena rischiare l’estinzione dell’intero pianeta per non sacrificare un neonato? Qui il film assume tonalità quasi politiche, con una narrazione che richiama certi film catastrofici anni ‘70 – e un tono cupo che spiazza.

I Fantastici 4 - Gli inizi: spiegazione del finale e scena post credit

È Franklin Richards, il vero punto di svolta del film. Non tanto come personaggio, quanto come concetto: lui è una forza latente. Il bambino è l’incarnazione del potere puro e dell’innocenza assoluta – un paradosso potentissimo in un film che parla proprio di responsabilità e destino.

Dopo il fallimento del piano di Reed, che prevedeva di spostare la Terra lontano dalla traiettoria di Galactus attraverso una rete di portali quantici, la squadra si gioca l’ultima carta: usare Franklin come esca per attirare Galactus nel portale rimasto operativo a Times Square. È un piano disperato: la città è deserta, evacuata. Aiutano anche vecchi alleati, come l’Uomo Talpa.

Ma il piano fallisce. Galactus riesce a prendere il bambino, e quando tutto sembra perduto, Sue si ribella. Usa i suoi poteri per trattenere Galactus abbastanza a lungo da farlo finire nel portale. Tutto questo costa caro: Sue Storm muore per lo sforzo.

E lì, in un momento completamente atipico per un cinecomic Marvel, il film si prende una pausa totale dal rumore. I superstiti – Reed, Ben, Johnny – si inginocchiano accanto a Sue, che giace senza vita. Franklin si appoggia al suo grembo. Ed è in quel momento che accade qualcosa che cambia tutto: la madre rinasce. La scena è costruita con una solennità quasi sacrale, evitando volutamente ogni tipo di effetto pirotecnico. Il risveglio è silenzioso. È Franklin ad averla salvata. Senza comprendere cosa stia facendo. E forse proprio per questo ci riesce.

Questa scena è il cuore concettuale del film. Franklin non è un’arma. È un miracolo. Un’energia che restituisce vita anziché distruggerla. In un universo dominato da esseri onnipotenti come Thanos, Celestiali, Galactus, vedere che la vera forza rigenerativa nasce da un bambino appena nato è un messaggio potente.

Epilogo – Il seme del destino

Quattro anni dopo. Sue è viva. Si prende cura di Franklin in una casa isolata, circondata da natura. L’aria è calma. Ma quando il bambino viene avvicinato da un uomo mascherato, col mantello verde, tutto cambia. È Victor Von Doom, e il modo in cui il film costruisce questo reveal è da manuale. Nessun dialogo. Nessuna spiegazione. Solo una maschera, un incontro tra il destino e ciò che verrà.

La Fase Sei si apre davvero qui.

I Fantastici Quattro – Gli inizi non è un film sulle origini nel senso classico. È un film che parla delle conseguenze. Di ciò che accade dopo che si ottiene un grande potere. Di come si affronta un mondo che cambia quando una nuova vita entra nella storia. Shakman costruisce un MCU che comincia a maturare: meno ironia, più dilemmi morali. E soprattutto, meno eroi perfetti e più famiglie imperfette. Il risultato? Un’introduzione densa, che non chiude nulla, ma apre tutto.

Analisi Monologo

“Siete voi i protettori di questo mondo?” 

La prima frase è una domanda che suona come una sentenza. L’Araldo si rivolge ai Fantastici Quattro con un tono freddo, distante, ma non privo di sarcasmo. La parola “protettori” è carica di ironia: chi può proteggere un mondo dalla morte certa? La scena funziona perché il monologo viene consegnato non come una minaccia personale, ma come un protocollo universale. L’Araldo non è lì per sfidare i protagonisti. È lì per annunciare un destino già scritto.

“Il vostro mondo verrà inghiottito dal divoratore” 

Qui entra in gioco uno dei temi centrali del film: l’idea che non tutto può essere fermato.


Galactus non è il “cattivo” da sconfiggere, non è l’antagonista con un piano malvagio. È una forza cosmica, assimilabile alla morte, al tempo, al cambiamento. Il monologo ce lo presenta come qualcosa che non ha volontà maligna, ma solo una funzione. “Essenziale quanto le stelle.” È una delle frasi più potenti del discorso. Non “pericoloso come una bomba”, ma necessario come una stella. Il film sta dicendo chiaramente: Galactus è parte dell’equilibrio cosmico. Non puoi sconfiggerlo con un pugno. Puoi solo decidere come affrontare la sua inevitabilità. Dite ciò che avevate paura di dire” 

Ed è qui che il monologo vira in qualcosa di più disturbante. L’Araldo invita a salutare, amare, festeggiare, perché il tempo è poco. È una carezza algida, quasi empatica, ma che arriva da una voce disumana. L’inquietudine nasce proprio da questo: l’Araldo non è crudele. È freddamente comprensiva. Come una macchina cosmica che ti dice “hai dieci minuti di autonomia: usali bene”.

“Io sono l’Araldo della vostra fine” 

L’ultima parte del monologo è quasi liturgica. Tre ripetizioni:

“Io sono l’Araldo del suo inizio, l’Araldo della vostra fine… l’Araldo… di Galactus.”

È un battito. Un rintocco di campana.

Conclusione

L’Araldo è lì per dire che tutto sta per finire, e che non c’è nulla da fare.

Ma il vero colpo arriva dopo: cosa fare con quell’informazione? Ed è lì che nasce il vero conflitto del film. Il monologo dell’Araldo non lancia una sfida, ma lascia una domanda sospesa nell’aria: cosa scegli di essere, sapendo che stai per sparire?

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