Monologo Teatrale Maschile - Bruto in \"Giulio Cesare\" di William Shakespeare

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo è una delle vette del dramma politico in Shakespeare. Bruto, dopo aver partecipato all’assassinio di Cesare, si trova di fronte a un popolo confuso e potenzialmente ostile. E usa la parola, la ragione, per giustificare un atto irreparabile. Qui c’è tutta la tragedia di Bruto: un uomo che ha fatto una scelta estrema per coerenza, e che ora cerca di spiegarla al pubblico, come se bastasse la logica a coprire il sangue.

Concittadini, Cesare è caduto

Siate pazienti sino alla fine. Romani, concittadini
e amici, ascoltatemi per la mia causa, e fate silenzio per
potermi udire. Credetemi per il mio onore e abbiate ri-
spetto per il mio onore sì da potermi credere. Nella vostra saggezza giudicate, e tenete desti i vostri sensi per
poter meglio giudicare. Se in questa assemblea c’è qualcuno, un qualche caro amico di Cesare, a lui io dico che
l’amore di Bruto per Cesare non era inferiore al suo. Se
poi quell’amico domanda perché Bruto si è sollevato
contro Cesare, questa è la mia risposta: non che amassi
Cesare di meno ma che amavo Roma di più. Avreste preferito che Cesare vivesse e voi moriste tutti schiavi, o
piuttosto che Cesare morisse perché voi poteste vivere
da uomini liberi? Poiché Cesare mi amava, piango
per lui; poiché è stato fortunato, me ne rallegro; poiché
è stato valoroso, lo onoro; ma poiché era ambizioso, lo
ho ucciso. Ci sono lacrime per il suo amore, gioia per
la sua fortuna, onore per il suo valore, e morte per la sua
ambizione. Chi c’è qui tanto vile da voler essere un
schiavo? Se c’è parli, perché io l’ho offeso. Chi c’è qui
così barbaro che non vorrebbe essere un romano? Se c’è
parli, perché io lo ho offeso. Chi c’è qui così vile che non
ami il suo paese? Se c’è parli perché io lo ho offeso. Mi
fermo per avere una risposta…. E dunque non ho offeso nessuno. A Cesare non ho fatto
più di quello che voi farete a Bruto. La vicenda della sua
morte è registrata in Campidoglio; la sua gloria non vie-
ne diminuita, là dove è stato degno; né accentuate le sue
colpe, per le quali ha sofferto la morte.
Entrano Marc’Antonio e altri con il cadavere di Cesare
Ecco il suo corpo, pianto da Marc’Antonio, che, pur non
avendo avuto mano nella sua morte, ne riceverà il bene-
ficio, un posto nello stato – e chi di voi non lo avrà? Ora
vi lascio, dicendovi che come ho ucciso la persona a me
più cara per il bene di Roma, la stessa spada è pronta per
me stesso, quando piacerà alla mia patria di aver bisogno
della mia morte.

Ricorda con rabbia

Giulio Cesare di Shakespeare è una tragedia politica che mette in scena il crollo di un’illusione repubblicana in favore del caos e, infine, della nascita di un potere ancora più forte

Siamo a Roma, nel 44 a.C. Giulio Cesare è appena tornato vittorioso dopo una guerra civile. La città è in fermento: il popolo lo acclama, ma alcuni senatori temono che la sua ambizione stia superando i limiti. Temevano che volesse diventare re.

Il centro morale dell’opera è Bruto, nobile romano, rispettato da tutti e, soprattutto, amico personale di Cesare. È su di lui che si concentra l’interesse di Cassio, il vero motore del complotto. Cassio odia Cesare, è geloso del suo potere, e vuole liberarsene. Ma ha bisogno della figura “pura” di Bruto per dare legittimità alla cospirazione. Lo convince che uccidere Cesare sia l’unico modo per salvare la Repubblica. Questa è la vera tragedia dell’opera: un uomo virtuoso che, per difendere i suoi principi, compie un atto che li distrugge. Alla fine, Bruto accetta. E si forma una congiura.

Il momento centrale è l’assassinio di Cesare, che avviene nella scena del Senato. Cesare si presenta come un uomo che non teme nulla, che crede nel proprio destino. Ma viene pugnalato da tutti i congiurati, uno dopo l’altro. Quando vede Bruto tra loro, pronuncia la famosa battuta: “Et tu, Brute?” Questa frase – che Shakespeare prende dal latino, anche se nel testo originale dice: "Et tu, Brute? Then fall, Caesar!" – è il cuore emotivo dell’opera. Non è solo il tradimento, ma è il colpo che toglie significato a tutta la vita di Cesare. Non muore solo il dittatore, ma anche l’amicizia, la fiducia, la Roma che Cesare rappresentava.

