Monologo femminile - \"Ombre nell'acqua\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo, pronunciato dalla madre di Bronte durante una delle scene più tese e crude della serie "Ombre nell’acqua", è un momento che cambia drasticamente il tono del racconto. Da qui in poi, il dolore non è più sotterraneo: viene portato alla luce, con tutta la sua violenza e la sua disperazione. La madre di Bronte non ha mezzi termini, non ha filtri, e non vuole compassione. Vuole risposte. E ciò che rende questo monologo particolarmente potente è che, pur nella sua fragilità, si trasforma in un atto di accusa, di sfida, e di minaccia implicita. È una madre che cerca giustizia con i mezzi che ha: la voce, i soldi, la determinazione.

Chi ha ucciso mia figlia Bronte?

STAGIONE 1 EP 2

MINUTAGGIO: 1:01:14-1:05:34

RUOLO: Madre di Bronte

ATTRICE:

DOVE: Netflix

ITALIANO

Chi è stato? Chi ha fatto questo? Mia figlia è arrivata in questa città con il cuore aperto. Curiosa, fiduciosa. Gli ultimi momenti di Bronte sono stati orrendi. Non riesco neanche a immaginare quanta paura deve aver provato. So che state aspettando che vi chieda aiuto, quindi lo farò. Per favore, vi supplico, se qualcuno sa qualcosa su quello che è successo a mia figlia allora vi prego, ce lo dica. Vi prego. Sappiate però che io scoprirò chi è stato comunque. Non so da dove cominciare, però… pagherò chiunque lo sappia. Svuoterò i nostri conti, ipotecherò la casa, farò tutto quello che serve. La Polizia ha trovato il DNA di un uomo sul petto di nostra figlia, e nella sua bocca. E’ stato un uomo a farle questo. E quell’uomo potrebbe essere in questa sala, quindi… chiunque sappia qualcosa farebbe meglio a parlare subito.

Ombre nell'acqua

Ombre nell’acqua” è una miniserie che si presenta come un thriller psicologico, ma sotto la superficie si muove qualcosa di più profondo. La storia è quella di una comunità spezzata da lutti mai risolti, dove le emozioni sommerse – colpa, rancore, paura – affiorano lentamente, come relitti nel mare della memoria.

La serie – 6 episodi da 50 minuti ciascuno – è ambientata nella fittizia Evelyn Bay, una cittadina della Tasmania avvolta da una bellezza mozzafiato, ma segnata da un dolore stratificato. Il mare che circonda questo posto non è solo sfondo, è un confine liquido tra ciò che è stato e ciò che non si vuole ricordare. Al centro c’è Kieran Elliott (Charlie Vickers), un uomo che torna a Evelyn Bay con la compagna Mia (Yerin Ha) e la loro bambina. Il motivo ufficiale è assistere suo padre malato, ma sotto c’è molto di più: Kieran è sopravvissuto a un incidente marino che, quindici anni prima, ha ucciso suo fratello Finn e un altro giovane, Toby. In quella stessa notte, è sparita anche Gabby, un’adolescente che non è mai stata ritrovata. Il ritorno di Kieran coincide con un nuovo dramma: Bronte, una ragazza appena arrivata in città, viene trovata morta sulla spiaggia. Le due tragedie, separate da 15 anni, si intrecciano in modo inquietante. Bronte stava indagando proprio sulla scomparsa di Gabby. Aveva capito troppo.

Come ha dichiarato lo stesso creatore Tony Ayres, Ombre nell’acqua è prima di tutto un melodramma familiare, mascherato da crime. Il motore emotivo della serie non è l’investigazione, ma i rapporti umani, logorati e deformati dal tempo. Ogni personaggio è definito da un legame spezzato: Kieran vive con la colpa di essere sopravvissuto; Mia è una madre che teme che il passato del compagno possa inquinare la loro nuova famiglia; Trish, la madre di Gabby, non ha mai avuto un corpo su cui piangere; Julian, il padre di Sean e Toby, ha protetto uno dei figli a discapito della verità. Il giallo, in questo senso, diventa solo il dispositivo per svelare le dinamiche familiari, le fragilità mascherate, e la violenza del silenzio.

