84m²: il monologo finale di Eun-hwa e il volto del potere nel thriller Netflix

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

In 84m², ci sono almeno tre film che si intrecciano: uno è il thriller psicologico sul rumore; l’altro è il dramma sociale sulla precarietà abitativa; il terzo, più nascosto, è un noir sul potere e sull’illusione di poterlo combattere. Questo monologo di Eun-hwa fa emergere proprio quest’ultimo strato. Dopo essere stata legata, accusata e apparentemente smascherata da Jin-ho, la donna si rialza — prima con le parole, poi con i fatti. Tira fuori i documenti. Conferma tutto. Ma non c’è nulla di liberatorio: è una confessione che serve solo a riaffermare il controllo. L’effetto è spiazzante: non è più la vittima della storia. È la regista nascosta fin dall’inizio.

Inchieste improvvise

MINUTAGGIO: 1:33:11-1:35:15

RUOLO: Jin-ho

ATTORE: Seo Hyun-woo

DOVE: Netlfix



ITALIANO



Allora presentiamoci come si deve. Mi chiamo Yeong Jin-Ho e cerco la verità, molto piacere. Quando eri ancora procuratrice, più o meno un anno fa, hai censurato un servizio televisivo sulle costruzioni di bassa qualità. Quell’inchiesta era tutta opera mia. Avev rischiato la vita, mi sono persino beccto delle coltellate. Tu non hai la minima idea di cosa vuol dire vedere il tuo lavoro buttato solo per interesse. Da allora ho iniziato a studiarti, e ho scoperto tnte cose. Ma all’improvviso hai dato le dimissioni da procuratrice, e hai iniziato a comprare appartamenti. Anche se sapevi che erano scadenti, perciò ho deciso di seguirti. Ho pensato che avrei scoperto cose interessanti vivendo vicino a te. E ora permettermi di chiederti una cosa… Dove sono i documenti? Dietro la porta blindata, vero? Te lo chiedo ancora una volta,a pri bene le orecchie. I registri contabili dove c’è traccia dei soldi sporchi che avete intascato. I meravigliosi registri con i nomi dei bastardi coinvolti nel giro delle costruzioni fuori norma… Dove sono? Voglio saperlo. Procuratrice, ho sentito che ne parlavi insieme a tuo marito. La telecamera era oscurata, il microfono no. L’interfono. Li tieni nascosti perché nessuno scopra che sei l’intermediaria di quei cantieri. hai parlato di un nascondiglio impermeabile, è si. E cosa c’è di meglio di una camera blindata in casa propria?

84m²

“84m²” di Kim Tae-joon è un film che lavora in silenzio, come quei rumori notturni che all’inizio ignori, poi ti infastidiscono, e infine ti consumano. È un thriller psicologico minimalista, ma costruito su un’idea enorme: la casa come simbolo del successo, che si trasforma lentamente nella scena del crollo personale. Il titolo 84m² non è una scelta casuale. In Corea del Sud, questa misura rappresenta lo standard abitativo ambito dalla classe media. È lo spazio ideale, quello per cui si lavora una vita intera. Kim Tae-joon parte da qui per mettere in discussione tutta la retorica del progresso personale legato alla casa di proprietà. Il protagonista Woo-sung, interpretato da Kang Ha-neul, fa di tutto per ottenerla. E una volta varcata la soglia, non trova conforto. Trova rumori.

Il film gioca quindi con l’idea che l’appartamento sia un premio sociale, ma anche una trappola silenziosa. Lo spettatore è costretto, insieme a Woo-sung, a restare lì dentro. La macchina da presa non fugge mai, le inquadrature sono strette, i movimenti limitati: la tensione nasce proprio da ciò che non puoi vedere. Uno degli aspetti più interessanti di 84m² è come tratta l’inquinamento acustico non come elemento secondario, ma come vera e propria arma narrativa. I colpi, i passi, gli oggetti che si trascinano: non vediamo quasi mai la loro origine. Sono presenze senza volto. Eppure sono abbastanza per far dubitare Woo-sung della propria sanità mentale — e noi con lui.

Due personaggi chiave affiancano Woo-sung nella sua discesa.

Eun-hwa (Yeom Hye-ran), rappresentante dei residenti, incarna il potere amministrativo invisibile che regola la vita di condominio. Vive in alto, sopra tutti, e la sua presenza è più politica che personale. La vediamo gestire, osservare, manipolare con il tono gentile tipico di chi è abituato a dire cose dure con voce educata. Una figura tra l’arbitro e l’oppressore, perfettamente calata in quell’ambiguità che rende instabili tutti i rapporti del film.

Jin-ho (Seo Hyun-woo) è il vicino del piano superiore. Vittima anch’egli dei rumori, diventa per Woo-sung una sorta di specchio: amico o nemico? Complice o inganno? La loro alleanza sembra utile, ma ogni scena che li vede insieme aumenta la sensazione che nessuno si fidi davvero di nessuno. Il film lavora così, per sottrazione: più i personaggi si avvicinano, più si allontanano.

L’elemento forse più brillante dell’opera è come riesce a trasformare lo spazio in significato. Ogni dettaglio della casa di Woo-sung – i colori freddi, l’arredamento impersonale, l’assenza di suoni familiari – ci dice che questo non è un luogo in cui si vive: è un obiettivo di status. E come spesso succede con gli obiettivi, una volta raggiunti, non ti danno ciò che ti aspettavi.

Analisi Monologo

“Il problema dei rumori è legato alle persone” Il tono con cui Eun-hwa parla in questo monologo è quello di chi non ha più niente da temere. “Questi volevi? Se li diffondi, credi che incolperanno me dell’inquinamento acustico?” La sua è una logica del potere consapevole di essere inespugnabile. I documenti non hanno alcun valore in sé, dice. Non portano giustizia, non cambiano il sistema. Sono solo carte. E anche se contenessero i nomi dei colpevoli, nessuno li punirà.

La parte più disturbante, però, è quando tocca il nodo dell’edilizia: “Se si spendessero più soldi per costruire edifici più solidi, le case costerebbero di più. E a quelli come te non basterebbe una vita per comprarsi un appartamento.” Qui c’è tutto il suo pensiero: il sistema è fatto per reggersi sull’imperfezione. Sulle crepe, sulle lamentele, sui compromessi. Volerlo cambiare non è utopico: è semplicemente inutile. Eun-hwa non è un villain da cartone animato. È una figura fredda, calcolatrice, realista — e profondamente disillusa.

Il colpo di grazia arriva alla fine: “Nella vita… non ci si può affidare alla speranza. Purtroppo però, tu non hai più tempo.” Un'esecuzione verbale. Un’amputazione emotiva. In una sola frase, nega a Jin-ho anche il diritto di sperare, condannandolo non solo alla sconfitta, ma all’insignificanza.

Conclusione

Il monologo di Eun-hwa è uno dei momenti più forti e disturbanti di 84m². È un discorso glaciale, costruito sulla logica della rassegnazione lucida. Dove Jin-ho rappresentava il tentativo disperato di far emergere la verità, Eun-hwa rappresenta il sistema che ha già previsto quel tentativo, lo ha assorbito e lo ha reso innocuo. Anche la verità, dice tra le righe, è solo un'altra cosa da gestire.

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