Rubrica di Isaac Petrazzi: \"Mai Fuori Corso\", seconda parte

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Non giudicare un libro dalla copertina.


~BELLE

VOGLIO AVVENTURE IN LUOGHI SCONOSCIUTI!


Seconda parte della Rubrica: "Mai fuori corso", di Isaac Petrazzi


Cari amici del mondo della recitazione e del cinema, sono Belle. È con grande piacere che vi accoglio nella mia "Biblioteca", un luogo magico dove la passione per le parole si fonde con l'arte della recitazione. Oggi, ho il privilegio di presentarvi la seconda parte di una rubrica (qui il link alla prima parte) di un membro della nostra community, Isaac Petrazzi che riflette profondamente sul processo creativo e personale di preparazione attoriale. Questo contributo è una preziosa fonte di ispirazione e di consigli pratici per tutti voi, attori e attrici in formazione, che siete costantemente alla ricerca di nuove sfide e prospettive. Vi invito a leggere con attenzione e a lasciarvi ispirare da queste parole.


SECONDA PARTE DELLA RUBRICA "MAI FUORI CORSO" DI ISAAC PETRAZZI: PRIGIONI, MONOLOGHI E RISPOSTE


Ossigeno


Voglio cominciare questo 2022 (questa rubrica ha ormai due anni) raccontandovi una collaborazione che ha cambiato il mio modo di pensare il teatro e che potrà incoraggiare molti di coloro che tra noi hanno bisogno di una speranza attiva e propulsiva.

Nell’Ottobre del 2019 sono stato contattato da Laura, un’educatrice che mi ha proposto di fare volontariato nel teatro del carcere di Frosinone. All’inizio, com’è mio solito, ho dovuto combattere con le mie personali resistenze, ma poi, per fortuna, ha prevalso il coraggio e mi sono tuffato in questa nuova avventura, pur non sapendo niente di quello che mi aspettava.

Ossigeno”: questo è il titolo dello spettacolo teatrale nato tra gli attori della Casa Circondariale di Frosinone. In questo articolo, comunque, non vi racconterò la storia dello spettacolo, bensì di tutto quello che ho visto accadere in un luogo in cui l’ossigeno a volte manca, in cui sono presenti dinamiche che farebbero accapponare la pelle anche ai più insensibili e cinici. Non voglio raccontarvi l’impatto che il luogo ha avuto su di me, ma una piccola introduzione è necessaria, almeno per contestualizzare: non avevo mai visto un carcere da vicino prima e ne ho subito riconosciuto la bruttezza, a partire dall’intera struttura esterna, di un verde orribile, che mi dava la sensazione di muffa avariata e un senso di angoscia.


Anche per questo, si tratta di un’esperienza che più di ogni altra ha rafforzato in me l’idea che il teatro è la più alta, sublime e potente forma educativa che esista. Durante quegli incontri ho visto 15 ragazzi mettersi completamente a nudo. Non che non avessero ansia da prestazione, che non si dimenticassero le battute, che non si sentissero giudicati o che in qualche momento non si siano sentiti frustrati; ma quello che è stato bellissimo per me è stata la loro volontà di portare avanti il progetto fino alla fine, incuranti di tutti gli ostacoli che si paravano di fronte: burocratici, tecnici, strutturali… ma anche semplicemente il dover subire la negatività di alcune guardie penitenziarie e, in generale, di chiunque pensasse e comunicasse loro che fosse semplicemente tutta una perdita di tempo.

Erano, per quanto inconsapevoli, uniti, capaci in scena di esprimere un’autenticità raramente riscontrabile persino in un professionista, una spontaneità e un’immediatezza che si faceva evidente anche nelle dimenticanze, negli scherzi e negli approcci. Ricordo vividamente lo sguardo penetrante e intenso di un attore durante un’improvvisazione, mentre mi diceva la sua battuta: “Io ti conosco. Sei solo un traditore”. Avrei voluto scappare per quanto la sua intenzione era riuscita a toccarmi nel profondo.

