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~ LA REDAZIONE DI RC
La lettera che Zeynep legge in “Un’isola per cambiare”, a tutti gli effetti, un monologo postumo. Non un semplice ricordo, ma l’unico momento in cui madre e figlia sembrano parlare davvero. In vita, il loro rapporto era segnato da distanza, non detto, ruoli definiti (la madre silenziosa, la figlia legata al padre). Ma questo frammento di diario è una finestra che si apre con ritardo, un tentativo estremo della madre di riscrivere il proprio ruolo e lasciare alla figlia una chiave per comprendere sia il proprio passato, sia quello familiare.
MINUTAGGIO: 1:10:38-1:14:26
RUOLO: Madre di Zeynep
ATTRICE: -
DOVE: Netflix
ITALIANO
Quando eri piccola, iniziavi sempre a leggere ogni libro partendo dall'ultima pagina. Non riuscivi a goderti la storia senza sapere come sarebbe finita. Quindi anche se spero che stavolta tu abbia iniziato dalle prime pagine, dai miei ricordi, quelli di mio padre… e delle nostre uscite alla ricerca di qualcosa da mangiare… Probabilmente avrai iniziato da qui. Dall’ultima pagina. Beh, ricordo del giorno in cui tutta l’avventura finì. Il giorno in cui mi svegliai e non trovai più mio padre. Nessuno mi disse il perché. Semplicemente, non se ne parlò più. Solo dopo scoprii che come tanti altri, aveva lasciato la sua casa per difendere il nostro paese. Così salii sulla montagna più alta dell’isola, sperando di riuscire a vederlo da lassù, nel caso in cui si fosse perso. Avevo solo cinque anni. Quel giorno, la sera stessa, io e mia madre lasciammo l’isola. E quando qualche anno dopo io incontrai tuo padre, capii che non avevo bisogno di altre avventure nella vita. Tuo padre non ha fatto altro che lavorare duramente per assicurarsi che avremmo sempre avuto un tetto sulla testa e da mangiare in tavola. E’ quello il mondo in cui tu sei nata, mia dolca Zeynep. Il piccolo posto sicuro che tuo padre aveva costruito per me. Non abbiamo mai parlato di problemi d’amore, tu ed io. Sei sempre stata più attaccata a tuo padre. Quindi… nel caso in cui io muoia senza riuscire a dirtelo, voglio che tu sappia questo. Io ti vedo. Giorno dopo giorno, sei sempre meno te stessa, meno libera in quello che è il mio piccolo posto sicuro. E avendo tenuto questo segreto tutto per me… Questa casa, la mia isola… Sono riuscita almeno per una volta a non farti leggere le pagine sulla fine di questa storia. Io ho trovato la mia felicità, e spero che tu possa trovare la tua.
Il film Un’isola per cambiare (titolo originale Faraway), disponibile su Netflix dall’8 marzo, è diretto da Vanessa Jopp e si presenta inizialmente come una tipica storia di fuga dalla città verso un rifugio rurale. Ma dietro l’apparenza semplice del soggetto si nasconde una narrazione che gioca con il concetto di ricostruzione personale attraverso lo spaesamento. Zeynep Altin, interpretata da Naomi Krauss, è la donna adulta che ha dedicato la sua vita a tenere insieme i pezzi per tutti — marito, figlia, padre anziano — ma che ha dimenticato se stessa nel processo. La sua crisi non esplode all’improvviso, ma si accumula lentamente, fino al punto di rottura: un funerale, una routine frenetica, l’assenza di riconoscimento e l’insoddisfazione latente che diventa ingestibile. Zeynep prende così una decisione radicale: lascia Monaco e si rifugia in un’isola croata, in una casa che scopre essere stata acquistata in gran segreto da sua madre. La madre, che in vita appariva forse invisibile o oppressa quanto lei, aveva preparato una via di fuga che la figlia finirà per ereditare. Un’eredità emotiva prima che materiale.
La scelta dell’isola, quasi una terra mitica lontana da tutto, sembra offrire a Zeynep un momento di sospensione, un limbo in cui finalmente ascoltare se stessa. Ma qui entra in scena Josip (Goran Bogdan): ex proprietario del cottage, uomo burbero e radicato nella sua terra, che ancora vive sul terreno e non ha intenzione di andarsene.
Il monologo si apre con un dettaglio: Zeynep da bambina leggeva sempre le ultime pagine dei libri. Ci dice qualcosa sulla sua personalità (la necessità di controllo, la paura del dubbio), e contemporaneamente offre alla madre una scusa narrativa per partire proprio dalla fine. È un incipit intelligente, circolare, che già anticipa il tono intimo e malinconico di ciò che segue. "Ricordo del giorno in cui tutta l’avventura finì. Il giorno in cui mi svegliai e non trovai più mio padre..." La madre scava nel trauma fondativo della propria infanzia: l'abbandono improvviso del padre, la perdita, la mancanza di spiegazioni. Qui non si parla solo di guerra, ma di rimozione collettiva del dolore. Nessuno le disse nulla, nessuno spiegò. E quel silenzio diventa una traccia che si trasmette anche nella sua genitorialità. La madre di Zeynep, infatti, non ha mai parlato d’amore con la figlia, non ha condiviso emozioni, non ha raccontato la sua storia. Il segreto della casa, custodito per anni, ne è una manifestazione simbolica.
Poi arriva uno snodo chiave: "Quando incontrai tuo padre, capii che non avevo bisogno di altre avventure nella vita." Questa frase è cruciale perché suggerisce una scelta consapevole: dopo la perdita, il trauma, il bisogno di protezione prende il sopravvento. L’avventura finisce, inizia la costruzione di un rifugio stabile. Ma quel rifugio, che per la madre è stato sicurezza, per Zeynep è diventato una gabbia. Qui il film lavora su una sottile dialettica tra ciò che una generazione costruisce per proteggere e ciò che la generazione successiva percepisce come limite. "Io ti vedo. Giorno dopo giorno, sei sempre meno te stessa..." Questa è forse la frase più forte di tutta la lettera. È uno specchio emotivo che la madre porge alla figlia: uno sguardo lucido, tardivo, ma finalmente vero. Riconoscere che Zeynep sta soffocando nel “piccolo posto sicuro” è un gesto d’amore, ma anche una liberazione simbolica. Con questa frase, la madre smette di proiettare su Zeynep i propri bisogni, e le riconosce un’identità propria.
Infine, l’atto più potente: "Questa casa, la mia isola… sono riuscita almeno per una volta a non farti leggere le pagine sulla fine di questa storia." È una chiusura poetica e al tempo stesso liberatoria. La madre ha fatto in modo che questa ultima avventura – quella della casa, dell’isola, della libertà – fosse qualcosa che Zeynep potesse vivere senza saperne prima il finale. Un’inversione rispetto alla sua abitudine infantile. Una possibilità autentica di cambiamento.
Questo monologo non è solo una lettera d’addio. È un rito di passaggio, un gesto che permette alla protagonista di comprendere le radici della propria inquietudine e di iniziare finalmente un percorso proprio, libero dalle aspettative familiari.
Dal punto di vista narrativo, funziona come snodo tematico e motivazionale: chiude un ciclo (il legame con la madre) e ne apre un altro (la ricerca di una felicità autonoma). Ma soprattutto, umanizza una figura che fino a quel momento era rimasta in ombra. La madre diventa una donna reale, con un passato, delle scelte, delle fragilità.
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