In ricordo di Pelé e Vialli, un anno dopo

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Non giudicare un libro dalla copertina.


~BELLE

VOGLIO AVVENTURE IN LUOGHI SCONOSCIUTI!


Cari amici, attori e appassionati di cinema, sono Belle. Oggi, nella nostra Biblioteca, ci addentreremo in un racconto che trascende i confini del cinema e tocca il mondo dello sport. Un mondo che, come il nostro, si nutre di storie, passione e talento. Vi presento un articolo speciale scritto da Francesco Marchina, membro fondatore della nostra community, che rende omaggio a due leggende del calcio: Pelé e Gianluca Vialli. Queste figure iconiche hanno lasciato un'impronta indelebile nel mondo dello sport e nella cultura popolare, influenzando la vita di molti, compresa quella degli artisti.


CIAO O' REY - AMORE PER IL CALCIO, PER LA VITA, PER LA RAZZA UMANA


L’ho saputo venti minuti fa, e la scomparsa di uno dei più grandi sportivi della storia suona come la fine di una canzone che si intitola 2022. Il finale di questa canzone è stato piuttosto amaro, restando in campo sportivo, dato che pochi giorni fa (16 dicembre), il mondo dello sport si è unito per piangere la scomparsa del “guerriero” Sinisa Mihajlovic.

E mai come in questo caso, scrivere un articolo è stato per me un moto d’istinto, anche se difficilmente scrivo parlando di sport. In realtà il lato sportivo non è stato ciò che mi ha spinto maggiormente a farlo, ma un ricordo a me caro, che ha a che fare con il cinema. Se dico “Fuga per la vittoria” vi dice qualcosa? Se aggiungo Silvester Stallone, Michael Caine e… Pelé?


Un cult del 1981 che io vidi per la prima volta nel 1986. In un campo di prigionia, durante la seconda guerra mondiale, viene organizzata una partita di calcio tra tedeschi e prigionieri inglesi che proprio attraverso questo match (tutt’altro che amichevole) avrebbero costruito la loro fuga. Un cast immenso nel quale Pelé, nei panni di Luiz Fernandez fece quella prodezza ancora negli occhi di tutti che fece la storia, la mitica rovesciata. Con una grande interpretazione e gesti tecnici straordinari, Pelé riuscì a fondere sport e cinema in modo assoluto.


Non è un connubio facile, far funzionare due mondi come questi è sempre una sfida, ma in questo caso vinta a mani basse. Spesso si pensa ad uno sportivo che si diletta a fare l’attore come a qualcosa di legato al fattore commerciale e quello degli incassi, basati più sulla nomea del personaggio che sulle sue qualità attoriali.

Il punto è proprio questo, le qualità attoriali non sono tutto, a volte l’essere umano, le sue motivazioni e l’urgenza di raccontare o mandare un messaggio contano di più. Senza nulla togliere alla preparazione, alla tecnica, e a tutte le capacità che un attore deve avere e delle quali sono un fan assoluto, ritengo ci siano storie di vita così profonde e uniche che permettono di fare eccezioni. La storia di Pelé in primis come uomo è senza dubbio romantica e straordinaria. Un ragazzino che giocava nella povertà delle favelas con una palla fatta di stracci e a piedi nudi per giunta. E ora il termine “O Rey” è entrato nelle nostre anime quasi come quello di un Papa.

Vite come la sua non possono non essere raccontate con la magia della pellicola. Tre volte campione del mondo con il Brasile (unico nella storia a vincere la bellezza di 3 Mondiali), ha dedicato la sua vita al Santos. Sempre in prima linea contro il razzismo e la sua immagine, almeno per me, ha sempre rappresentato il “pulito” del calcio.

Con il tempo e l’evoluzione siamo stati sempre più indotti a perdere il lato romantico delle cose, il calcio stesso, non tanto come sport ma “cultura” popolare ne ha risentito. Tra scandali, conti fasulli, debiti, estorsioni e molto altro, anche il “correre dietro ad una palla” sembra nascondere qualcosa di ambiguo. Sognare grazie a esempi come “Dico” (così lo chiamavano Pelé da ragazzino), è qualcosa che fa bene al cuore, che per un attimo ci distoglie dall’idea di essere presi in giro. Ricordarlo immaginando i bambini giocare e ballare nelle favelas cercando di emulare i suoi gesti, nonostante la povertà che li circonda scalda l’anima. Certo per la maggior parte di noi, occidentali, oggi abituati a concretezza, ritmi sfrenati, risultati immediati non è facile immaginare scenari simili.

Bisogna entrare dentro le storie, anche grazie alla magia di un arte come il cinema, e a tal proposito vi suggerisco la visione di un film, un biopic su “O Rey”, disponibile gratuitamente su Amazon Prime, che si chiama, per l’appunto, ”Pelé”, e ripercorre la vita della leggenda dalle favelas (letteralmente), alla vittoria del suo primo mondiale (sarebbe spoiler, ma è la storia, e il bello, come sempre, è il come questa vittoria e questa conquista siano arrivate).


Infine, ultima, doverosissima, parentesi.

Il mondo si è sempre chiesto quale fosse l’icona del calcio, Maradona o Pelé? Sono quelle domande a cui non si può dare risposta, è tutto a libera interpretazione. Hanno rappresentato quella dolce spaccatura colorata in modo indelebile di verde oro e albi celeste, ma di certo lassù ora ci sarà da divertirsi per gli angeli, perché vederli palleggiare insieme credo possa essere uno spettacolo unico.

“La mano de Dios” e “O Rey”.


