Mai fuori corso: una rubrica di Isaac Petrazzi

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Non giudicare un libro dalla copertina.


~BELLE

VOGLIO AVVENTURE IN LUOGHI SCONOSCIUTI!


La Biblioteca di Belle:"Mai fuori corso", una rubrica di Isaac Petrazzi. PRIMA PARTE


Cari lettori, benvenuti in un nuovo appuntamento nella nostra amata "La Biblioteca di Belle". Oggi, vi presento un articolo speciale, alcuni estratti dalla rubrica "Mai Fuori Corso" di Isaac Petrazzi, un membro valoroso della nostra community. Isaac, che ha iniziato il suo viaggio nel mondo della recitazione all'età di 29 anni, ha avuto enormi difficoltà a trovare una sua strada, soprattutto all'inizio, complice un'età ahimé eccessiva per entrare in un'Accademia d'Arte Drammatica (seppur neanche trentenne). Nonostante le sfide e gli ostacoli, il suo percorso è un ispirante esempio di dedizione e perseveranza. Questi estratti riflettono la sua esperienza come attore emergente e la sua lotta contro il senso di invidia e di giudizio, sentimenti con cui molti di noi possono facilmente identificarsi.


MAI FUORI CORSO PARTE 1: SFIDE E SENSAZIONI


SGUARDI


Gli occhi, chico, quelli non mentono mai.


- Scarface -



Non ricordo esattamente il mio primissimo esercizio teatrale, ma me ne viene in mente uno con grande affetto: tutti seduti in cerchio, dovevamo solamente guardarci negli occhi.


A me, che sono molto timido, questo esercizio creò un forte imbarazzo perché con ognuno dei 15 tra compagne e compagni dovevamo guardarci negli occhi per un tempo indefinito senza dire una parola e poi vedere quello che accadeva.

Dopo essermi buttato (o meglio: dopo che non avevo altra scelta), inizio molto lentamente a guardare negli occhi una ragazza che ricambia il mio sguardo con un grande sorriso e penso: questo esercizio comincia a piacermi. Subito dopo però, proprio mentre mi stavo aprendo e cercavo di far capire all’altr* che ero molto disponibile e disposto, mi capita di incrociare gli occhi di un’altra ragazza, la quale però non sembrava affatto propensa ad essere guardata da me: ci sono rimasto malissimo.


All’epoca sapevo solo che l’obiettivo dell’esercizio era far comprendere a noi allievi attori/attrici che, anche senza parlare, possiamo dialogare senza parole, anzi, che addirittura le parole in sé contano molto poco se dietro non c’è un'intenzione chiara e precisa di ciò che si vuole comunicare.

Oggi, invece, credo che ci sia molto di più, e probabilmente quell’esercizio ha un senso diverso. E del resto capisco perché la gestione dello sguardo è alla base di numerose tecniche teatrali e, in particolar modo, cinematografiche.

Perché guardarsi negli occhi è così difficile? Perché non siamo abituati a farlo nella nostra quotidianità di esseri umani, quando dovrebbe essere una delle cose più naturali del mondo?


Senza scomodare qualche ricerca scientifica, credo che gli occhi, proprio in quanto “specchio dell’anima”, dicono tutto e molto spesso in maniera inconsapevole, anche perché le parole fanno da filtro, più o meno voluto. Come essere umano e come attore questo aspetto mi affascina moltissimo, perché guardarsi veramente negli occhi ci espone nella maniera più umana e vulnerabile che ci sia, permettendo all’altr* di entrare letteralmente in noi e di leggerci dentro.

Già solo al pensiero ho un sussulto poiché penso a come posso sembrare agli occhi dell’altro e al fatto che, se mi guardasse veramente, potrebbe esserne spaventato. E questo mi porta a formulare il seguente assunto:


- Guardare qualcuno negli occhi ci porta ad esplorare il suo mondo interiore;


- Anche essere guardato, quindi riuscire a spalancare il proprio mondo interiore, è un’impresa non da poco.


