My first Experience on a movie set

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Non giudicare un libro dalla copertina.


~BELLE

VOGLIO AVVENTURE IN LUOGHI SCONOSCIUTI!


Cari amici del mondo del cinema e della recitazione, sono Belle. Oggi ho il piacere di introdurre un racconto speciale, quello di Robert Terciu, un membro della nostra community, che condividerà con noi la sua prima esperienza su un set cinematografico. La sua storia è un viaggio di scoperta, apprendimento e passione, proprio come quelle che amiamo trovare nei nostri libri preferiti. Ascoltiamo la sua voce e lasciamoci ispirare dal suo percorso. Articolo integrale prima in inglese, poi in italiano.


MY FIRST EXPERIENCE ON A MOVIE SET


Some months ago I had the opportunity to play two figuration roles on a set that lasted four days. The short movie that the team created it`s called The days of Oranges or I giorni delle arance as the original title and was directed by Matteo de Liberato. The story takes place in 1989 in present Romania. That is all that I am going to say about the story because I invite all the readers to watch it after it will be released.


The locations were in two small towns around Pescara, Italy, with a permanent population around 1500 individuals. The first two days of shooting were filmed in a house on the top hill of one town and his surroundings. The next two days were filmed in a jail located in the second town. I arrived on set in the second part of the first day of shooting. I was welcomed by the team and I begin to know them little by little around the lunch hour. The whole team was Italian, with the exception of one actress, one actor and me, which we were Romanian.

As my implication in this project, playing the two characters I`ve came across some dark feelings because I could say that the alter-ego for the roles was somehow death. Playing an assassin and a soldier, I`ve inducted myself in the way the two characters should act as real-life individuals, for a believable performance.

The house was a beautiful one, even if nowadays the shadow of time conquered the building, and it was in a semi-degraded state. Around evening I was going to play the role of the assassin that belonged to the regime. I took the gun and as one of my teachers in academy taught us, I treated the object with respect as I was trying to make a connection with it. I watched on my phone some tutorials of how to manage a pistol and how I should control it in my hands, even though in the scene I had to manage it differently. After some practice, I created a sort of connection with that gun which was supposed to bring death into the movie.After the costume department dressed me, I began to feel differently in those clothes. I started to create a character with my body on the backbone of the story that I imagined for his past in the time when I was reading the script some weeks before the shooting. I got skilled with recharging the gun, wear it at my back, point it to an objective and have some kickback after I fired it. I preferred to do that in an empty room where nobody could watch and in some moments when I was seeing myself in a mirror, I reminded the scene from "Taxi Driver"(1976).


When the moment of shooting came, I followed the instructions of the director, kicking the door, entering the room, seeing the two girls at the table, pointing the gun to the main character and after seeing she`s not the target, shooting the other girl. I loved the fact that on set we can experience and make rehearsals to get the best scene, it felted like when I was rehearsing for a theatre play before it gets on stage. To add some originality to the character, every time before kicking the door I was thinking that I am a professional assassin so I should not leave any trace of remorse or guiltiness on my expression.

In the other scene I am not the one that pulls the trigger, but the one who has to breathe near a person in suffering. As a soldier, I tried to stay cold as ice but create also the impossibility of being indifferent to the poor woman, even if in the mind of the character he is already brainwashed from the system he lives in. Differently said, even if the soldier tries to create a self-state of being not guilty with the help of hating her, he is only a soldier who feels remorse and pity. As before, in the role of the assassin, after I`ve put on my costume, I began to create a body language of a soldier. Even if he is a puppet, probably without any trust in a higher dimension, he is still touched by some deep feelings inside him that relate the victim with someone who remember or even loves. More so, I conducted the role as a tired soldier that had to sustain himself in a system full of hatred and saw a lot of suffering during his job as a jail-guardian without any experience on field, even without killing someone by his hand.


