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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo in una fase centrale di "Hustle". Bo ha cominciato ad allenarsi sotto la guida di Stanley, ma non sta reggendo la pressione. Ha avuto una giornata storta, i dubbi riaffiorano, e quella parte di lui che ha sempre creduto di "non essere abbastanza" sta tornando a galla. Stanley lo vede crollare e interviene. Non con una carezza, ma con un richiamo alla realtà. Quello che dice non è retorica motivazionale: è il cuore della sua filosofia. È anche, a ben vedere, il suo stesso riflesso. Perché Stanley non sta solo parlando a Bo. Sta parlando anche a sé stesso, a quell’ossessione che lo ha portato fino a lì.
MINUTAGGIO: 50:00-51:00
RUOLO: Stanley
ATTORE: Adam Sandler
DOVE: Netflix
INGLESE
You come all this way, have one bad day, and you’re ready to back down? Do you love this game? Love it with your whole heart? Because if you don’t, let’s not even bother. Let’s not open that door. They’re gonna slam it right in our face. I love this game. I live this game. And there’s 1,000 other guys waiting in the wings who are obsessed with this game. Obsession is gonna beat talent every time. You’ve got all the talent in the world, but are you obsessed? Is it all you ever think about? Let’s face it, it’s you against you out there. When you walk on that court, you have to think, “I am the best guy out there.” “I don’t care if LeBron’s playing.” So let me ask you again. Do you love this game? Do you want to be in the NBA? Yes! Let’s make that happen. Never back down.
ITALIANO
E’ questo quello che vuoi? Sei arrivato fin qui e dopo la prima brutta giornata vuoi già mollare tutto? Ami questo gioco? Insomma, lo ami con tutto il cuore? Perché se non è così non vale la pena parlarne. Non apriremo una porta che ci sbatteranno dritta in faccia. Io amo questo gioco. Io vivo per questo gioco. Ci sono altri mille ragazzi che aspettano dietro le quinte che sono ossessionati da questo gioco. L’ossessione batte il talento, lo batterà sempre. Tu hai tutto il talento del mondo, ma hai anche l’ossessione? E’ l’unica cosa a cui pensi? Ascoltami, lì fuori sei tu contro te stesso. Quando entri in quel campo, devi pensare io sono il miglior giocatore qui dentro, anche se hai LeBront come avversario. Te lo chiedo di nuovo, tu ami questo gioco? Vuoi entrare a far parte dell’NBA? Beh, allora diamoci da fare. Mai mollare, chiaro?
Hustle, il film del 2022 diretto da Jeremiah Zagar e prodotto da LeBron James e Adam Sandler, che qui è anche protagonista. È un film che mette al centro il basket, ma non si limita a raccontarlo come sport: lo usa come motore narrativo per parlare di seconde possibilità, ossessione, fallimenti e redenzione. Il film segue Stanley Sugerman, uno scout di lungo corso per i Philadelphia 76ers. Stanley è stanco di stare in viaggio, lontano dalla moglie Teresa (interpretata da Queen Latifah) e dalla figlia. Il sogno è quello di smettere con la vita da scout e passare al ruolo di allenatore. Ha lavorato una vita per guadagnarsi quella promozione, e quando finalmente arriva, sembra tutto girare per il verso giusto. Ma dura poco.
Dopo la morte del proprietario dei 76ers, Rex Merrick, la guida della squadra passa al figlio Vince, che ha una visione diversa. Vince non crede in Stanley come coach e lo rispedisce in strada come scout. È una doccia fredda, ma è anche il momento in cui il film cambia marcia. Durante un viaggio in Spagna, Stanley assiste a una partita di strada e lì scova Bo Cruz, un talento grezzo con un istinto e un atletismo fuori dal comune. Bo vive con la madre e la figlia, lavora come operaio e ha un passato turbolento. È uno sconosciuto, fuori dai radar della NBA, ma Stanley vede in lui qualcosa che va oltre le statistiche.