In loro ho riconosciuto l’umanità, anche se modificata dalle restrizioni. Ho visto il loro provare ad essere sempre più concentrati e attenti, ho visto l’esaltazione delle differenze e ho visto esprimere una potenza drammatica da far saltare dalla sedia chiunque. Quei giorni con i ragazzi mi hanno mostrato con forza la concretezza del valore pedagogico e rieducativo del teatro, senza retorica né pietismo, attraverso la loro autenticità grezza ma reale. Ho visto tutto questo e ho visto prendere e dare delle belle boccate di ossigeno, prima di ritornare sulla terra.

E allora auguro semplicemente a tutti voi di poter vivere un’esperienza simile in questo 2022, per chi fa arte e non: abbiate il coraggio di cercare il vostro, di ossigeno. Sempre.

Vi lascio con un brano tratto dal film "Le Ali della libertà", di Frank Darabont, vincitore di 6 premi Oscar tra cui Miglior Colonna Sonora.



Il Monologo


Essendo io un attore in formazione, sto ancora imparando quali siano le tecniche migliori per potermi approcciare a un qualsiasi monologo, così voglio condividere con voi qualche pensiero al riguardo. Da quello che ho potuto notare, preparare un monologo è lo spauracchio di molti allievi attori, almeno all’inizio. Ne ho fatto esperienza in passato e, anche se non ne ho preparati moltissimi e per me continua ad essere un qualcosa che mi mette abbastanza a disagio, sto imparando a farci i conti e a capire come migliorare, mettendo al primo posto il divertimento.

Premetto che sui monologhi si potrebbe scrivere per ore e ore anche se volessimo parlare solamente di come sceglierne uno giusto per noi, tuttavia qui voglio parlarvi della mia esperienza. Quindi, come preparo un monologo? Innanzitutto mi domando a chi è destinato: è per un provino, per uno spettacolo, per un self-tape per una produzione televisiva o cinematografica? Oppure è un monologo che viene preparato a scopo didattico, ad esempio per partecipare ad un workshop? Sapere il target può cambiare il modo di prepararmi. Inoltre, è un monologo teatrale o cinematografico?


La prima cosa che ho capito in maniera inequivocabile è che non bisogna mai e poi mai provare ad imitare il monologo di un altro attore o di qualcuno che abbiamo visto in video, magari su Youtube, ma realizzare qualcosa che sia funzionale al nostro stile.

Anche la scelta del drammaturgo è fondamentale. Ad esempio, posso dire di amare particolarmente il lavoro di Céchov e Pinter perché con loro mi sento più a mio agio e libero di poter ricercare una mia autenticità. Ognuno di noi dovrebbe trovare questo tipo di sensazione in un autore, quando è alla ricerca di un monologo. Ovviamente è importante essere fedeli al testo, ma non bisogna esserne schiavi, piuttosto usarlo come veicolo delle nostre sensazioni, un tramite per far emergere le nostre potenzialità. Mi è capitato di essere molto aderente al testo ma non sentirlo in profondità, perché mi concentravo troppo su come dire le cose (usando la giusta dizione, non facendo errori di memoria, ecc..) e non sulle emozioni che mi provocava questo o quell’immaginario. Per partire penso sia più utile cimentarsi con dei testi e degli autori che riteniamo più nelle nostre corde, prima di passare a dei monologhi più complicati o con tematiche o personaggi distanti da noi. Dopo aver individuato il monologo, quello che faccio è rispondere a queste domande, semplici ma funzionali per me.

La prima è una sorta di trabocchetto, ovvero: il monologo è effettivamente un monologo? Il personaggio che rappresento parla all’aria? La risposta è no, perché si è quasi sempre in relazione con qualcuno, che sia una persona o la nostra coscienza… quindi, con chi sto parlando? Per me è fondamentale immaginare il mio interlocutore, cioè sapere concretamente chi è la persona che ho di fronte, perché mi permette di essere più specifico, più dettagliato e quindi più autentico. Poi, perché parlo? La scelta che spinge il personaggio (e quindi anche l’attore) ad aprire bocca, è una scelta precisa, calcolata. Non posso parlare tanto per dare fiato e sparare frasi, perché risulterei vago. Ma soprattutto, che cosa mi muove, qual’ è la motivazione che mi spinge a parlare? Quando ho risposto a domande di questo tipo il mio studio procede in maniera lineare, con questi presupposti metto le basi per fare un lavoro con cui mi sento a mio agio. E voi, amici attori, che approccio avete?