Ed è forse per questo che un esercizio così semplice è fondamentale, in ogni studio sull’interpretazione (come avremo anche modo di raccontarvi in altri articoli, a partire dalle nostre esperienze).

Accettare lo sguardo, e accettare che il proprio mondo interiore fuoriesca dagli occhi, nel cinema è tutto, perché:


Ma lo sguardo no, quello non si può confondere, né da vicino né da lontano! Oh, lo sguardo, sì che è significativo! Come il barometro. S’indovina tutto: chi ha un gran deserto nell’anima, chi senza una ragione è capace di ficcarti uno stivale fra le costole e chi invece ha paura di tutto.


- Mikhail Bulgakov -




L'INVIDIA (L'ENVIE)


Io ve l’avevo detto che questa rubrica non è solo una lista di esercizi. Ho talmente tante cose in mente, pensando a questi anni di esperienza attoriale, che voglio anche e soprattutto trasmettere quello che ho provato e provo ancora nei vari momenti passati insieme a persone che hanno la mia stessa passione. Quindi perché, oggi, non parlare dell’invidia?

Si, dell’invidia, un sentimento che mi sta molto a cuore, non fraintendetemi (oppure si, fate quello che preferite). Ne voglio parlare con l’unico scopo di liberarmi da un certo senso di vergogna che provo solo per il fatto di provarlo spesso, questo sentimento…


Lo so, parlo di qualcosa di tremendamente umano, del tutto normale, ma non posso fare a meno di pensare che la mia, di invidia, abbia qualche cosa di speciale. Mi fa sentire davvero male, soprattutto in quest’epoca dei social network, dove sembra che un essere umano, un attore in questo caso specifico, per esistere debba pubblicare ogni fucking secondo della sua vita. Ma questo potrebbe essere uno spunto per un altro articolo...


Ritornando al discorso, la mia invidia mi fa stare fisicamente male, la sento nello stomaco, che si contorce mentre cerco falsamente di recuperare il controllo, dicendomi: ”Noi dai. Però che bravo/brava che è stato/a. Wow, pure su Netflix sta. Ok, la mia vita non ha più senso. Comunque io sono meglio.” Detto questo, ecco che affiora la mia vergogna solo per il fatto di pensarle, queste cose. Lo ammetto, è una mia debolezza. Potrei finire l’articolo qui e continuare ad autocommiserarmi. Ma penso: perché non cercare di trovarci il lato positivo? La mia invidia è una maschera dietro la quale celo la mia paura di fare la cosa che desidero più di ogni altra, la stessa maschera per la quale spesso manca il coraggio di mettermi in gioco e semplicemente decidere di agire. L’invidia nasconde sempre la paura di non essere in grado di ottenere ciò che voglio e mi provoca una visione miope delle cose, che non mi fa pensare che ci possano essere delle alternative, oppure che mi fa convincere che ci sia spazio solo per una persona, per tutti gli altri il vuoto. Che fare? Non lo so, ma credo che una soluzione valida sia semplicemente trovare il mio singolo, personalissimo modo di essere un attore valorizzando la mia vita ed essere fiero di quello che sono.

Vi voglio raccontare un piccolo aneddoto, una mia esperienza che forse mi ha insegnato qualcosa, a tal proposito.


Ricordo molto bene, quando in uno dei workshop che ho fatto ho provato particolare invidia per un ragazzo molto più giovane di me che aveva un talento e una voglia immensi e che faceva sembrare tutto quello che faceva come se fosse estremamente facile. Per tutta la durata del workshop, ovvero tre giorni, ho avuto questo pensiero: “ Come posso superarlo? Voglio essere più bravo e voglio che fallisca”. L’ ho pensato fino a 3 minuti prima della fine del laboratorio, poi non so cosa mi sia successo dentro e ho semplicemente pensato, guardandolo… “Ma sai che c’è…Ben venga che sia più bravo di me, e ben vengano tutti quegli attori e attrici così talentuosi e determinati, cosi che io possa imparare da loro ed essere l’attore che proprio nell’azione di diventare migliore, trova la chiave della propria libertà


La mia strada per affrontare l’invidia è lunga e tortuosa, e la vostra? Vi capita mai di sentirvi così?


