3000 anni di attesa: analisi del monologo del Genio nell’Impero Ottomano

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

In questo monologo da “3000 anni di attesa”, il Genio racconta ad Alithea la sua seconda incarcerazione. Un racconto che si sviluppa come un affresco storico-emotivo, ambientato nel cuore dell’Impero Ottomano, tra intrighi di corte, giochi di potere e passioni incontrollabili.

Ma soprattutto, è un momento in cui emerge con forza il tema chiave del film: il desiderio è fragile, e spesso tragico. Non perché sia sbagliato in sé, ma perché viene quasi sempre espresso in modo ingenuo, frettoloso, o peggio: senza comprenderne le conseguenze.

Il secondo racconto

MINUTAGGIO:  32:00-43:30
RUOLO:  Djinn
ATTORE:
Idris Elba
DOVE: NETFLIX



INGLESE

I need to tell you about my next incarceration. I will never know how my bottle came from the bottom of the Red Sea... to a palace in Constantinople. But I fancy somehow it involved the killing of an Ottoman warrior. The fall of an empire. And a girl in love. Merhaba. Gulten lived as a slave in the courtyard of the concubines in the seraglio. When I appeared to her... she fainted. And I had great trouble rousing her. I made it clear that I meant her no harm, for I was condemned to the bottle. Now, the poor girl told me she was distractedly in love with a beautiful man... and she wished immediately to find favor in his eyes. As it happens, the one she most desired was the splendid Mustafa. Prince Mustafa. Eldest son of Suleiman the Magnificent, and likely heir to his mighty throne. Had I known what was to come, I would've risked the furies of Iblis to vehemently distract her from her wish. But without thinking, I took my bottle and conjured oils to prepare her. Oils of enchantment once used only by Sheba. I cautioned her to hide the bottle lest its powers fall into other hands. I went to Mustafa. Gulten. I whispered her name. He sent for her. It was so easy. As a djinn, I am endlessly curious about the ways of humans. So, in my spare time, I took to wandering the palace in search of its intrigues. And there, among the eunuchs, the consorts, and the concubines, I first saw Hurrem. The Laughing One. She, too, was a slave who had risen through the center of them all to become the Sultan's favorite. Suleiman the Wise saw none but her. And she sought to protect his throne in favor of her own sons over his beloved Mustafa. And to this end, she had the prince watched by many probing eyes. When I saw how Hurrem made a masterpiece of her manipulations, I worried that my Gulten might be caught in this web. I tried to warn her to be careful. But she had already decided on her second wish. Such a mistake. Because at this moment, Suleiman, blessed be his name, is being undermined. His warriors believe he is going soft, more interested in his poetry than ruling with a strong hand. Hurrem fuels the rumors that the military want to take his throne and replace him with Mustafa. The prince has become a pawn in the ceaseless game of power. Suleiman the Magnificent, Suleiman the Conqueror, patron and protector of empires, Suleiman the Father, was left with a choice that he knows will break his heart. Gulten, meantime, saw no reason why she should remain unseen. Given she was carrying the son of the next Sultan. Despite all my warnings, she parades her newly swollen breasts and belly. And the whispers soon spread throughout the seraglio. The terrible plottings move all too quickly. Prince Mustafa comes innocently into the presence of his father, to reassure him of his loyalty. And the mutes are waiting for him. He cried out to his Janissaries, who loved him, but his voice was crushed and his breath stopped by the string of his father's bow. Gulten! "Make a wish!" "Save yourself, Gulten!" Just a few words and she could have been free to bear her child in safety, and I to spirit away at last to the Realm of Djinn. But she ran into the hands of the assassins. I was about to take them by force, when I was blocked by a follower of Iblis. She made no wish to save herself. No wish was made to save us both. So, there I was, or there I was not, might you say, almost emancipated and tethered to this world by a third wish unperformed.