Vi lascio con il primo monologo con cui ho dovuto cimentarmi, del testo “Ricorda con rabbia” di J. Osborne, (personaggio Jimmy Porter) con la speranza che le sue parole diano significato a quello che ho voluto comunicarvi con questo articolo.



SE SOLO POTESSI... VEDERE IL MONDO FUORI DA QUI


MONOLOGHI E RISPOSTE


Monologo di Jimmy Porter


Atto Secondo, Scena Prima.


Chiunque non abbia mai visto morire un uomo, soffre di un grave caso di verginità. (Il suo buon umore di qualche momento prima sparisce e comincia a ricordare.) Per dodici mesi ho guardato mio padre che stava morendo, avevo dieci anni allora. Era tornato dalla guerra di Spagna. Laggiù qualche pio gentiluomo l’aveva conciato in tal modo che non gli restava più molto da vivere.

Tutti lo sapevano… anch’io lo sapevo. Ma, vedete, io ero l’unico a cui dispiaceva. La sua famiglia era imbarazzata da tutta la faccenda. Irritata e imbarazzata. Mia madre, poi, non era in grado di pensare che a una cosa sola: al fatto di essersi legata ad un uomo che sembrava trovarsi sempre dalla parte sbagliata, in tutto. Mia madre sarebbe stata lietissima di appartenere alle minoranze, purché fossero quelle che stanno in cima alla scala sociale. Noi tutti aspettavamo che morisse. La famiglia gli mandava un assegno ogni mese, e sperava che la facesse finita tranquillamente, senza volgarità e senza chiasso. Mia madre si limitava ad occuparsi di lui senza lagnarsi. Forse le faceva pena. Credo fosse capace di provare compassione.

(Con disperazione) Ma io ero l’unico a cui dispiacesse veramente! Ogni volta che mi sedevo sull’orlo del suo letto e lo ascoltavo parlare, certe volte mi leggeva dei libri, dovevo lottare per non piangere. E alla fine di quei dodici mesi ero diventato un veterano. L’unica persona che stava ad ascoltare quel pover’uomo fallito e febbricitante era un ragazzino spaventato. Passavo delle ore in quella piccola stanza da letto. Mi parlava ore ed ore, raccontando gli avanzi della sua povera vita a un ragazzo solitario e sgomento, che riusciva a capire appena la metà delle sue parole. E tutto quello che riusciva a percepire era la disperazione e l’amarezza, l’odore dolce e nauseante di un uomo che muore.

Capite, ho imparato molto giovane cosa vuol dire l’angoscia, il non poter far niente, l’essere senza aiuto. E non lo dimenticherò mai. Quando avevo dieci anni io sapevo dell’amore, del tradimento… e della morte, molto più di quanto voi ne saprete probabilmente in tutta la vostra vita!



(PER ALTRI MONOLOGHI TEATRALI CLICCATE QUI)




Trovare una strada: la tecnica Meisner



Siamo arrivati alla fine di questa splendida avventura e sono molto felice. E’ impagabile il pensiero di poter mettere per iscritto i propri pensieri affinché le persone possano leggerli e magari sentirsi ispirate, anche solo un po'. Scrivendo si vedono prendere forma anche le cose immateriali e il pensiero può diventare concreto e oggettivo.

Oggi voglio parlarvi della mia personale svolta artistica, quella che ho avuto conoscendo Sanford Meisner, o meglio, la sua tecnica. È stato un mio amico ad incoraggiarmi a intraprendere questo percorso, io non sapevo minimamente chi fosse Meisner, ma ho seguito il suo consiglio e sono andato alla mia prima lezione, rimanendo subito scioccato. Sì, lo so, magari per alcune persone può sembrare esagerato, ma per me è stato una rivelazione.


La tecnica Meisner parte dal presupposto che l’attore deve saper ascoltare. basti pensare, ad esempio, che la base della tecnica Meisner è il repetition exercise e in estrema sintesi funziona così: ci sono due attori uno di fronte all’altro che semplicemente si osservano e ripetono al alta voce ciò che vedono dell’altro, partendo da fattori oggettivi ed estetici (capelli, forma del naso, vestiti, colore degli occhi...) fino ad arrivare alle emozioni e agli impulsi che percepiamo nell’altro. A livello teorico può sembrare che non ci sia nulla di più semplice, ma quando ti ritrovi a passare alla pratica noti che rimanere concentrati ad osservare l’altro non è affatto facile: si mettono in moto meccanismi interni, soprattutto inconsci, come giudizio, autocensura e mancanza di reale ascolto, che non ci permettono di essere in contatto con l’altro e ci fanno perdere il momento presente.

