3000 anni di attesa: trama completa e analisi del monologo del Genio

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo del Genio, interpretato da Idris Elba in 3000 anni di attesa, è uno dei passaggi più intensi e carichi di significato del film. Siamo nella prima delle tre grandi storie che il Genio condivide con Alithea, e siamo alla corte della Regina di Saba: luogo di bellezza, sapienza e desiderio. Il Genio ci mette dentro tutto: memoria, frustrazione, malinconia. È un racconto che parla di desiderio, ma anche di dimenticanza. E lo fa con una voce che sembra sospesa tra il canto e la confessione.

Primo racconto

MINUTAGGIO: 21:21-26:31
RUOLO: Djinn
ATTORE:
Idris Elba
DOVE: Netflix



INGLESE

Madam, I was there. Solomon came to her. He began with music. I did all that I could to dissuade her. But when she used the scented wax of the Jabassa Bee to remove the hair from her legs, I knew that I was lost. But I, like a fool, went on telling her that her body was rich and lovely, but her mind was richer and lovelier, and more durable. And she agreed with all that I said, and dropped a hot tear. She began to set him tasks, which seemed impossible, to find a particular thread of red silk in the palace of a thousand rooms, to guess the secret name of her mother djinn, to tell her what women most desire. He could speak to the beasts of the earth, and to the djinn made of subtle fire. He found ants to discover the thread of silk, and an ifrit to whisper the mother's name. Then he looked into her eyes and told her what women most desire. She was astonished, and told him he was right. And so she granted him what he most desired, which was to wed her and be taken to her bed. He was a great magician... and imprisoned me with a word of power into a brass bottle. She made no plea for me. I was nothing to her. A breath in a bottle. And so, I was cast into the Red Sea and languished for 2,500 years.



ITALIANO

Signora, io c’ero. Salomone andò da lei. Lui iniziò con la musica. Feci tutto il possibile per dissuaderla, ma quando usò la cera profumata delle api Jambassa per rimuovere i peli dalle sue gambe, capii di aver fallito. Ma io come uno stupido continuai a dirle che il suo corpo era prezioso e incantevole, ma che la sua mente era più preziosa e più incantevole e più resistente. E lei concordò con tutto quello che dissi, e le uscì una calda lacrima. Iniziò ad affidargli compiti che sembravano impossibili: trovare un particolare filo di seta rosso nel palazzo delle mille stanze; indovinare il suo nome segreto di sua madre genio; e dirle ciò che le donne più desiderano. Poteva parlare alle bestie della terra e ai geni fatti di tenue fuoco; usò delle formiche per trovare il filo di seta e un ifrit che gli sussurrasse il nome della madre. Poi la guardò negli occhi, e le disse ciò che le donne più desiderano. Lei rimase stupita. E gli disse che aveva ragione. E così lei gli concesse ciò che lui di più desiderava, ovvero sposarla ed essere portato nel suo letto. Era un grande mago, e mi imprigionò con un potente incantesimo in una boccetta di ottone. Lei non supplicò per me, non ero nulla per lei. Un respiro in una boccetta. E così fui gettato nel Mar Rosso e vi restai per 2500 anni. 

3000 anni di attesa

Certo, parliamo di "3000 anni di attesa" (Three Thousand Years of Longing), film del 2022 diretto da George Miller, lo stesso regista che molti conoscono per Mad Max: Fury Road, ma che qui cambia completamente registro. È un film che si muove tra il racconto intimo e quello epico, mescolando mito, memoria e desiderio. La storia segue Alithea Binnie (interpretata da Tilda Swinton), una studiosa di narrativa e mitologia, razionale, sola, e profondamente legata al mondo delle storie ma anche molto diffidente nei confronti della fantasia. Durante un viaggio a Istanbul per una conferenza, acquista un’antica bottiglia in un mercatino. Tornata in hotel, mentre la pulisce, libera un Genio (Djinn) — interpretato da Idris Elba — che le propone il classico patto: tre desideri in cambio della libertà.

Alithea però non è una “cliente” come le altre: conosce fin troppo bene i racconti di desideri andati male. Dubita, riflette, vuole capire. E il Genio per convincerla, comincia a raccontarle la propria storia. Anzi, le sue storie. Tre millenni di esistenza rinchiuso in contenitori di ogni genere, prigioniero delle proprie debolezze e dei desideri degli altri.

Il cuore del film si gioca qui, in una struttura a scatole cinesi:

La prima storia lo colloca alla corte della regina di Saba, al fianco di una figura magnetica e sensuale, in un'epoca di grandezza e intrighi. Lì il Genio cade vittima del potere e dell’amore non corrisposto.