Nonostante il rifiuto di Vince Merrick di puntare su Bo, Stanley decide di rischiare tutto. Torna negli Stati Uniti portandolo con sé, si indebita, si licenzia, allena Bo in prima persona. Qui si entra nel cuore tematico del film: l’allenamento, la costruzione mentale e fisica dell’atleta, l’uomo che lotta contro le proprie ombre e contro un sistema che non lo vuole. Bo ha talento, ma si porta dietro un passato che pesa. Una rissa lo aveva quasi messo fuori gioco e ancora oggi quella rabbia rischia di fargli perdere il controllo. Stanley, da parte sua, è ossessionato dal successo di Bo perché è l’unico modo che ha per tornare a galla. Il film segue il percorso accidentato di entrambi, tra prove fallite, tentativi di inserirsi nei meccanismi dell’NBA e momenti di crisi. La tensione narrativa è tutta costruita su questo: ce la farà Bo a farsi notare dagli scout? E Stanley riuscirà a riconquistare un ruolo nel mondo del basket che conta?
"E’ questo quello che vuoi? Sei arrivato fin qui e dopo la prima brutta giornata vuoi già mollare tutto?" L’apertura è diretta, quasi brutale. Stanley non ha intenzione di consolare. Sta testando la determinazione di Bo. Questa frase è la prima spinta, come se volesse togliergli l’alibi del fallimento precoce. È un modo per provocare una reazione. "Ami questo gioco? Insomma, lo ami con tutto il cuore?" Qui si entra nel nocciolo emotivo. Stanley alza l’asticella: non basta amare il basket “in generale”, serve viverlo come una vocazione. Il cuore, non il talento, è il vero metro di misura. "L’ossessione batte il talento, lo batterà sempre." Questa è la frase. Il manifesto del film. Una dichiarazione che si oppone alla mitologia del “dono naturale”. Per Stanley (e per il film), non è chi ha più talento a emergere, ma chi è disposto a sacrificarsi, a vivere in funzione di quell’obiettivo. Il concetto di ossessione viene elevato a valore, ma attenzione: non viene glorificato. È visto come necessario, sì, ma anche pericoloso, quasi come una malattia che va controllata. "Tu hai tutto il talento del mondo, ma hai anche l’ossessione? È l’unica cosa a cui pensi?" Questo è l’apice della sfida. Stanley vuole capire se Bo è disposto a scommettere tutto. In quella frase c’è la consapevolezza che il talento da solo non basta. È un modo per smascherare la pigrizia emotiva, quella che ti fa fermare al primo ostacolo.
"Quando entri in quel campo, devi pensare io sono il miglior giocatore qui dentro, anche se hai LeBron come avversario." Questa è la parte più concreta: la mentalità da costruire. Non basta esserlo, bisogna crederci. Anche quando l’evidenza dice il contrario. È qui che il monologo passa da essere ispirazionale a strutturale: non ti sta solo motivando, ti sta dando le istruzioni per come sopravvivere a quel mondo. "Te lo chiedo di nuovo, tu ami questo gioco? Vuoi entrare a far parte dell’NBA? Beh, allora diamoci da fare. Mai mollare, chiaro?" Il finale è un cerchio che si chiude. La domanda torna, ma stavolta pretende una risposta. Non c’è più spazio per i tentennamenti. Non è più un incoraggiamento: è una dichiarazione di guerra. O dentro o fuori.
Questo monologo funziona perché è sincero. Non è una lezione morale, è un confronto tra due uomini che sanno cosa significa fallire. È un passaggio di testimone tra un uomo che ha visto sfumare la sua occasione (Stanley) e un ragazzo che ha ancora un’occasione da giocarsi (Bo). Il linguaggio è schietto, senza fronzoli. La parola chiave è ossessione, e il film costruisce tutta la sua struttura narrativa intorno a questo concetto: l’ossessione come forza creativa, ma anche come rischio. Stanley non sta dicendo “ce la puoi fare”. Sta dicendo “se non dai tutto, è inutile anche provarci”.
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