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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è una piccola gemma emotiva del primo Spider-Man di Sam Raimi (2002), recitato da Tobey Maguire. È una scena che non grida, non esplode, non salva nessuno da un palazzo in fiamme. Ma è lì che capiamo chi è Peter Parker. Andiamo con ordine. Siamo verso la fine del film. Peter Parker è seduto con Mary Jane Watson, la ragazza che ama da sempre. Lei gli racconta di una conversazione avuta con Spider-Man (senza sapere che è lui). Peter, nel tentativo di mantenere il segreto ma allo stesso tempo aprirsi, le "racconta" ciò che Spider-Man prova per lei. Ma ovviamente, sta parlando di sé stesso.
MINUTAGGIO: -
RUOLO: Peter Parker
ATTORE: Tobey Maguire
DOVE: Netflix
INGLESE
I said... He asked me what I thought about you. MJ; And what did you say? Peter: I said, "Spider-Man." I said, "The great thing about M.J... ...is... ...when you look in her eyes... ...and she's looking back in yours... ...everything feels... ...not quite normal. Because you feel... ...stronger... ...and weaker at the same time. You feel excited... ...and at the same time... ...terrified. The truth is, you don't know what you feel... ...except you know what kind of man you want to be. It's as if you've... ...reached the unreachable... ...and you weren't ready for it."
ITALIANO
Eh... io ho detto... Lui... lui mi ha chiesto... che cosa pensavo di te. Gli ho detto, ehm... Spider-Man... Gli ho detto... ehm... la cosa più straordinaria di M.J... è... quando tu... la guardi negli occhi... e lei ti restituisce lo sguardo... allora tutto quanto diventa... non proprio normale. Perchè ti senti... più forte... e più debole allo stesso tempo. Ti senti eccitato... e allo stesso tempo... terrorizzato. La verità è che non sai più che cosa provi... ti rendi solo conto di che tipo di uomo vorresti essere. È come se tu... avessi raggiunto l'irraggiungibile... e non fossi ancora pronto
Due parole sul primo Spider-Man diretto da Sam Raimi, uscito nel 2002, con Tobey Maguire nei panni di Peter Parker. È il film che ha dato il via, nel vero senso del termine, al cinema di supereroi moderno come lo conosciamo oggi, ma fatto con lo sguardo di un regista che arriva dall’horror, dai B-movie e da un’idea molto concreta di pathos e messa in scena teatrale. Raimi prende un personaggio iconico e lo spoglia dell’invincibilità: Peter Parker non è un eroe nato. È un ragazzo che inciampa, perde, ama, sbaglia. E il film racconta esattamente questo. Peter Parker è uno studente delle superiori, timido, occhialuto, bullizzato. Vive con gli zii, May e Ben, in una casa modesta nel Queens. È innamorato della ragazza della porta accanto, Mary Jane Watson, ma non riesce a dichiararsi. Peter è, all’inizio del film, lo sfigato per eccellenza. Uno con una voce gentile, quasi timorosa, che passa inosservato.
Durante una gita scolastica in un laboratorio di genetica, viene morso da un ragno geneticamente modificato. Da lì il suo corpo cambia: sviluppa forza, agilità, sensi iper-affinati e la capacità di arrampicarsi sui muri. Diventa qualcos’altro. Ma Peter, all’inizio, non vuole salvare il mondo. Vuole soldi. Partecipa a un incontro di wrestling per vincere dei soldi e comprarsi un’auto. Dopo l’incontro, lascia scappare un ladro. Poco dopo, lo stesso ladro uccide suo zio Ben. E lì Peter cambia. La frase “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, che suo zio gli aveva detto poco prima, si trasforma in un principio di vita.
Ora Peter è Spider-Man. Indossa il costume, si muove tra i palazzi, ferma i rapinatori, salva gente. Ma è solo. Perché Peter non può dire a nessuno chi è veramente. Non può amare liberamente, non può confidarsi, non può nemmeno lavorare normalmente. Entra in gioco Norman Osborn, padre del suo migliore amico Harry e proprietario della Oscorp. Anche lui cambia: si trasforma nel Green Goblin dopo aver testato su se stesso un siero che potenzia forza e intelligenza ma danneggia la mente. È lo specchio oscuro di Peter: un uomo brillante che cede alla follia.
