Monologo maschile - Alfred Molina in \"Frida\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Diego Rivera, interpretato da Alfred Molina, arriva in una delle sequenze più emotivamente toccanti di Frida di Julie Taymor. È un momento di riflessione, riconoscimento e lode, in cui Diego si stacca dal ruolo di compagno controverso per assumere quello di testimone e interprete dell’arte di Frida Kahlo. Qui non parla l’uomo, il marito, l’amante — parla l’artista, il collega, l’osservatore profondamente colpito da un talento che lo supera.

Venerazione per Frida

MINUTAGGIO: 1:52:34-1:54:30

RUOLO: Diego

ATTORE: Alfred Molina

DOVE: Netflix

ITALIANO

E vedo una ragazzina magra con delle grandi sopracciglia che mi urla: “Diego, voglio mostrarti i miei dipinti”. Ma naturalmente sono dovuto scendere io per vederli. Li ho guardati e… non ho mai più smesso. Ma io voglio parlare di Frida non come marito ma come artista. Ed estimatore. La sua opera è aspra e tenera. Dura come l’acciaio. Delicata come ali di farfalla. Gentile come un sorriso. E crudele come l’amarezza della vita. E io… io non credo che… ci siano state donne prima di lei che abbiano infuso una poesia così straziante sulla tela.

Frida

Frida (2002), diretto da Julie Taymor, è un film biografico incentrato sulla vita della pittrice messicana Frida Kahlo, interpretata da Salma Hayek. Ma attenzione: non è un semplice racconto cronologico degli eventi salienti della sua vita. È un’opera che cerca di fondere la biografia con l’arte della sua protagonista, mescolando realtà, sogno, dolore fisico e visione artistica in un flusso continuo. E qui vale la pena approfondire. La storia inizia nella Città del Messico negli anni ’20. Frida è una giovane studentessa vivace e ribelle, già fortemente anticonvenzionale. La sua vita cambia radicalmente nel 1925, quando viene coinvolta in un grave incidente d'autobus. Un corrimano le trapassa il corpo: è un trauma devastante, che la condannerà a una vita di dolore fisico costante. Ma è anche l'inizio di qualcosa.

Uno dei fulcri emotivi e narrativi è il suo rapporto con il pittore Diego Rivera (interpretato da Alfred Molina). Si incontrano quando Frida va a mostrargli i suoi quadri per un parere. Diego ne riconosce il talento, ma tra loro nasce qualcosa di più di un’intesa artistica. Si sposano, ed è l’inizio di un legame turbolento, fatto di ammirazione reciproca, infedeltà, gelosia e collaborazione. Il loro matrimonio è raccontato come un continuo tira e molla tra libertà e possesso. Diego tradisce spesso Frida (compresa una relazione con la sorella di lei), ma anche Frida ha le sue relazioni, incluse alcune con donne, che il film non censura. Non si cerca la santificazione, né del loro amore né dei personaggi. Si mostra la complessità.

C’è un altro asse portante nel film: la politica. Frida e Diego sono comunisti dichiarati. La loro casa diventa un punto di ritrovo per intellettuali e dissidenti. In una delle sequenze più significative, ospitano Lev Trotsky, esiliato dall’Unione Sovietica, interpretato da Geoffrey Rush. Frida ha anche una breve relazione con lui, a sottolineare la sovrapposizione costante fra ideologia, desiderio e arte. In parallelo, c’è il corpo. Sempre presente. Il dolore fisico che Frida sopporta per tutta la vita – interventi chirurgici, busti ortopedici, aborti, amputazioni – non è mai separato dalla sua identità. Anzi: viene costantemente integrato nei suoi quadri, come un linguaggio alternativo.