ITALIANO

Devo raccontarti della mia successiva incarcerazione. Non saprò mai come la mia boccetta dal fondo del Mar Rosso sia finita in un palazzo a Costantinopoli, ma credo che abbia comportato l’uccisione di un guerriero Ottomano, a caduta di un impero, e una ragazza innamorata. Guten viveva come schiava nel cortile delle concubine dell’harem. Quando le apparsi, lei svenne. Ed ebbi molta difficoltà a risvegliarla. Chiarii che non volevo farle del male, poichè ero condannato a stare nella boccetta. La povera ragazza mi disse che era perdutamente innamorata di un bell’uomo, e desiderò subito di ottenere il favore dei suoi occhi. Si dà che colui che più di tutti desiderava fosse lo splendido mustafà, il principe mustafà. Figlio maggiore di Solimano il magnifico, e probabile erede del suo potente trono. Se avessi saputo cosa sarebbe successo avrei rischiato le furie di Ibis per dissuaderla con fermezza dal suo desiderio. Ma senza pensarci, presi la mia boccetta ed evocai degli oli per prepararla. Oli d’incanto. Un tempo usati solo da Saba. La ammonii di nascondere la boccetta per evitare che i suoi poteri cadessero in altre mani. Andai da Mustafà, sussurrai il suo nome. Lui la mandò a chiamare. Fu molto facile. Come genio sono molto curioso dei comportamenti degli umani, così nel tempo libero vagai nel palazzo alla ricerca dei suoi intrighi. E lì tra eunuchi, consorti e concubine vidi per la prima volta Hurrem, la gioiosa. Anche lei era una schiava, che si era distinta in mezzo a tutte fino a diventare la favorita del sultano. Solimano il saggio non vedeva altre che lei, e lei cercò di proteggere il trono in favore dei propri figli, non del di lui amato mustafà. E a tal fine fece sorvegliare il principe da molti occhi indagatori. Quando vidi come hurren aveva fatto un capolavoro delle sue manipolazioni, temetti che la mia Guten restasse intrappolata in questa rete. Cercai di avvertirla di stare attenta, ma lei aveva già deciso il suo secondo desiderio. Un vero errore. Perché in quel momento Sulimano, sia benedetto il suo nome, era indebolito. I suoi guerrieri credevano che si stesse rammollendo. Più interessato alla sua poesia che a governare col pugno di ferro. Hurrem alimentò le sue voci che l’esercito volesse prendere il suo trono e sostituirlo con Mustafà. Il principe era diventato una pedina nell’incessante gioco del potere. A Solimano il Magnifico, Solimano il conquistatore, Patrono e protettore degli Imperi, Solimano il Padre, restò una scelta che sapeva gli avrebbe spezzato il cuore. Guten, nel frattempo, non vide motivo per cui dovesse restare inosservata, dato che portava in grembo il figlio del prossimo sultano. Nonostante tutti i miei avvertimenti, sfoggiò i suoi seni, e il suo ventre gonfio, e le voci si diffusero presto in tutto l’harem. I terribili complotti procedevano molto velocemente. Il principe Mustafa arrivò innocentemente alla presenza di suo padre, per rassicurarlo della sua lealtà. E i muti erano lì ad attenderlo. Chiamò i suoi giannizzeri che lo adoravano, ma la sua voce fu spezzata, e il suo respiro interrotto dalla corda dell’arco di suo padre. “Esprimi un desiderio… Salva te stessa, Gunten!” Solo poche parole e sarebbe stata libera di portare il suo bambino in salvo. E io di svanire finalmente verso il regno dei geni. ma finì nelle mani degli assassini. Stavo per prenderli con la forza, quando fui bloccato da un seguace Ibis. Non espresse alcun desiderio per salvarsi. Nessun desiderio per salvarci entrambi. Così, eccomi lì, o non eccomi lì, diciamo… quasi emancipato e legato a questo mondo da un terzo desiderio non espresso. 

3000 anni di attesa

Certo, parliamo di "3000 anni di attesa" (Three Thousand Years of Longing), film del 2022 diretto da George Miller, lo stesso regista che molti conoscono per Mad Max: Fury Road, ma che qui cambia completamente registro. È un film che si muove tra il racconto intimo e quello epico, mescolando mito, memoria e desiderio. La storia segue Alithea Binnie (interpretata da Tilda Swinton), una studiosa di narrativa e mitologia, razionale, sola, e profondamente legata al mondo delle storie ma anche molto diffidente nei confronti della fantasia. Durante un viaggio a Istanbul per una conferenza, acquista un’antica bottiglia in un mercatino. Tornata in hotel, mentre la pulisce, libera un Genio (Djinn) — interpretato da Idris Elba — che le propone il classico patto: tre desideri in cambio della libertà.

Alithea però non è una “cliente” come le altre: conosce fin troppo bene i racconti di desideri andati male. Dubita, riflette, vuole capire. E il Genio per convincerla, comincia a raccontarle la propria storia. Anzi, le sue storie. Tre millenni di esistenza rinchiuso in contenitori di ogni genere, prigioniero delle proprie debolezze e dei desideri degli altri.

Il cuore del film si gioca qui, in una struttura a scatole cinesi:

La prima storia lo colloca alla corte della regina di Saba, al fianco di una figura magnetica e sensuale, in un'epoca di grandezza e intrighi. Lì il Genio cade vittima del potere e dell’amore non corrisposto.

La seconda ci trasporta nell’Impero Ottomano, tra intrighi di corte, gelosie, desideri repressi e un’ossessione amorosa che finisce per consumare tutto.

La terza storia è ambientata in un periodo più vicino al nostro, dove il Genio è imprigionato da una donna che ha il potere ma non la libertà, e che alla fine rinuncia anche ai desideri per non tradire se stessa.