Come ho sempre fatto in questa rubrica, voglio raccontarvi quelle che sono state le mie sensazioni, ossia quelle che si provano quando trovi un vestito che, dopo tanto cercare, sembra cucito esattamente su di te (sensazione che avevo già provato quando ho incontrato la religione buddista).

Meisner afferma: “Per essere un attore interessante - diavolo, per essere un essere umano interessante - devi essere autentico e per essere autentico devi abbracciare chi sei veramente, le verruche e tutto il resto. Avete idea di quanto sia liberatorio non preoccuparvi di ciò che la gente pensa di voi? Beh, questo è ciò che siamo qui per fare.

È proprio questa la sensazione più bella che ho provato partecipando al corso: la libertà da ogni forma di giudizio.

La mia insegnante, Margherita Remotti, mi disse un giorno, mentre le lacrime scendevano copiose, il muco usciva colando dalle narici e, per non dare un’immagine orrenda di me, cercavo il modo di ricompormi: “non ti aggiustare. Le nostre brutture sono le nostre medaglie al valore che ci rendono autentici; veri attori, veri esseri umani.” Queste parole, questa esperienza, mi hanno dato un entusiasmo mai provato prima (e detto da me, che sono un entusiasta per natura!): quella voglia di mettersi in gioco sempre di più, di sfidare il limite successivo e andare sempre di più in profondità.

E infatti, chi mi ha frequentato nel periodo in cui partecipavo a quelle lezioni, mi ha sentito parlare per ore e ore solo di quello; tutte le persone a me vicine conoscono la tecnica Meisner e sono stati gentilmente pressati da me a provare qualche esercizio insieme. Questo è quello che per me significa il teatro, il cinema, l’arte, questa forza motrice perpetua che mi dà voglia di vivere, di migliorare, di puntare in alto, con il desiderio di diventare un attore (no, un essere umano) migliore. Grazie alla tecnica Meisner, ho imparato che gli impulsi ci sono e vanno assecondati (nei limiti del rispetto per gli altri) e che possono essere il tramite per guardarsi dentro e vivere a pieno la propria vita, attoriale e non. Ho imparato che io non sono separato dagli altri perché non c’è alcuna distinzione, perché siamo tutti la stessa cosa: esseri umani. Ho sperimentato veramente cosa significa ascoltare, sentire l’altro, entrando in una dimensione in cui non c’è più alcuna differenza, in cui l’unico obiettivo è stare insieme all’altro.

Vi lascio dicendovi che la mia vita e il mio percorso attoriale stanno procedendo con il ritmo più idoneo e più consono per me, a volte mi sembra che niente si muova, o che le cose non stanno andando come vorrei, ma in fondo so che non è così e che sto avanzando, seppur un millimetro alla volta.

Avere o meno delle capacità, non è importante, ciò che fa la differenza è se si è capaci o meno di entrare in contatto diretto con l’arte. L’emozione e il senso di stupore che i capolavori suscitano in noi sono il vero cuore dell’esperienza artistica. L’essenza dell’arte sta proprio nel vedere, nell’ascoltare, nel sentire e, infine, nello scoprire."


- Daisaku Ikeda -


SI, SONO STATA IO CHE HO LIBERATO IL PRIGIONIERO


Riflettendo su questo scambio intenso tra Greg e l'hostess, possiamo apprezzare la complessità del personaggio di Greg e la sua evoluzione nel corso del film. Attraverso questo dialogo, gli attori hanno l'opportunità di esplorare e trasmettere una gamma di emozioni umane profonde, dalla frustrazione alla disperazione, dall'ironia alla sfida. Come attori e attrici, possiamo trarre ispirazione da scene come questa per migliorare la nostra capacità di esprimere emozioni complesse e di connetterci con il pubblico in modi profondamente significativi. Grazie per la lettura, e buone nozze al povero Greg!


Con affetto,


Belle


C'è qualche contenuto che desideri condividere con la nostra community? Scrivici!


Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com