The context of a jail was somehow eerie, I`ve could see the way that the cells were done, the way a jail-guardian can watch the others, imagine how food could be really bad or how many suffering could exist in such a place. Even though the scenography was amazing, the other parts where we didn’t shoot but I`ve explored it, they gave me that strange feeling of suffering, even if maybe nothing bad happened between those walls. At a certain point when I was exploring, I`ve came across a really small-scale amphitheater, could’ve been a no more than 30 years old Greekor Roman copy, and I just rested there to dream for a while. In that moment I felt how relevant can be the difference between a theatrical space and a live location. My impression is that shooting on site gives you another dimension of thinking about a role that you have to interpret, and maybe is even easier to catch the feel of a real place than to create it on a stage. To draw a conclusion, even if this was my first experience on a set, «and I hope there will be a lot more», after some experience on stage, I feel blessed to be part of a team that tries to make a difference in human mentality through the cinematographic art/cinematography/art of cinema.



LA MIA PRIMA ESPERIENZA SU UN SET CINEMATOGRAFICO


Qualche mese fa ho avuto l’opportunità di interpretare ben due ruoli come figurazione su un set durato quattro giorni. Voglio condividere questa esperienza con voi perché si tratta della mia primissima esperienza su di un set, e ho potuto trarne diverse conclusioni. Il corto che abbiamo girato si chiama I giorni delle arance ed è stato diretto da Matteo de Liberato. La storia è ambientata nella Romania del 1989 e… e questo è tutto ciò che dirò sulla trama perché invito tutti voi lettori a vederlo quando verrà distribuito!


Sono arrivato sul set nella seconda metà del primo giorno di riprese, sono stato accolto dal team e ho cominciato a familiarizzare con loro intorno all’ora di pranzo. Erano tutti italiani a parte me, un altro attore e un’attrice, che, invece, siamo rumeni.


Per recitare al meglio questi due ruoli, ho attraversato dei sentimenti oscuri: infatti, potrei dire che in qualche modo l’alter ego di questi personaggi è la morte.

Per rendere la mia performance credibile, sono partito dal ragionare sul modo in cui questi due personaggi (rispettivamente, un assassino e un soldato) si sarebbero mossi in quanto esseri umani. Voglio raccontarvi il percorso che ho fatto per capirli, conoscerli e attraversarli nel migliore dei modi. E anche dove abbiamo girato, perché il set mi è stato di grande aiuto.


Le location sono state due paesi nei dintorni di Pescara, con una popolazione media di 1500 persone. I primi due giorni di riprese sono stati effettuati in una casa sulla cima di una collina della prima città e nei pressi di essa. I successivi due giorni, invece, sono stati girati in un carcere della seconda città.

La casa era bella, anche se da qualche parte l’ombra del tempo aveva conquistato l’edificio che si trovava in uno stato di semi-degrado.

Durante il pomeriggio del primo giorno avrei recitato come l’assassino alle dipendenze del regime. Sono partito facendo conoscenza con la pistola: rifacendomi ad un insegnamento appreso durante gli studi in Accademia d’Arte Drammatica, ho impugnato l’arma trattando l’oggetto con rispetto e cercando una connessione con esso. Ho anche guardato qualche tutorial su come impugnare una pistola e su come poterla controllare, pur sapendo che durante la scena avrei dovuto avere un’impugnatura diversa. Così, dopo un po’ di pratica, ho finalmente creato una sorta di connessione con quell’arma che avrebbe portato la morte nel film.

Sono poi passato al reparto costumi, e, attraverso i nuovi abiti, ho cominciato a sentirmi diverso. Ho iniziato a creare il personaggio partendo da alcuni elementi del suo passato, sulla base di quello che avevo immaginato leggendo la sceneggiatura alcune settimane precedenti al set. Sono diventato bravo nel ricaricare l’arma, riporla alla fondina, puntarla ad un obiettivo e simulare una sorta di piccolo rinculo dopo aver sparato. Ho preferito fare tutto questo in una sala vuota dove nessuno poteva vedermi e ammetto che, in alcuni momenti, guardandomi allo specchio mi sembrava quasi di essere in quella scena di “Taxi Driver” (1976).