Ogni racconto ha il sapore di un mito orientale, ma anche quello di una confessione personale. Il Genio non è un’entità onnipotente, è un essere tragico, sensibile, e... stanco.

Nel presente, mentre i racconti del Genio scorrono, succede qualcosa di meno vistoso ma più denso: Alithea si apre. Lentamente. È una donna che ha scelto la solitudine come difesa, ma ascoltando il Genio, comincia a rivedere le sue certezze. A un certo punto fa un desiderio: che il Genio l’ami. Ed è lì che il film fa una virata importante. Perché da quel momento, la storia si sposta a Londra, dove il Genio — ormai libero — cerca di adattarsi alla realtà umana. Ma non ci riesce. Troppo rumore, troppe onde elettromagnetiche, troppo poco spazio per un essere antico.

Alithea si rende conto di aver sbagliato. Non si può costringere qualcuno ad amare. Decide allora di liberarlo davvero. E lui scompare.

Analisi Monologo

“Non saprò mai come la mia boccetta dal fondo del Mar Rosso sia finita in un palazzo a Costantinopoli...” La frase d’apertura stabilisce il tono: il Genio non è onnisciente, è un narratore smarrito, quasi spaesato. La sua memoria si mescola alla leggenda, la sua identità è spezzata in mille frammenti temporali. La bottiglia, che passa di mano in mano come oggetto di potere e mistero, è una metafora del destino: inafferrabile, incontrollabile. E ciò che lo colpisce di più non è il passaggio fisico, ma le vite distrutte lungo il cammino. “Guten viveva come schiava nel cortile delle concubine dell’harem...” Qui inizia il racconto personale. Guten è una figura fragile, ma desiderosa di essere vista, riconosciuta, amata. Il suo desiderio è diretto, infantile: essere notata dall’uomo che ama, il principe Mustafà. Il Genio non si oppone: la aiuta. Ma già qui c'è un primo indizio della sua inconsapevolezza complice. Non sa, ma dovrebbe intuire. I suoi tentativi di metterla in guardia arrivano tardi. È un errore che pesa. E che tornerà.

“Andai da Mustafà, sussurrai il suo nome. Fu molto facile.” Questa è forse la parte più inquietante del racconto. Il Genio sa di avere un potere immenso, e lo usa. Ma lo fa con leggerezza. La facilità con cui manipola la volontà altrui diventa subito anticamera della tragedia. Nel frattempo, il Genio esplora l’harem e osserva. La sua curiosità verso gli esseri umani è tenera ma anche pericolosa: si distrae, perde il controllo della situazione, mentre gli eventi precipitano. “E lì… vidi per la prima volta Hurrem, la gioiosa.” Hurrem è la figura più affilata del racconto.

Intelligente, strategica, apparentemente distante dal dramma personale del Genio ma in realtà motore del disastro. La sua presenza introduce il tema del potere femminile manipolato per sopravvivere in un mondo dominato dagli uomini. Hurrem, come Guten, è partita da una condizione di schiavitù. Ma ha saputo navigare il potere. E questo la rende temibile, affascinante, pericolosa.

“Solimano il Magnifico… Patrono e protettore degli Imperi… restò una scelta che sapeva gli avrebbe spezzato il cuore.”

Il Genio qui scivola quasi nel tono epico. Ma sotto la retorica imperiale si percepisce un dolore umano. La figura di Solimano è tragica: non più conquistatore, ma padre spaccato tra amore e dovere. La scena del soffocamento di Mustafà è una delle più laceranti del racconto: un figlio strangolato da un padre accecato dalla paranoia. Guten diventa vittima collaterale. E la sua imprudenza viene punita con la morte. Nonostante il Genio provi a salvarla, non può. È ancora una volta spettatore di un fallimento che gli impedisce la libertà.

Solo poche parole e sarebbe stata libera… ma finì nelle mani degli assassini.”

Questo è il punto più doloroso: la possibilità del desiderio che non viene usata. La tragedia qui non è legata al desiderio espresso male, ma al desiderio non espresso affatto. Guten ha l’occasione per salvarsi, ma non la coglie. La libertà del Genio resta quindi sospesa, bloccata da un non-detto. Ed è qui che emerge uno dei temi più intensi del film: il silenzio come condanna.

Conclusione

Questo monologo è il momento in cui il film lascia da parte il tono fiabesco per entrare in un territorio più crudele, quasi shakespeariano. Intrighi politici, amori sacrificati, destini spezzati — tutto si muove in un equilibrio sottile tra magia e morte. Il Genio è un prigioniero emotivo di ogni racconto che fa. Ogni desiderio espresso dai suoi padroni finisce per riflettersi su di lui, come se fosse una sentenza.

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