Questo stile è un tentativo di rappresentare la coscienza della protagonista. Non tanto chi era Frida Kahlo, ma come vedeva il mondo Frida Kahlo. Il film si chiude con l’ultima fase della vita di Frida: il declino fisico, la solitudine, il ritorno all’arte come ultimo rifugio. Quando finalmente riesce a organizzare una mostra in Messico, si presenta... su un letto, portata in barella. È il suo trionfo, ma anche la sua ultima apparizione pubblica. Poco dopo morirà, nel 1954. L’ultima immagine è significativa: il volto di Frida in uno dei suoi autoritratti, che lentamente prende fuoco, mentre sentiamo le sue parole tratte dai suoi diari. Una chiusura che parla di autodistruzione, di immortalità, e di arte come combustione personale.

Analisi Monologo

“E vedo una ragazzina magra con delle grandi sopracciglia che mi urla: ‘Diego, voglio mostrarti i miei dipinti’.”

Il ricordo del primo incontro è raccontato con un tono quasi nostalgico, tenero. La descrizione è precisa: “magra”, “grandi sopracciglia”. L’occhio di Diego è visivo, dettagliato da pittore, prima ancora che da uomo. Ma quel “mi urla” è fondamentale. Frida non chiede, rivendica. È la ragazza che vuole essere vista. E Diego la vede. Letteralmente: scende per guardare i quadri. C’è qualcosa di mitologico in questo inizio. Un’epifania. Un “prima e dopo”. Questo passaggio sottolinea anche una cosa importante: Diego non scopre Frida. È Frida che si impone. Sin da subito. Li ho guardati e… non ho mai più smesso.” Frase semplice, ma potente. Diego non ha solo osservato quei dipinti: li ha portati con sé per tutta la vita. È una dichiarazione d’amore, certo, ma è anche una resa.
Da quel momento, la visione del mondo di Frida è diventata parte della sua. Questo è il nodo: non si tratta solo di passione o attrazione, ma di trasformazione reciproca.

“Ma io voglio parlare di Frida non come marito ma come artista. Ed estimatore.”

Qui Diego cerca di prendere distanza, di togliersi di mezzo, di rendere il discorso oggettivo. Ma è una distanza solo apparente. Perché il punto di vista resta intimo, personale, immerso nel rapporto. È interessante che usi la parola “estimatore”, un termine misurato, quasi accademico. È come se volesse trattenere l’enfasi… per poi lasciarla esplodere nelle righe successive. “La sua opera è aspra e tenera. Dura come l’acciaio. Delicata come ali di farfalla. Gentile come un sorriso. E crudele come l’amarezza della vita.”  Diego costruisce una serie di contrasti per definire l’arte di Frida: aspra e tenera, dura e delicata, gentile e crudele. Ogni coppia di aggettivi mette insieme forze opposte, come a dire che l’opera di Frida contiene gli estremi della vita senza cercare di armonizzarli. Li mostra. Li tiene insieme. È un riconoscimento raro: Diego ammette che la sua arte, pur più “grande” nel sistema, non arriva alla forza viscerale di quella di Frida. “Io… io non credo che ci siano state donne prima di lei che abbiano infuso una poesia così straziante sulla tela.”

Diego inciampa, balbetta. Il doppio “io” non è casuale. È come se sentisse il peso di quello che sta dicendo. Questa è forse la dichiarazione più radicale del monologo: Frida ha fatto qualcosa che nessuna donna prima di lei aveva fatto. Non è solo una pittrice. È una poetessa del dolore. E Diego, uomo che ha avuto mille donne e mille ammiratori, qui si mette in ginocchio, come spettatore.

Conclusione

Questo monologo è la forma più alta di rispetto che Diego possa offrire a Frida: il riconoscimento della sua superiorità poetica, della sua capacità di trasfigurare il dolore in arte senza addolcirlo, senza elevarlo, ma tenendolo vero, vivo, crudo. Ogni parola sembra scelta a fatica, come se venisse da un luogo intimo che Diego fatica a frequentare.. È un atto di ammirazione che sconfina nella resa. E nella narrazione del film, questo momento riscatta Diego, almeno in parte. Lo mostra capace di mettersi da parte, di diventare spettatore di qualcosa che lo trascende: l’opera – e la persona – di Frida Kahlo.

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