La seconda ci trasporta nell’Impero Ottomano, tra intrighi di corte, gelosie, desideri repressi e un’ossessione amorosa che finisce per consumare tutto.

La terza storia è ambientata in un periodo più vicino al nostro, dove il Genio è imprigionato da una donna che ha il potere ma non la libertà, e che alla fine rinuncia anche ai desideri per non tradire se stessa.

Ogni racconto ha il sapore di un mito orientale, ma anche quello di una confessione personale. Il Genio non è un’entità onnipotente, è un essere tragico, sensibile, e... stanco.

Nel presente, mentre i racconti del Genio scorrono, succede qualcosa di meno vistoso ma più denso: Alithea si apre. Lentamente. È una donna che ha scelto la solitudine come difesa, ma ascoltando il Genio, comincia a rivedere le sue certezze. A un certo punto fa un desiderio: che il Genio l’ami. Ed è lì che il film fa una virata importante. Perché da quel momento, la storia si sposta a Londra, dove il Genio — ormai libero — cerca di adattarsi alla realtà umana. Ma non ci riesce. Troppo rumore, troppe onde elettromagnetiche, troppo poco spazio per un essere antico.

Alithea si rende conto di aver sbagliato. Non si può costringere qualcuno ad amare. Decide allora di liberarlo davvero. E lui scompare.

Analisi Monologo

“Salomone andò da lei. Lui iniziò con la musica.” La musica è il primo gesto. Inizia come seduzione, ma non è una seduzione volgare. È potere attraverso l’arte. Salomone non conquista con la forza, ma con il suono. E il Genio lo sa: è un tipo di magia che lui stesso conosce, ma che non può fermare. “Feci tutto il possibile per dissuaderla […] ma capii di aver fallito.” Qui emerge subito il tono personale. Il Genio non è uno spettatore passivo: è coinvolto. Non parla come un narratore onnisciente, ma come qualcuno che c’era, che ha provato a cambiare il corso delle cose. E questo tentativo fallito ha un sapore di impotenza che attraversa tutto il monologo. “Continuai a dirle che il suo corpo era prezioso e incantevole, ma che la sua mente era più preziosa…”

Questo passaggio è chiave. Non è solo una dichiarazione d’ammirazione: è una richiesta d’attenzione. Il Genio cerca di farla ragionare, di spingerla a vedere oltre l’attrazione fisica. Ma non è ascoltato. La Regina lo sente, lo guarda, forse anche lo comprende, ma non lo sceglie. C’è una dinamica molto umana in tutto questo: il dolore del sentirsi “non visti” fino in fondo, di venire messi da parte quando si ha qualcosa da offrire che non viene valorizzato. “Le affidò compiti impossibili…”

Questa parte è affascinante perché mostra come la Regina — pur attratta — ponga delle prove a Salomone. Sembra voler mettere alla prova il suo potere, ma in realtà sta forse solo cercando di capire se lui sa davvero chi è lei. Il nome segreto della madre, il desiderio delle donne: sono tutte prove che parlano di identità, mistero, essenza. E Salomone riesce a superarle tutte, dimostrando una connessione con il mondo invisibile (gli animali, gli ifrit, le formiche) che lo rende una figura quasi divina. Un uomo che sa leggere il codice segreto della realtà. “Lei rimase stupita. […] E così gli concesse ciò che lui di più desiderava.”

Il rapporto tra potere e desiderio si consuma qui. La Regina, colpita dalla sua intelligenza e capacità, accetta. Ma quello che a Salomone viene concesso, per il Genio è l’inizio della tragedia. Il tono del racconto si piega verso l’amarezza. Era un grande mago, e mi imprigionò […] Lei non supplicò per me. Non ero nulla per lei.”

Ecco il punto emotivamente più denso. Il Genio, che ha cercato di proteggerla, viene dimenticato. Ridotto a “un respiro in una boccetta”, viene gettato via. Il dolore non è tanto la prigionia — ma l’indifferenza.

Non c’è rabbia in questa parte del monologo, ma qualcosa di peggiore: il senso di essere stati inutili per chi si voleva aiutare.

Conclusione

Questo monologo è un momento di nudità emotiva. Il Genio non sta solo raccontando un episodio del passato, ma sta mettendo a nudo il proprio fallimento, la propria solitudine, il proprio bisogno di essere ascoltato. E lo fa proprio con Alithea, una donna che — come la Regina di Saba — è attratta dalle storie, ma anche diffidente. La differenza è che Alithea ascolta. E forse è per questo che, tra i due, nasce qualcosa che va oltre i desideri.

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