SE SOLO POTESSI... VEDERE IL MONDO FUORI DA QUI


IL GIUDIZIO E' QUASI UNA PAROLACCIA


Qui c’è assenza di giudizio


Insegnante x: “Isaac, in questa scena, quando lei ti dice che non ti ha mai amato, tu piangi. La scena, mi raccomando, organica. Non vi preoccupate assolutamente perché qui, con me, non c’è giudizio. Mi raccomando divertitevi.


Qui c’è assenza di giudizio”.


E’ una frase che ho sentito molte volte, ogni volta con l’illusione che sarebbe stata realizzata. In tutti i corsi, workshop e laboratori che ho fatto, ad un certo punto del percorso si arrivava a questa fatidica frase:


Buttati, esagera, rompi gli schemi, tanto qui stai tranquillo, c’è assenza di giudizio!


Purtroppo, nella mia esperienza, poche volte mi sono sentito così “tranquillo” e libero di potermi esprimere.


Quando sentivo queste parole, all’inizio, mi sentivo molto rassicurato pensando che, qualsiasi cosa fosse uscita da una mia proposta scenica non ci sarebbero state ripercussioni, ma non sempre è andata così. Nei momenti in cui non sai esattamente dove ti trovi, perché ti ci trovi e che cosa stai facendo precisamente, quello di cui hai bisogno è sentire la piena e totale fiducia dei tuoi colleghi e, soprattutto, dei tuoi insegnanti.


Gli attori, come tutti gli artisti immagino, cercano sempre di portare fuori da sé del materiale molto intimo, tratto dal proprio vissuto, e fare questo significa, in qualche modo, mettersi a nudo e manifestare le proprie debolezze, cosa che comporta una grande dose di coraggio e un grande sforzo. Se questo sforzo non viene compreso fino in fondo con grande empatia e sensibilità, a prescindere da ciò che è stato “messo in scena”, il rischio è di trovarsi davanti un attore, e prima di tutto un essere umano, che percepirà ogni volta di essere sbagliato e che quindi avrà difficoltà a osare di nuovo. (Ci tengo a ribadire che questa mia riflessione nasce dalle mie esperienze di studio, quindi non sto toccando l’ambito lavorativo, dove ovviamente le circostanze sono diverse).


Naturalmente non voglio intendere che non debbano esistere le critiche, ma quello che secondo me è importante capire, soprattutto per chi insegna, è che anche l’osservazione più severa necessita di essere trattata in modo tale che sappia toccare le giuste corde senza suscitare vergogna e imbarazzo: è così che riuscirà ad indurci a trovare una nuova chiave di approccio al lavoro, ci lascerà quella sensazione di aver aggiunto un tassello in più al nostro puzzle e ci porterà addirittura ad avere un senso di sollievo.


Al contrario, un’osservazione non giustamente dosata, o anche fatta senza dare tanta importanza alle parole, può essere dannosa e disturbante.

Volete sapere come finiva la situazione che ho accennato all’inizio di questo articolo?

In quella scena, dopo aver provato con tutte le mie forze a piangere “organicamente”, l'insegnante aveva osservato, piuttosto innervosita:


Ma che cos’è questo?! Che cosa stai facendo? Così non va! Non ti ho chiesto di piangere prima in anticipo.

E voi, vi ritrovate in questo discorso? Vi capita di essere/sentirvi giudicati, soprattutto in contesti laboratoriali, o comunque di studio, dove forse troppo spessa ci si professa falsamente liberi da giudizi?


"Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere cosi come sei!

Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, che non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca senza applausi… "


-Charlie Chaplin-



THE NIGHTMARE OF EVERY ACTOR


Vi dico subito che questa rubrica non sarà lineare e costituita da situazioni cronologiche perfettamente incolonnate: l’ultima volta vi ho raccontato dei miei primi passi laboratoriali, oggi, invece, passeremo dritti dritti al tema “show must go on”, facendo un bel salto temporale.