I due iniziano un confronto che non è solo fisico, ma esistenziale. Il Goblin prova a portare Peter dalla sua parte, a fargli capire che essere un eroe significa sacrificare tutto.
Peter rifiuta. Ma comincia a capire quanto è vero. Il Goblin scopre chi è Spider-Man. Attacca zia May. Minaccia Mary Jane. Peter deve decidere cosa proteggere e come farlo.
Il climax è una scena devastante: il Goblin tiene MJ da una parte e un gruppo di bambini dall’altra, sopra il ponte di Brooklyn. Peter si lancia nel vuoto, come simbolo del suo eterno equilibrio tra dovere e sentimento. Si massacrano a colpi dentro un edificio abbandonato. Il Goblin muore, trafitto dalla sua stessa planata. Peter, ferito, porta il corpo a casa di Harry. E poi arriva la scena più importante del film. Il funerale. Mary Jane gli dichiara il suo amore. Ma Peter la rifiuta. Dice: “Sarò tuo amico, sempre”. Ma non può amarla. Perché se la ama, lei è in pericolo. E qui c’è il cuore del cinema di Raimi: l’eroe è un uomo che rinuncia. Non perché è forte, ma perché ha capito cosa costa davvero avere potere.
“Eh... io ho detto... Lui... lui mi ha chiesto... che cosa pensavo di te.” La costruzione del discorso è frammentata, esitante. C’è un continuo gioco di rimandi, come se Peter stesse recitando un copione che si scrive mentre parla. Non è un caso: sta proteggendo un’identità, ma allo stesso tempo non riesce a mentire del tutto. C’è una tensione emotiva che si riflette nella grammatica del discorso. Non è elegante, è reale. “...quando tu... la guardi negli occhi... e lei ti restituisce lo sguardo... allora tutto quanto diventa... non proprio normale.”
Qui si entra nel cuore del monologo. Peter sta cercando le parole per qualcosa che non si lascia spiegare. È lo sguardo che cambia tutto. Raimi qui usa la regia per stringere sui volti, per farci vivere quell’imbarazzo, quella verità che sta venendo fuori a singhiozzo. “Perché ti senti... più forte... e più debole allo stesso tempo. Ti senti eccitato... e allo stesso tempo... terrorizzato.” Peter descrive una sensazione che conosce chiunque abbia amato davvero. Quel misto di potenza e fragilità. È il punto esatto dove si incrociano l’adolescenza e la maturità. Il momento in cui non sai se stai crescendo o se stai cadendo.
“La verità è che non sai più che cosa provi... ti rendi solo conto di che tipo di uomo vorresti essere.” Peter non riesce a definire i suoi sentimenti, ma da quegli stessi sentimenti capisce che tipo di uomo vorrebbe essere. È un'affermazione che va oltre l'amore: riguarda l'identità, la vocazione, la costruzione di sé. Peter, in quel momento, non sta solo dichiarando amore: sta scegliendo chi essere. “È come se tu... avessi raggiunto l’irraggiungibile... e non fossi ancora pronto.” Finale dolceamaro. L’immagine è bellissima: raggiungere qualcosa che hai sempre desiderato ma sentirti inadeguato. È esattamente il paradosso dell’eroe classico. Peter ce l’ha fatta, ha ottenuto la forza, l’identità... ma il prezzo è alto: non sentirsi pronto a viverla pienamente.
Questo monologo è una dichiarazione d'amore mascherata, un esercizio di onestà attraverso la finzione. È Peter Parker che si guarda allo specchio senza potersi dire la verità a voce alta. Tobey Maguire riesce a rendere tutto questo con una voce rotta, uno sguardo sfuggente e una vulnerabilità disarmante.
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