GIANLUCA VIALLI: L'UOMO NELL'ARENA NON PERDE MAI



Si dice che “l’epifania, tutte le feste si porta via”. Forse questa volta ha esagerato e si è portata via un po’ troppe cose... per come si è concluso il 2022 e iniziato il 2023, mi auguro che si possa ora ripartire con la speranza di non ricevere notizie così brutte, quanto meno per un pò.

Prima Sinisa, poi Pelé, si passa per un vero e proprio Papa e ora il grande GIANLUCA VIALLI. Spero tanto che il prossimo articolo con la mia firma, possa parlare di un successo cinematografico Italiano, o comunque di qualcosa di brillante e divertente, con tanti doppi sensi o giochi di parole come piace a me…

Tornando a Vialli, beh io un po’ ce l’ho con lui perché è per colpa sua che da piccolo ho iniziato a sognare di diventare un calciatore. E’ per colpa sua che l’unico numero su una maglia per me era il “9”. Si il numero 9, quello dell’attaccante, quello che tradotto significa “goal”. Lo guardavo giocare in quella meravigliosa squadra blucerchiata sita in Genova di nome Sampdoria, con il suo amico e compagno di sempre Roberto Mancini, che era il “10”, il rifinitore, quello che tradotto significa “assist”.

I due insieme, sostenuti da un gruppo meravigliosamente coordinato da un “Regista” di nome Vujadin Boskov, hanno regalato emozioni vincendo moltissimo, come la coppa delle coppe del ’90, o lo scudetto del ’91 per poi piangere nella finale di coppa dei campioni il 20 Maggio 1992 su quella punizione di Ronald Koeman ai supplementari che andava a chiudere un sipario nel modo più gelato possibile. Quella sera Vialli e Mancini piangevano abbracciati sul prato di Wembley, il sogno di portare la Samp sul tetto massimo d’Europa era svanito. Pensate, a distanza di diciannove anni, i due si ritrovano ad riabbracciarsi ripiangendo, questa volta di gioia, nello stesso stadio, sullo stesso prato, per aver vinto INSIEME l’europeo alla guida della Nazionale proprio contro i padroni di casa. Un film in pratica, una sceneggiatura ricca di altalene, ostacoli, separazioni ma anche di tanto amore, l’ingrediente più importante che li ha riportati a riavvicinarsi, non tanto nella vita perché lo sono sempre stati, ma nello sport, e nel modo più intimo e complice nel quale da veri leader ci hanno portato a un successo inaspettato.

Li, insieme, l’11 Luglio 2021, solo loro, in quell’abbraccio che conteneva più cose di quante se ne possono immaginare. Un abbraccio lungo in cui il tempo si ferma e che oggi sa tanto di ultimo saluto. Le loro lacrime mischiate, i corpi stretti come a non volersi mai più lasciare. Emozioni difficili da descrivere da fuori e che oggi stanno trasmettendo i media e i social. Gianluca sapeva di vero, di puro; cresciuto nella Cremonese, di strada quel ricciolino ne ha fatta e la sua bacheca lo racconta meglio delle parole. Amava Londra, e la premier League, è stato uno dei primi a raccontarci il calcio inglese con quella passione che ha fatto innamorare anche i più convinti calciofili Italiani.

Ha allenato il Chelsea, diventando idolo della tifoseria blues, ha lavorato come opinionista per molti anni per molte emittenti e ha fatto tante comparsate in ambiti mediatici anche non inerenti al calcio. Non era mai fuori posto, simpatico, semplice, genuino e se si può, anche “cazzuto”. Ha lottato fino alla fine, mettendo a disposizione la sua esperienza legata alla malattia con esemplare dignità e raro altruismo, raccontandosi di tanto in tanto come fece con Alessandro Cattelan su Netflix. O come fece, in privato, con Fedez, che affrontava un male simile, e che era stato contattato da Gianluca, a fare ore e ore di parole al telefono. Ricche di forza di volontà.

La cosa che mi permetto di sottolineare è la sua intelligenza. Nelle sue prime uscite pubbliche legate ai vari “post partita”, non aveva quella maturità e quella capacità di pensiero, che con l’andare avanti degli anni, non solo ha acquisito ma ha reso il suo vero punto di forza. Gianluca è l’esempio che si può avere talento, ma la vera ricchezza dell’essere umano è il connubio tra i valori e la cultura, perché se oggi siamo tutti qui a piangerne la scomparsa, non è per il fatto che fosse solo un campione con i piedi, ma lo è stato nella vita e di lui ci ha conquistati la persona e la sua ricchezza a trecentosessanta gradi. Buon viaggio campione, siamo certi che lassù, insieme a Maradona e Pelé e al tuo amico Sinisa vi divertirete a fare ciò che più amavate qui.


Vi lascio con il suo discorso, prima della finale dell’Europeo.


"Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio. L'onore spetta all'uomo nell'arena. L'uomo in cui il viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L'uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c'è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L'uomo che dedica tutto sé stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L'uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest'uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta".



SI, SONO STATA IO CHE HO LIBERATO IL PRIGIONIERO


In questo toccante omaggio, Francesco ci ha condotti attraverso un viaggio emozionale che intreccia lo sport, la vita e la loro rappresentazione artistica. Come attori, possiamo trarre ispirazione dalle storie di Pelé e Vialli, dalla loro forza, determinazione e dal modo in cui hanno affrontato le sfide della vita. Le loro esperienze riverberano con noi nel cinema, dove la rappresentazione della lotta umana, delle gioie e dei dolori, è al centro del nostro mestiere. Questi racconti ci ricordano l'importanza di perseguire le nostre passioni con dedizione e cuore, qualità essenziali per ogni artista.


Con affetto,


Belle


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