Sì: così, de botto, senza senso (semi cit.)


Ero alla mia prima messa in scena in assoluto e mi trovavo a confrontarmi con quello che il mio amico Craig (attore, docente di recitazione,anche lui membro di questa community) definisce “the nightmare of every actor”. Non so ancora bene perché Craig abbia voluto fare questa cosa proprio nel mio primissimo debutto teatrale, ma so quanto quel giorno io lo ricordi come uno tra i più brutti della mia vita.


Lo spettacolo era “Voci di Famiglia” di Harold Pinter ed eravamo nell’impasse del giorno prima della prima: quello nel quale sembra che nessuno sappia dove posizionarsi, nessuno ricordi le battute, nessuno abbia presente i passaggi fondamentali, nessuno sappia quando deve uscire o entrare in scena. Insomma nessuno sa niente o quasi niente. In quel momento di profonda ansia e disagio avremmo potuto almeno prenderci del tempo per rivedere il copione o ripassare i movimenti di scena.


E invece Craig decise che dovevamo fare una prova ed una prova soltanto, a prescindere da cosa ne sarebbe uscito fuori; nel bene o nel male dopo quella singola prova saremmo tornati tutti a casa.

Se accetti queste condizioni, non puoi più tornare indietro. Devi pensare come se fosse il debutto dello spettacolo: sbagli una battuta e vorresti solo bestemmiare e ricominciare da capo? Non puoi farlo, devi continuare. Non sai quando devi attaccare con la tua battuta? Non importa, devi andare avanti. Vi dico solo questo: lo spettacolo sarebbe dovuto durare all’incirca 45 minuti, in quella prova angosciante è durato esattamente 9 minuti e 35 secondi. Lo so per certo perché lo abbiamo cronometrato e quei numeri sono stati un incubo per tutto il resto della giornata. Da lì puoi solo risalire, forse. Il giorno prima del nostro debutto, del mio primissimo debutto, non sapevamo niente.


Ricordo che dissi proprio a Craig: “Io non ce la faccio, non fa per me, non so nemmeno perché sono qui”. La sua risposta fu molto dura, ma ripensandoci adesso furono proprio le parole che avevo bisogno di sentirmi dire: “Isaac sei libero di andartene, ma sappi che io questo spettacolo lo faccio, anche se dovessi trovare un altro per strada e improvvisare tutto. Adesso torni a casa, studi e domani proviamo dalla mattina alla sera e poi si va in scena”. Non potevo lasciare che qualcun altro si prendesse il mio posto. Non sapevo ancora perché ero lì e ancora adesso faccio fatica a ricordarlo, ma non sono andato via.

Cosa mi ha insegnato questa esperienza? Che qualunque cosa accada, per quanto panico si possa avere, l’importante è trovare un modo qualsiasi, coraggioso, ingegnoso, creativo o banale, per non andarsene, per non mollare.


Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.


-Samuel Beckett-


SI, SONO STATA IO CHE HO LIBERATO IL PRIGIONIERO


Carissimi amici, questa lettura ci ricorda un principio fondamentale: il viaggio dell'attore, come quello di qualsiasi artista, è intriso di sfide emotive e fisiche. Attraverso le sue parole, Isaac ci invita a riflettere sull'importanza di affrontare i nostri timori e le nostre invidie, trasformandole in forza e motivazione. La sua storia ci insegna che l'età non è un limite alla nostra crescita artistica e personale, ma un valore aggiunto alla nostra unica narrazione. Come attori e attrici, portiamo sul palco non solo il nostro talento, ma anche la ricchezza delle nostre esperienze di vita. Isaac ci dimostra che la resilienza e il coraggio di proseguire, nonostante le difficoltà, sono elementi chiave per raggiungere i nostri sogni. La sua rubrica "Mai Fuori Corso" è un promemoria che, in ogni momento della nostra carriera, c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare, da sperimentare e da vivere pienamente.


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