Il mistero principale ruota attorno alla sparizione di Gabby e all’omicidio di Bronte. Ciò che sembrava un banale incidente marittimo diventa un mosaico complesso:

Sean, amico di Kieran, aveva condotto Gabby nelle grotte. Dopo aver ricevuto un rifiuto, l’ha lasciata lì. Lei è annegata da sola.
Bronte, interessata al caso Gabby, capisce la verità e affronta Sean. Lui la uccide d’impulso e ne nasconde il corpo.
Julian, pur di non perdere un altro figlio, nasconde la verità per 15 anni.

Analisi Monologo

Il monologo è costruito come una progressione incalzante, quasi a salire di tono, come un urlo che parte sommesso e diventa insostenibile. La madre di Bronte non è solo un personaggio secondario che piange una perdita: diventa la coscienza collettiva di Evelyn Bay.

“Chi è stato? Chi ha fatto questo?”

Si apre con una domanda secca, diretta. L'interrogativo non è per sé stessa, ma è una sfida lanciata a chi è presente. La madre non cerca conforto. Sta reclamando verità. È un’apertura che richiama quasi una formula da tragedia greca: la comunità è chiamata a rispondere, a esporsi.

“Mia figlia è arrivata in questa città con il cuore aperto. Curiosa, fiduciosa.”

In questa frase c’è la contrapposizione più feroce dell’intero discorso: l’innocenza contro la crudeltà. Bronte viene presentata per quello che era: una ragazza che non cercava guai, ma verità. Il contrasto serve ad amplificare l’ingiustizia di ciò che le è accaduto. Gli ultimi momenti di Bronte sono stati orrendi. Non riesco neanche a immaginare quanta paura deve aver provato.”

Qui il dolore personale esplode. Non è solo un lamento: è una visualizzazione cruda del trauma. Il monologo costringe chi ascolta a non nascondersi dietro il “non so”, il “non ho visto”. Le parole fanno male, perché tolgono ogni possibilità di ignorare. “Vi supplico, se qualcuno sa qualcosa... ce lo dica. Sappiate però che io scoprirò chi è stato comunque.” Questo è il punto di svolta. La supplica si trasforma in determinazione. In questa frase si muove tutta l’ambivalenza del personaggio: è distrutta, ma ancora pericolosa. Sta offrendo un’ultima possibilità di collaborazione prima di passare alla guerra. C'è un’energia quasi vendicativa, ma senza rabbia cieca: è razionale, concentrata, quasi gelida. “Pagherò chiunque lo sappia. Svuoterò i nostri conti, ipotecherò la casa...”

Qui il monologo prende una piega pratica, concreta. La madre non si affida alla polizia o alla giustizia istituzionale: si rivolge direttamente ai presenti. Sta trasformando il dolore in azione. È una discesa nel campo della giustizia privata, e questo rende tutto ancora più inquietante. “La Polizia ha trovato il DNA di un uomo sul petto di nostra figlia... E quell’uomo potrebbe essere in questa sala.” La chiusura è come una bomba lanciata nella sala. Non è più un discorso di cordoglio, ma un atto accusatorio in piena regola. La donna rivela dettagli forensi, spezza ogni possibile illusione di sicurezza. Qui la minaccia diventa esplicita: non siamo più al sicuro nemmeno tra di noi.

Conclusione

Il monologo della madre di Bronte è uno dei momenti più emotivamente disturbanti di Ombre nell’acqua, ma anche tra i più incisivi. Rappresenta il passaggio da un dolore privato a una tensione pubblica. È l’istante in cui il mistero smette di essere “il passato della città” e diventa una ferita aperta nel presente. La forza di questo discorso non sta nella sua struttura retorica, ma nella sua nudità emotiva. È l’urlo di chi non ha più nulla da perdere. E in una serie che parla di fantasmi del passato, questa madre diventa il fantasma vivente che costringe tutti a guardarsi allo specchio.

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