Quando è arrivato il momento di girare, ho seguito le istruzioni del regista: dare un calcio alla porta, entrare nella stanza, vedere due ragazze ad un tavolo, puntare l’arma alla protagonista e, dopo essermi reso conto che non è lei il mio bersaglio, sparare all’altra ragazza. E ho adorato il fatto che sul set potessimo sperimentare e fare diverse prove, mi ha fatto sentire come quando provavo uno spettacolo prima di andare in scena, in Accademia. Per aggiungere originalità al personaggio, prima di calciare la porta pensavo di essere un assassino professionista e quindi nel mio volto non si sarebbero dovuti leggere rimorso o senso di colpa.


Passando all’altra scena, invece, non sono più stato colui che premeva il grilletto, ma colui che doveva stare di fianco ad una persona sofferente. Come soldato, cercavo di essere freddo come il ghiaccio ma, allo stesso tempo, di mettere in scena l’impossibilità di essere indifferente alla povera donna, nonostante questo personaggio (Il soldato intendo) abbia già subito il lavaggio del cervello dal sistema in cui vive.

In altre parole, il soldato cerca da una parte di crearsi uno stato di non colpevolezza attraverso l’odio che può provare nei confronti di lei, ma dall’altra è pur sempre una persona che sente rimorso e pietà. Siamo poi tornati al reparto costumi.


Come nel caso del ruolo dell’assassino, una volta indossato il costume ho cercato di creare il linguaggio fisico di questo personaggio, cercando di tenere presente il fatto di essere un pupazzo vuoto, probabilmente senza una fede, e, allo stesso tempo, un uomo ancora toccato da sentimenti forti che associano la vittima a qualcuno che ricorda, o ama, addirittura. In più, ho condotto il ruolo come un soldato stanco che ha dovuto sopravvivere in un sistema pieno di odio e ha visto molto dolore durante i suoi turni di guardiano di prigione, senza aver fatto abbastanza esperienza o aver ucciso qualcuno. In questo caso devo dire che è stata davvero determinante la scelta della Location, perché l’ho vissuta in maniera molto intensa.


Il contesto della prigione era in qualche modo inquietante: ho potuto vedere come erano fatte le celle, come un guardiano può osservare i prigionieri, ho immaginato quanto il cibo potesse essere cattivo o quanta sofferenza potesse esserci. Inoltre, la scenografia era emozionante e anche gli ambienti in cui non abbiamo girato, ma che ho esplorato mi hanno dato uno strano senso di sofferenza, anche se magari tra queste mura non è successo niente di orribile. Ad un tratto, mi sono imbattuto in una riproduzione in piccola scala di un anfiteatro Greco o Romano, sarà stata una copia di non più di trent’anni, e mi sono fermato a sognare ad occhi aperti per un po’.

In quel momento ho riflettuto su quanto può essere diversa la riproduzione teatrale rispetto al vero ambiente che, invece, si cerca di ricreare in ambito cinematografico. E la mia impressione è stata che girare in un posto specifico ti possa conferire un’altra dimensione al ruolo che si deve interpretare… e di conseguenza è, forse, più facile afferrare un sentimento in un posto vero che riprodurlo in teatro.

Per trarre una conclusione, anche se è stata la mia prima esperienza sul set, e mi auguro ce ne saranno molte altre, dopo aver fatto un po’ di esperienza sul palco, mi sono sentito fortunato a far parte di un team che prova a fare la differenza nella mentalità umana attraverso l’arte cinematografica/ o cinematografia/ o arte del cinema che dir si voglia.



SI, SONO STATA IO CHE HO LIBERATO IL PRIGIONIERO


La storia di Robert ci ricorda quanto sia preziosa ogni esperienza, soprattutto quelle che ci mettono alla prova e ci insegnano qualcosa di nuovo. Ogni set cinematografico, ogni ruolo, ogni momento trascorso dietro o davanti alla camera è un capitolo di un grande libro che stiamo scrivendo con la nostra carriera. Come Robert, anche noi possiamo trovare gioia e crescita in ogni nuova sfida. Continuiamo a imparare, a esplorare e a sognare, perché proprio come in una storia, non sappiamo mai quali sorprese ci aspettano alla prossima pagina.


Con affetto,


Belle


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