Dopo l’assassinio, i congiurati pensano che la città li accoglierà come liberatori. Ma qui arriva Marco Antonio, fedele a Cesare, che tiene un discorso funebre che è un vero capolavoro retorico. Parte calmo, quasi remissivo, ma parola dopo parola incita la folla contro i cospiratori. “Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio...” Inizia così, e da lì inizia un crescendo che trasforma il dolore popolare in rivolta. È la scena in cui la politica si trasforma in teatro, e il teatro si fa politica. Antonio non attacca direttamente i cospiratori: li chiama “uomini onorevoli”, ma lo ripete così tante volte da svuotare la parola di significato.

Il popolo esplode. Roma brucia.

La seconda metà dell’opera è tutta in discesa: Roma piomba nella guerra civile. Da una parte ci sono Bruto e Cassio, dall’altra Antonio e Ottaviano, il futuro Augusto. I due campi si preparano allo scontro. Bruto è sempre più tormentato. Ha fatto quello che credeva giusto, ma ha creato il caos. Viene visitato dal fantasma di Cesare, che gli predice la sconfitta. Alla battaglia di Filippi, tutto crolla: Cassio si suicida per errore, credendo che Bruto sia stato sconfitto. Poco dopo, anche Bruto, vedendo la disfatta, si toglie la vita. Le sue ultime parole sono per Cesare: “Cesare, ora puoi riposare. Non fui io a ucciderti con meno coraggio di quanto ora ne mostri nel morire.” Antonio gli rende omaggio: “Questo era il più nobile dei Romani.” Perché Bruto, a differenza degli altri, ha agito per idealismo. Ma questo idealismo non ha salvato Roma. L’ha solo consegnata a un nuovo impero.

Analisi Monologo

La struttura del discorso è costruita con una logica ferrea. Bruto si appoggia su tre pilastri: onore personale, amore per Cesare, fedeltà a Roma. "Credetemi per il mio onore..." È un’apertura che richiama la sua reputazione pubblica: Bruto non chiede fiducia per ciò che ha fatto, ma per chi è. Non spiega subito i fatti: crea prima una cornice morale. In pratica dice: “Sono sempre stato leale, quindi fidatevi anche adesso.” Subito dopo, arriva la giustificazione centrale: "Non che amassi Cesare di meno, ma che amavo Roma di più." Qui Shakespeare condensa l’intera tragedia di Bruto in una riga. Non ha agito per odio, ma per principio. È una scelta di campo: Roma prima dell’uomo. Ma nel fare questa scelta, Bruto si disumanizza. Perché non c’è vera emozione nel tono, solo razionalizzazione.

Poi passa al confronto diretto con la folla, usando una serie di domande retoriche: "Chi c’è qui tanto vile da voler essere uno schiavo?"  "Chi c’è qui così barbaro che non vorrebbe essere un romano?" "Chi c’è qui così vile che non ami il suo paese?" È un uso molto efficace della retorica: pone domande a cui nessuno può rispondere “io”. Se non vuoi essere chiamato vile o nemico di Roma, devi accettare la sua posizione. In questo modo, l’intero discorso si auto-convalida: chi non è con lui, è contro Roma. Ma la parte più rivelatrice arriva alla fine: "Come ho ucciso la persona a me più cara per il bene di Roma, la stessa spada è pronta per me stesso..." Bruto si offre in sacrificio. Dice: se un giorno Roma lo riterrà colpevole, è pronto a morire. È qui che si compie la tragedia personale. Ha ucciso un uomo che amava, e si tiene pronto a subire la stessa sorte. Non cerca potere, non cerca consenso. Cerca giustificazione. Ma non la ottiene.

L’ingresso di Marco Antonio con il cadavere di Cesare segna lo spostamento drammatico. Il pubblico ha ascoltato Bruto con rispetto, ma sta per essere travolto dalla forza emotiva del discorso successivo. Bruto ha parlato alla testa. Antonio parlerà al cuore.

Conclusione

Questo monologo è un tentativo razionale di dare forma a un atto irrazionale. Bruto non è un oratore istintivo: è un uomo integro, ma tragicamente ingenuo. Crede che basti la logica per spiegare il dolore. Crede che la propria onestà sia sufficiente a legittimare un omicidio. E questo è il suo limite.

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